L’indagine Ocse-Pisa viene generalmente citata ed utilizzata per analizzare e classificare le competenze di base dei quindicenni a livello internazionale. Ma un altro suo obiettivo importante è quello di cercare di individuare fattori correlati con i risultati, in termini sia di possibili politiche di sistema che dell’esistenza di diverse caratteristiche di gruppi e/o individui. I governi infatti finanziano queste ricerche non solo per sapere la loro “posizione in classifica”, ma anche per individuare quali provvedimenti eventualmente adottare per migliorarla. Quando naturalmente le loro politiche non sono orientate in via prioritaria al mantenimento del consenso dei numerosissimi operatori del settore istruzione.
I rapporti internazionali contengono sempre un ampio capitolo a ciò dedicato. Ma dopo il 2009 Ocse ha prodotto anche una serie di approfondimenti chiamandoli Focus che sono oramai arrivati al numero 30 e che ci accompagneranno presumibilmente fino alla presentazione del nuovo Rapporto sull’indagine Pisa 2012, presentazione che avverrà il 3 dicembre 2013.
Quali fra le caratteristiche di funzionamento dei sistemi scolastici hanno importanza e quali no?
Sorprendentemente si conferma che il tempo impiegato in ore ed attività aggiuntive a livello di gruppo o individuale non sembra avere grande peso. In ogni caso bisogna che siano gli insegnanti stessi dell’allievo a seguirlo in queste attività e che lo studente sia ben convinto della loro utilità. Ma potrebbe anche essere che i sistemi che adottano questi strumenti siano quelli con i livelli più bassi per altri fattori e che comunque il gap non riesca ad essere colmato. Bisogna ricordare che questi paragoni avvengono sui dati dello stesso anno e non hanno una dimensione longitudinale.
Bocciature e trasferimenti: più numerose sono nei diversi sistemi formativi, meno gli studenti sono competenti. Anche qui evidentemente non si tratta di un rapporto causa-effetto, ma della dimostrazione dell’inefficacia di questi strumenti a livello di massa per migliorare effettivamente gli apprendimenti. Secondo gli analisti, ciò avviene perché la scuola e gli insegnanti, avendo a disposizione strumenti di apparente soluzione dei problemi, non mettono in atto politiche di personalizzazione efficaci. E questo sembra molto probabile.
La diffusione delle scuole private non innalza il livello degli apprendimenti nel loro complesso. Gli studenti delle scuole private in generale vanno meglio, ma, a parità di background, il vantaggio si azzera nella maggior parte dei paesi. In realtà in molte situazioni sembra che i governi considerino la loro maggiore libertà rispetto alla gestione ed alla flessibilizzazione di metodi e contenuti come uno stimolo per le scuole pubbliche.
Autonomia e rendicontazione debbono andare insieme per essere positivamente efficaci. Con il termine rendicontazione non si intende nulla di fumoso e generico, ma forme differenziate di utilizzo e/o pubblicizzazione dei risultati delle valutazioni esterne. Se l’autonomia viaggia senza che nessuno ne risponda, il rischio è quello di peggiorare la situazione. Attenzione: qui i risultati sono da prendere con cautela, sia perché vengono ricavati anche da una domanda che chiede le “impressioni” dei “presidi”, sia perché in proposito le realtà nazionali sono diversissime e le definizioni si prestano ed equivoci. Un esempio: molti presidi italiani hanno considerato l’esposizione dei cartelloni dei risultati una forma di rendicontazione degli esiti.
Cosa possono fare i genitori? Molto, a quanto pare. Ma, attenzione, non tanto fare i compiti insieme agli studenti. Gli analisti rilevano l’ininfluenza di quelli che definiscono “giochetti addestrativi con le parole”. Chi invece aveva chi gli leggeva libri durante il primo anno di scuola – indipendentemente dal background socio-economico della famiglia – ha ottenuto punteggi più elevati nell’indagine Pisa 2009 sulle competenze linguistiche. A quindici anni inoltre hanno una correlazione positiva le discussioni su argomenti generali o famigliari.
Viene seguito con attenzione anche il percorso degli studenti immigrati, sempre più chiaramente distinti in studenti di prima e seconda generazione. In alcuni paesi avanzati la differenza si sta assottigliando, anche se rimane il gap. Più che il background socio-economico inferiore, sembra ovviamente contare come problema preliminare e fondamentale il possesso della lingua in cui dovranno studiare, perciò viene raccomandata come chiave per il miglioramento una efficace educazione linguistica compensativa.
Non è vero che lo status economico-sociale determina in tutto gli apprendimenti. Il 31% degli studenti provenienti da background economico-sociali svantaggiati è resiliente, cioè spicca fra i suoi pari con le stesse caratteristiche e riesce a collocarsi ai livelli più alti. Ma il fenomeno è principalmente, anche se non esclusivamente, collocato nei paesi in cui i risultati sono più alti nel loro complesso. Quali le caratteristiche di questi studenti? Fiducia in sé e motivazione, che si esplicitano in una maggiore disponibilità a scegliere materie di carattere teorico (Scienze in particolare visto che l’analisi è effettuata sui dati di Pisa 2006).
Molte altre riflessioni e spunti escono dal complesso di queste analisi. Dicono qualcosa alle politiche da adottare nel nostro paese?