Il primo pensiero nel riflettere sulla penosa vicenda del bonus scuola richiama l’idea dell’ennesimo “pasticcio all’italiana”. L’espressione – non sorprende perciò amareggia – compare frequentemente nell’abbondante messe di opinioni in argomento e, in fondo, sancisce un’analisi quasi rassegnata dinanzi all’esempio di un’idea buona all’origine (i lettori hanno mai sentito qualcuno schierarsi contro il sommo principio della valorizzazione del merito?) che finisce per implodere senza andare a compimento. Tanto – non lo si dice, ma in qualche modo lo si pensa – la scuola bene o male va avanti lo stesso…



Proprio quest’ultimo implicito induce a considerare la gravità che l’accaduto concorre a denunciare: una sorta di assuefazione a un policymaking scolastico che procede in maniera contraddittoria e tortuosa e in pratica è inefficace, assieme all’idea che ciononostante la scuola continuerà ad esserci, magari non come la vorremmo, ma ci sarà. Il segnale è preoccupante, anche perché non è isolato e rivela l’accettazione implicita che la scuola sia una strana macchina che bene o male trova la maniera di funzionare anche indipendentemente da un progetto, una strategia, una direzione.



Funziona davvero? Certo, l’anno scolastico inizia e le scuole aprono, gli studenti entrano in aula, con non poca fatica si riesce a fare in modo che ci siano insegnanti e dirigenti e via, si va. Verso dove? Quale formazione chiediamo alla scuola del nostro Paese? Quale responsabilità educativa assumiamo nei confronti delle giovani generazioni e come la corrispondiamo attraverso l’azione della scuola? 

In questo senso la vicenda del bonus scuola è una sconfitta e rappresenta il paradigma di un’altra sconfitta assai più ampia per tutti – l’apparato politico e burocratico, il sistema scolastico e tutti i suoi attori, insegnanti, famiglie e soprattutto studenti – chiamando in causa la responsabilità del paese adulto nei confronti dei giovani. È l’emblema di un sistema che non è in grado di essere diverso da ciò che è e rischia di confondere la stagnazione con la normalità.



Realisticamente, è difficile immaginare vi fossero ora soluzioni praticabili alternative a quella dell’abrogazione del bonus maturità: a valle della sua storia sofferta e travagliata, dei problemi insorti, dell’intrico di interessi contrastanti che si sono sovrapposti negli anni e dell’accelerazione frettolosa e pasticciata dinanzi a cui studenti e scuole si sono trovati praticamente alla vigilia della prova, è improbabile che decisioni diverse potessero produrre miglioramenti significativi e non ulteriori complicazioni. Resta che dal 2006 ad oggi non si è riusciti a trovare una modalità per riconoscere il valore degli studenti dimostrato nel percorso scolastico, prassi invece abbastanza diffusa a livello internazionale, con il ricorso a punteggi compositi che uniscono le valutazioni della scuola alle prove di selezione per l’accesso all’università, entrambe le quali hanno valenze e limiti.

Almeno due ordini di considerazioni scaturiscono dal dato di fatto. Sul piano tecnico, la proposta ha una sua validità ed è attuabile, come appunto accade in altri paesi; come è evidente, presuppone una base affidabile di valutazioni scolastiche. Sul piano delle strategie politiche e del processo decisionale è un caso particolare ma purtroppo non dissimile da scenari già osservati: sei anni e oltre di rinvii, dilazioni, logoramenti, contrapposizioni di interessi parziali, con una decisione emanata a ridosso dell’esame di Stato e certo non priva di ombre.

Molti si sono indignati per le conseguenze, peraltro affrettatamente descritte, dopo la pubblicazione dei percentili. La vera indignazione dovrebbe però riguardare un aspetto più fondamentale e per questo assai più grave: il nostro Paese non riesce ad avere valutazioni credibili al termine del percorso scolastico, nonostante annualmente si spendano oltre 150 milioni di euro per l’esame di Stato. A questi si aggiungono i costi delle procedure di selezione per l’accesso all’università, che potrebbero invece essere meno necessarie e onerose o almeno finalizzate a orientare gli studenti nella scelta degli studi piuttosto che alla mera riduzione del numero di candidati in eccedenza rispetto ai posti disponibili. 

Il messaggio che esce da questa vicenda è di ulteriore svalutazione della scuola e dei suoi risultati. Varare un piano per rendere i voti e le valutazioni meno aleatorie è certamente complesso ma non impossibile; altri paesi ci riescono, nel nostro non si è levata voce per proporre un’azione in questo senso. È più semplice indignarsi per salvare i liceali danneggiati dal bonus e combattere il presunto privilegio concesso agli studenti dei professionali che impegnarsi nella difficile e meno mediatica fatica quotidiana di cercare e rendere possibili vie adeguate per raggiungere l’obiettivo.

In tutto questa storia non ci sono guadagni, se non di parte e di breve respiro, ma solo perdite. È una sconfitta per tutti e i primi a pagarne le conseguenze sono gli studenti, parte passiva di giochi diversi nei quali è sempre più arduo scorgere la responsabilità educativa che la scuola dovrebbe loro testimoniare.