Il calo di iscrizioni al liceo classico sta facendo molto parlare. Come al solito ci si ritrova divisi su posizioni impolverate (e talvolta ideologiche) che non tengono conto di una società profondamente mutata, soprattutto sotto il profilo lavorativo e formativo. Viviamo in un Paese che troppo a lungo ha separato scuola e lavoro e si è convinto che la cultura bastasse a sé stessa. Perciò in tanti restano storditi davanti alla legittima scelta di molti giovani che preferiscono percorsi di scuola più “concreti” e aperti al lavoro, così come già segnalava l’ultimo Rapporto Censis.
Nessuna sorpresa dunque, ma la mediaticità del tema e la sua semplificazione eccessiva stanno sollevando l’eco di cori spaventati dalla possibile scomparsa dei licei classici. Tragedia greca e requiem! Il problema tuttavia è un altro, e ben più complesso, perché riguarda la capacità del nostro sistema di istruzione di formare non soltanto buoni cittadini, ma futuri lavoratori, professionisti, dirigenti e imprenditori. I giovani italiani stanno dando un segnale: chiedono maggior concretezza nello studio e di poter mettere in pratica ciò che imparano, a prescindere che si tratti di greco, latino, chimica o elettrotecnica. In altre parole di riportare insieme studio e lavoro. Per questo bisogna far interagire di più le discipline scolastiche con la realtà esterna e permettere a scuola e sistema produttivo di “contaminarsi” reciprocamente.
Nelle nostre scuole generalmente manca un approccio laboratoriale alla materia, che non permette una formazione basata sulle competenze. Mentre infatti la materia si insegna, la competenza si sviluppa. Lo studente resta ancora passivo rispetto al carico di nozioni che quotidianamente deve assorbire, un carico che al classico diventa ancora più pesante. Si può liquidare la questione dicendo che i giovani non hanno più voglia di impegnarsi e di “rompersi la testa” sulle possenti pagine di Sofocle e Virgilio, né di passare pomeriggi interi a tradurre versioni mentre sono martellati dalle notifiche di Facebook in attesa di risposta. Mutatis mutandis, la colpa è sempre attribuita agli studenti e alla loro presunta volontà di trovare scorciatoie, come se gli altri percorsi, in particolare istituti tecnici e professionali, siano meno validi (e prestigiosi) perché il “carico” di nozioni è più basso, visto lo spazio riservato all’attività pratica. La realtà è che, a prescindere dal percorso scelto, la scuola secondaria fatica ancora ad abbandonare il disciplinarismo gentiliano, che anzi utilizza come baluardo di difesa e ulteriore chiusura rispetto alle novità che porta la società della conoscenza.
I supporter del liceo classico non devono preoccuparsi della possibile estinzione di questo indirizzo, ma, più in positivo, di come la fondamentale formazione classica deve rispondere alle novità del 2.0 e ad una società più aperta, globalizzata, meno nozionista e più interattiva. Insomma, ci ritroviamo davanti all’eterna dialettica tra vecchio e nuovo che non si risolve con nostalgie e disfattismi.
Essenziale sarà il ruolo che avranno i docenti: più saranno capaci di aprire tutto il potenziale della propria disciplina al mondo esterno, più alta sarà l’attenzione che riceveranno dai ragazzi e le possibilità di apprendimento a loro offerte. Gli studenti devono diventare protagonisti di quell’ecosistema formativo di cui la scuola è attore protagonista. I licei classici stanno impiegando più tempo a mettersi al passo, ma inevitabilmente lo faranno. Nel frattempo i dati fanno segnare una riscoperta delle materie “tecniche”, in particolare nelle scelte universitarie (si pensi al boom di ingegneria al Politecnico di Milano e degli Its), mentre aumentano, contro ogni luogo comune, le giovani donne che scelgono percorsi di istruzione tecnica.
A indebolirsi insomma non è il liceo classico in sé, ma il cliché che lo ha visto per troppo tempo come unica scuola d’eccellenza, di serie A, a discapito di altri percorsi scolastici. Chi conosce la scuola italiana sa bene invece che le eccellenze non hanno bandiera: basti pensare alle realtà del “Club dei 15” in cui prestigiosi istituti tecnici collaborano con le migliori aziende manifatturiere del nostro Made in Italy.
Quello che manca è semmai la condivisione delle esperienze e di tante best practices (di licei e istituti tecnici) che rappresentano modelli scolastici di successo in una società in continuo rinnovamento. Come Confindustria stiamo organizzando in proposito una specifica giornata Orientagiovani (il 14 novembre a Catania) dove raccoglieremo testimonianze di studenti, docenti e presidi che sono riusciti a costruire ponti tra scuola e territorio, tra l’aula e l’azienda, tra il sapere e il saper fare. Stesso approccio caratterizzerà il prossimo Job&Orienta (dal 21 al 23 novembre presso la Fiera di Verona).
Sono occasioni preziose che aiutano a ritrovare fiducia nelle nostre scuole e, soprattutto, nelle scelte dei nostri studenti. Senza gridare ogni volta Ad malora!, ma lavorando per riproporre il classico e tanto caro Ad maiora!