Con un’utile attenzione ad uno dei problemi più seri della scuola italiana, La Stampa del 5 gennaio scorso ha dedicato ben due pagine alla dispersione scolastica. Dopo il riepilogo dei dati pubblicati dal Miur, si cerca di dare voce ai protagonisti che hanno vissuto situazioni di abbandono o che intervengono, nell’ambito del volontariato sociale, a recuperare queste situazioni. Infatti, dentro e fuori la scuola, la Penisola è un pullulare di tentativi di recupero e sostegno delle situazioni di insuccesso a scuola.



Ma c’è una seria esigenza di analisi del problema, che non pare soddisfatta dall’articolo di commento a cura di Andrea Gavosto, il quale, pur giustamente rilevando l’annosa precarietà di dati disponibili sull’argomento, non sembra accennare ai fattori principali che lo costituiscono. 

1. La dispersione è un fenomeno fisiologico di ogni sistema scolastico, così come la disoccupazione giovanile lo è per ogni sistema del lavoro. Già di per sé la comprensione del fenomeno non può ridursi al solo abbandono: occorre tener conto anche delle ripetenze sistematiche, dei ritardi e delle interruzioni temporanee. Anche se diminuito negli anni (nel 2004 eravamo al 22,3%, ora al 17,6%) in Italia il fenomeno mantiene livelli preoccupanti (La Stampa  accenna al confronto con i sistemi scolastici europei) e, per essere compreso ed adeguatamente affrontato, va ricondotto non solo a fattori interni al percorso scolastico o a situazioni di precarietà, come sembrerebbe sostenere Gavosto a proposito, ad esempio, del problema dell’orientamento. Occorre invece allargarsi con decisione, soprattutto, ai vizi d’origine veri e propri del sistema scolastico nazionale, non a caso fortemente intrecciati con vizi d’origine del sistema-lavoro e delle forme di occupazione presenti nella nostra legislazione.



2. In un contesto dove i dati variano fortemente nelle varie zone della Penisola, i tassi di dispersione più alti restano comunque da molto tempo diffusi nell’istruzione professionale, dove anche la selezione è otto volte quella dei licei (fonte Miur), ovviamente per la semplice ragione che nei licei (ma don Milani già lo dimostrava) la selezione avviene già negli accessi.  

Invece uno dei paesi dove la dispersione scolastica è ai livelli più bassi è (guarda caso…) la Germania, dove (sempre, guarda caso…) abbiamo anche il tasso di disoccupazione giovanile più basso d’Europa. Qualsiasi Berufsschule o qualsiasi azienda tedesca dove avviene la formazione degli apprendisti mostrano sempre con fierezza il loro 3,5% del tasso di disoccupazione giovanile e il loro del tasso di dispersione scolastica al 10,5%. 



3. Occorre quindi indagare con attenzione il legame tra la riduzione della dispersione scolastica e il sistema formativo, specialmente tra i 14 ed i 17 anni, nel passaggio dalla secondaria di primo grado fino al raggiungimento almeno di una qualifica professionale, dove appunto si concentra il grosso della dispersione. 

È necessario indagare senza pregiudizi (e quindi ragionare sulle conseguenti misure necessarie) su di un sistema scolastico che non prevede più da molti anni una seria preparazione al lavoro giovanile, a partire proprio dai 15enni. Un sistema scolastico dove l’attività teorica (e le conseguenti discipline) copre il 75% dell’orario settimanale, provocando così e per questo sempre più abbandono scolastico e quindi disoccupazione giovanile. Se dunque il permanere ad alti livelli della dispersione si focalizza nell’istruzione professionale e tecnica, solo una seria modifica di questo sistema di preparazione al lavoro, a cominciare dall’apprendistato dei 15enni, potrà seriamente invertire la tendenza, come la tradizione tedesca dimostra.

Senza nulla togliere ai problemi di spesa per l’istruzione in Italia (dove alla fin fine gli investimenti seri debbono ancora cominciare), le ricerche Ocse mostrano che la semplice relazione quantitativa tra aumento degli investimenti e riuscita scolastica non è assolutamente automatica. Aumentare le materie di studio (come si sta facendo in modo folle proprio nell’istruzione professionale e tecnica e proprio nell’età tra i 14 ed i 16 anni), aumentare le ore di permanenza a scuola (come prevede lo stanziamento per la dispersione dell’ultima legge sulla scuola) non riduce la dispersione, ma prolunga il parcheggio, rafforza la noia, sistema la coscienza e rimanda il problema.

Ben diverse invece sono, come rapidamente accennato, i percorsi da seguire, cominciando ad imparare dai sistemi che l’hanno evidentemente affrontato con maggiore esito. Non a caso anche la Spagna ha dal 2013 iniziato questo cammino.