Come fanno notare con un certo orgoglio all’Invalsi, sono passati soltanto 25 giorni (a fronte dei 18 mesi delle prove internazionali) fra la pubblicazione del rapporto nazionale, che fornisce le analisi sul campione di riferimento per tutte le scuole, e il momento dell’ultima rilevazione (la Prova Nazionale del 18 giugno, ma per le altre prove il lasso di tempo è al massimo di 60 giorni). La soddisfazione si estende agli aspetti tecnici sempre in progress (miglioramento dei protocolli con l’abolizione delle schede cartacee a lettura ottica, controlli di II livello, speranza di poter passare presto a somministrazioni via computer del tipo dei test adattivi) e alla qualità delle misurazioni, soprattutto per la possibilità di monitorare l’evoluzione nel tempo dei risultati, o valore aggiunto, la vera misura dell’operato delle scuole “al netto” dei fattori di contesto non determinati dalla scuola. Come precisano all’Invalsi, questa accresciuta significatività della comparazione tra scuole nella chiave del valore aggiunto non innesca “una qualche gara tra scuole e tra classi”, perché esse “vengono dall’Invalsi restituite alle singole scuole per aiutare le stesse a riflettere su se stesse e verranno altresì adoperate per identificare le scuole in condizioni maggiormente critiche su cui concentrare la valutazione esterna e la disponibilità di eventuali supporti dall’esterno” (Paolo Sestito nell’introduzione al Rapporto).



La percezione dall’interno dell’Invalsi è positiva anche su un altro versante: nonostante le contestazioni enfatizzate dalla stampa e dai sindacati, è solo una esigua minoranza di insegnanti e genitori quella che contesta, mentre l’adesione alle prove Invalsi come momento strutturale della vita scolastica cresce e si stabilizza. La propensione al cheating diminuisce, ben circoscritta soprattutto alla Prova Nazionale e in più solo in quattro regioni: tre dell’obiettivo convergenza (Calabria, Sicilia, Campania) con l’esclusione della Puglia, che da tempo ha cominciato a risalire la china anche dei risultati, ma con l’aggiunta preoccupante del Lazio, che da qualche anno ha un trend simile alle regioni del Sud e Sud-Isole. 



Visto dall’esterno, un dato che potrebbe significare una utilità in sé delle rilevazioni è un’inversione di tendenza, che si registra per esempio in matematica nel 2013 nella macro-area del Centro nei livelli 8 e soprattutto 10 (PN e II superiore): segno che invertire una tendenza si può (v. il caso della Puglia) e che quindi c’è del lavoro da fare.

Medesimo segnale che è possibile fare qualcosa per non soggiacere al determinismo della situazione viene dall’analisi degli effetti di composizione dei dati, cioè il tentativo di scorporare le variabili che incidono sul risultato. Sono stati indagati tra gli altri fattori motivazionali, fattori legati alla percezione di sé, e fattori legati al contesto socio economico e culturale noto come Escs, attingendo a indicatori ampiamente sperimentati dalla letteratura internazionale (p. 131 Rapporto). Il famoso “questionario studenti”, che tante perplessità suscita negli insegnanti, ha in realtà l’insostituibile funzione di consentire di depurare i dati dai fattori di contesto. Il dato interessante è che il fattore Escs pur essendo fortemente correlato ai risultati non agisce affatto in modo deterministico e può essere contrastato dalla scuola: aree con un territorio sofferente vanno meglio di quello che ci si aspetterebbe, e al contrario regioni con una situazione socioeconomica buona vanno meno bene di quel che potrebbero. 



Questi i dati di sistema, che interessano soprattutto i decisori politici e che sono il punto di partenza per la ben più decisiva operazione che interessa le scuole ogni autunno (nel 2013 speriamo da settembre): il confronto fra i dati nazionali e i dati di ciascuna scuola, l’analisi approfondita delle prove e del loro modo di mettere in luce le competenze degli studenti, la relazione fra voti dati all’interno e risultati esterni, l’analisi spinosissima delle collocazioni reciproche delle classi di una scuola, e tutto il vasto mondo dei risultati Invalsi. È questo forse il punto più debole dell’intera operazione, perché dipendente dai dirigenti, dai professori, dalle singole realtà di consigli di classe e collegi docenti che dovrebbero cooperare per mettere in atto questa fase: e si sa quanto un consiglio di classe possa soffrire di inceppamenti di varia natura. 

La cosa è resa difficile anche da una scarsa conoscenza delle cose: la stampa nazionale per anni ha parlato delle prove come di “quizzoni” dalla logica arbitraria, senza curarsi di conoscere il lavoro che sta dietro la loro lunghissima gestazione. Il mondo scientifico comincia ora a confrontarsi con il contenuto e il valore delle prove (per esempio è in programma per settembre 2013 un dibattito pubblico promosso dall’Associazione per la Storia della Lingua Italiana). I rapporti, i quadri di riferimento, le guide alla lettura continuano ad essere letti e utilizzati da una minoranza volenterosa. A parte le quattro regioni dell’obiettivo convergenza, dove tramite i fondi europei è stato possibile dare un massiccio aiuto alle scuole a leggere ed utilizzare i dati, per il resto tutto dipende dalla buona volontà delle scuole e dal supporto offerto dagli uffici scolastici regionali e dalle associazioni professionali (una iniziativa parte il prossimo anno a cura di Diesse Lombardia). 

Oggettivamente non si può dire che i prof. siano pronti a questo lavoro, anche perché nonostante tutta la loro profusione di impegno e dedizione agli studenti operano ancora all’interno di strutture dalla logica contraria (centralismo, divisione fra cicli, fra sezioni, fra singoli docenti, diffidenza per ciò che è nuovo alimentata anche da riforme a  cascata, tendenza piuttosto a mantenere il solido status quo – personalmente so quanto è difficile innovare qualcosina-ina-ina in materia di insegnamento della grammatica: torna sempre l’obiezione che non è “come se lo aspetta il prof.”!). Quello che rema contro è soprattutto la diffusa paura degli insegnanti di un giudizio negativo su di sé: resterebbero sorpresi nel leggere, a p. 136 del Rapporto, che “i risultati delle prove, sia di Italiano sia di Matematica, sono fortemente congruenti con i voti attribuiti (nel primo quadrimestre) dagli insegnanti di classe. In altri termini, rilevazioni Invalsi e valutazioni, interne alla classe, degli insegnanti si rispecchiano piuttosto fedelmente”.

La novità di quest’anno è che il quadro d’insieme di questa seconda fase tutta interna alle scuole è il non ancora sperimentato Sistema Nazionale di Valutazione (SNV). Nel Regolamento sul SNV appena pubblicato in G.U. è previsto che le scuole,  sulla base sia delle rilevazioni Invalsi sugli apprendimenti degli studenti sia di informazioni statistiche e amministrative sulle singole scuole fornite dal ministero (Fascicolo Scuola in chiaro) e altre informazioni interne riflettano sui propri processi organizzativi e didattici per verificarne l’adeguatezza e migliorare gli esiti formativi, in senso ampio, dei propri alunni: “un vero e proprio ciclo della performance, in cui la riflessione sulla situazione di partenza si focalizzi sul cosa e come migliorare, sfoci in piani e interventi di miglioramento la cui implementazione ed adeguatezza possano poi essere a loro volta valutate” (P. Sestito già citato).

E qui cominciano i problemi. L’autovalutazione prevede “precise responsabilità in capo ai singoli dirigenti scolastici” e “linee guida” comuni per l’autovalutazione; inoltre tutto il processo “sarà potenzialmente soggetta al vaglio di team valutativi esterni” forniti, sempre da parte di Invalsi, di “protocolli operativi, oltre che di formazione e, in parte, di selezione dei componenti”. E poi: come migliorare realisticamente, fruttuosamente, come avviare percorsi fluidi e articolati, in un sistema formativo che risulta poco oliato in molti suoi ingranaggi piccoli e grandi? 

È vero che l’anno scolastico 2013-14 sarà un anno di transizione nella costruzione del SNV, e che bisogna innanzitutto “trarre profitto da alcune sperimentazioni già realizzate o ancora in corso (soprattutto i progetti VSQ, Vales e Valutazione e Miglioramento)”. È vero anche che l’Invalsi ha l’intenzione di “aprire una stagione di ampia e approfondita consultazione su tali questioni” e che si è ben coscienti che siamo solo all’inizio nella costruzione degli strumenti tecnici quali “criteri per l’identificazione delle scuole in condizioni critiche”, “stima del cosiddetto valore aggiunto”, “strumenti di ascolto sistematico e generalizzato dei punti di vista dei diversi stakeholders (in primis docenti, studenti e genitori)”. Ma la percezione della vastità del cambiamento è forte, soprattutto negli ambienti più sensibili a questi temi, come i sindacati.

Una primissima iniziativa Invalsi per formare insegnanti che capiscano di statistica e di processi organizzativi (una vera “scuola estiva” che si svolgerà a fine agosto) ha suscitato forte opposizione da parte di Cgil Scuola e Gilda, che ne hanno addirittura chiesto la sospensione perché non è parsa trasparente la selezione dei candidati alla formazione: del resto è tuttora ferma la graduatoria degli aspiranti valutatori per la conclusione del progetto Vales (sono arrivate più di 5mila candidature), e non si sa chi farà parte del drappello incaricato di monitorare i “processi di miglioramento”. Inoltre sono stati chiesti chiarimenti sui criteri e sugli obiettivi di questa attività e sui compiti che dovranno avere i valutatori una volta formati. È ovvio che in tema di valutazione ci sono anche pressioni politiche di varia natura e la grande rivoluzione (un cuneo che si infila nello status quo della scuola italiana) non può avvenire per mere vie normative (es. la circolare che attribuisce a Invalsi certi e determinati compiti) senza controllo “delle parti”. Infatti quello che le organizzazioni sindacali contestano “è il fatto che Invalsi stia diventando ente assolutamente autonomo e svincolato dal Miur” (così la Gilda), che prenda iniziative e che tali iniziative siano come la pallina su un piano inclinato.

E il popolo della scuola? Studenti e genitori soprattutto, come vivono le prove? Un report sulla percezione espressa sulla rete nei confronti della rilevazione Invalsi più temuta, quella inserita nell’esame conclusivo del I ciclo o Prova Nazionale, è stato commissionato da Invalsi a una società terza (Voices from the Blogs, uno spinoff dell’Università di Milano), i cui risultati sono già in rete

Molti studenti rilevano che le prove sono “difficili” (cioè non sono banali quizzoni!) e che non hanno a che fare con quello che si fa a scuola (ma, insinuo, quello che si fa a scuola non sempre produce competenze: la matematica, per esempio, dovrebbe essere prima di tutto uso della ragione, ma alla richiesta “Adesso scrivi i calcoli che hai fatto per ottenere i risultati” uno studente così commenta sul blog: “E cosa ti fa pensare che io abbia fatto i calcoli?”). Accanto ai prevedibili sarcasmi su quesiti e risposte, un giudizio positivo sulla prova Invalsi è espresso da una percentuale dei commenti che cresce da un quarto (prima della prova) a un terzo (dopo la prova); ci sono anche pronunciamenti di insegnanti e adulti, che sostengono che “il test è una modalità moderna di verificare o incentivare l’apprendimento; un terzo argomenta a favore dei test perché consentirebbero di verificare l’apprendimento effettivo”, uscendo dalle normali routines scolastiche. 

L’ansia da prestazione chiaramente colpisce, ma quando mai l’assenza di pressione esterna è in sé un bene? Anzi, l’achievement press è fattore che incide positivamente sugli apprendimenti. Il motore della storia è il bisogno, il desiderio, la pro-vocazione della realtà: in tutta questa faccenda dell’Invalsi, quello che veramente sembra mancare è il desiderio di confrontarsi con una realtà storica che avanza, quella che il Libro bianco di Padoa Schioppa e Fioroni aveva ben descritto già nel 2007: la fine della stagnazione è legata a una qualche mossa positiva, non alla difesa dell’orticello. Ma a chi compete la mossa positiva? Non alle istituzioni o alle regole, ma alle persone e al loro desiderio di positività, il che non è mai obbligo di legge o diritto sindacalmente tutelato. L’emergenza vera è l’uomo.