Un anno fa in questo periodo si era alla vigilia dell’avvio dei nuovi percorsi di formazione iniziale degli insegnanti che, per la scuola secondaria, sarebbero ripresi dopo 4 anni di “sospensione”, con i Tirocini formativi attivi (Tfa). Una sospensione decretata senza avere a disposizione dati obiettivi sui quali fondare valutazioni e scelte, come segnalato da diversi e qualificati interlocutori.



Ci si aspettava quindi, alla ripresa del percorso, ben altra attenzione e un debito monitoraggio dell’attuazione del D.M. 249/2010, attuazione invero alquanto accidentata e a un certo punto segnata dalle proteste delle università più attive, dei corsisti e dei tutor coordinatori, che, selezionati in alcuni casi da mesi, in aprile non potevano ancora assumere servizio per attivare i tirocini nelle scuole.



Per la verità nell’ultima Nota sul Tfa emanata dal Miur (prot. n.839 del 10.04.2013), si fa riferimento a “Schede di lavoro” che sembravano preludere a una prima capillare raccolta di dati su quanto si andava realizzando.

Non sappiamo se il ministero stia ancora raccogliendo i dati di quelle “schede”, li stia elaborando o stia per emanare i risultati ma, nell’attesa, esce oggi il Rapporto Anfis sul Tfa 2013: un documento che, senza avere la pretesa di essere esaustivo, indaga le procedure seguite nell’attuazione del Tfa e presenta i dati raccolti, in 39 sedi universitarie, dalla rete nazionale dei tutor coordinatori, di cui l’Anfis (Associazione Nazionale dei Formatori Insegnanti Supervisori) dispone.



L’analisi, che non entra nel merito dei risultati formativi raggiunti – non ne ha l’ambizione – effettua una ricognizione delle procedure che possono, tuttavia, aver determinato livelli di servizio e risultati. Ciascun fenomeno indagato è rappresentato da un grafico e accompagnato da un commento sintetico che richiama le norme principali di riferimento. Non è qui possibile entrare nel merito delle 20 pagine di analisi presentate nel Rapporto, alle quali si rinvia per un esame più approfondito, ma se ne possono riprendere molto sinteticamente alcune significative evidenze.

Sullo sfondo dell’analisi il Rapporto riconosce nel D.M. 249/2010 un valido impianto di riferimento, e rileva come si sia dovuto operare, in questo primo anno, perennemente in bilico fra il rispetto della norma, che spesso mancava della disposizione attuativa, e l’azione in deroga, ai limiti della legittimità. Le criticità che si segnalano sono tuttavia di un certo peso, in particolare per la parte del Tfa che riguarda il tirocinio svolto a scuola (475 ore, 19 Cfu).

In primo luogo i ritardi nelle procedure hanno provocato pesanti e diffusi disagi. Da segnalare l’assenza di un’adeguata programmazione del calendario degli atti da compiere, rischio presente ancora oggi per il secondo ciclo. 

In secondo luogo, si sono riscontrate forti le differenze fra le università, con atenei tempestivi e pronti nelle scelte e altri tardivi nelle decisioni e nelle azioni, anche se, come già detto, la sequenza delle disposizioni non ha certo aiutato. Il dato rivela la mancanza di una efficace cabina di regia che guidasse e orientasse i processi, evitando la disomogeneità nelle scelte.

In terzo luogo, risulta insufficiente e sottovalutato il ruolo della scuola nella gestione dei percorsi, attivato in ritardo e spesso ridotto a marginalità. Emergono, inoltre, dubbi sul rispetto delle disposizioni relative all’organo più importante del Tfa: il Consiglio di corso di tirocinio. Infine, la nomina oltremodo tardiva dei tutor coordinatori ha provocato pesanti ritardi nell’avvio dei tirocini nelle scuole, passaggio imprescindibile nella professionalizzazione dei docenti.

In buona sostanza, si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un’occasione mancata. Per evitare la reiterazione degli errori sarebbe, quindi, necessario che chi deve assumere le decisioni relative alla prosecuzione dell’esperienza riflettesse con la necessaria attenzione sui dati di tendenza che il Rapporto fa emergere. Un segnale che non va, però, strumentalizzato poiché il danno sarebbe ancora più grave.

Per valutare il Tfa, infatti, è necessario allestirne una sua versione autenticamente “ordinaria”, con tempi e modi di attuazione corretti e rispettosi del dettato e della ratio delle norme originarie. Solo a questa condizione rilevazionimisurazioni e valutazioni potranno consentire di prendere decisioni per eventuali modificherevisionirielaborazioni o se si debbano prospettare nuove soluzioni.

Il limite, che si denunciò al tempo dell’interruzione delle Ssis, di ritrovarsi punto e a capo, con qualcosa di non valutabile, perché non osservato e non confrontato con l’esperienza fatta, rischia, in assenza di dati obiettivi e approfonditi sul Tfa, di ripresentarsi in tutta la sua scivolosa superficialità. L’assenza di punti di riferimento costringe a ripartire ogni volta da quasi-zero, seguendo spinte fintamente innovative, non supportate dalla necessaria riflessione sull’esperienza, con l’effetto di non riuscire a mettere a sistema le esperienze migliori.

Un rischio, quello dei (finti) innovatori che si radica in barriere di matrice culturale e ideologica, ma che si alimenta principalmente della mancanza di dati obiettivi sui quali riflettere. Ora qualche dato su cui riflettere (forse) c’è.

Leggi anche

SCUOLA/ Tfa, perché il Miur obbedisce alle università telematiche?SCUOLA/ Tfa, caos in arrivo: ecco chi ha sbagliatoSCUOLA/ Immissioni in ruolo, evviva il concorso-beffa (e i sindacati stanno zitti)