“Imu e Tares possono uccidere la scuola privata in Italia”, ha dichiarato nei giorni scorsi il sottosegretario Miur, Gabriele Toccafondi. Parole pesanti come macigni, ma vere.
Le scuole paritarie, cronicamente alle prese con la necessità di far quadrare i bilanci, in questi ultimi tempi hanno dovuto far fronte alle crescenti difficoltà economiche delle famiglie italiane, al conseguente calo delle iscrizioni e alle rinnovate incertezze sui già magri e sempre fluttuanti finanziamenti statali.
Per tante di queste è stata ed è tuttora l’occasione per un rinnovato impulso alla razionalizzazione e ottimizzazione dei servizi, migliorandone la qualità e contenendone i costi; tuttavia non è difficile comprendere come, in tale situazione, le realtà più fragili e magari già provate da diversi anni di difficoltà, abbiano definitivamente chiuso i battenti.
Grazie all’azione congiunta delle associazioni di scuole paritarie e delle famiglie, di politici lungimiranti e della disponibilità del presidente del Consiglio, negli ultimi giorni dell’anno appena trascorso è stato finalmente “sistemato” il 2013, sul qual c’erano ancora 80 milioni che il ministero dell’Economia aveva congelato, su poco meno di 500 complessivi; un finanziamento importante, perché ha permesso alle scuole di pagare gli stipendi del personale. E sul 2014 è stato ottenuto un reintegro di 220 milioni, dopo che il contributo era inizialmente sceso a 274 milioni, cioè più che dimezzato, riportandolo a un livello certamente inadeguato e inferiore ai già insufficienti 530 milioni del “fondo storico”, tuttavia essenziale per non costringere alla chiusura numerose scuole. Ma la partita è tutt’altro che conclusa.
Nonostante il nostro sistema scolastico si regga su due gambe, la scuola statale e quella non statale – come stabilito dalla legge 62/2000 che porta il nome di Luigi Berlinguer – in Italia ci sono ancora tanti che ragionano su basi ideologiche, per cui nei fatti la parità che esiste sulla carta viene disattesa nelle decisioni concrete. Decisioni che vanno esattamente nella direzione opposta a quelle della parità giuridica ed economica; come ad esempio l’applicazione della Tares e, dal prossimo anno, dell’Imu.
Non si capisce, infatti, perché una scuola gestita dallo Stato o dalla Provincia non debba pagare l’Imu e perché invece lo debba fare un istituto paritario che, come riconosciuto dalla legge, fornisce lo stesso servizio pubblico e senza scopo di lucro.
Per quest’anno l’applicazione dell’Imu è sospesa, ma dall’anno prossimo la riscossione della tassa potrebbe rivelarsi letale per molte di queste scuole: ci sono istituti da poche centinaia di alunni che pagherebbero 35mila euro, sapendo di non poter far rifluire questi costi nelle rette, che sono già al limite.
C’è poi la Tares, che produce un’inaccettabile distinzione tra “figli e figliastri”, dato che il tributo della paritaria viene calcolato a metro quadro della struttura, mentre quello della statale a bambino iscritto. Come se gli alunni dell’una per definizione sporcassero più di quelli dell’altra… Pochi sanno, tra l’altro, che l’art. 33 bis del decreto legge n. 248 del 2007, convertito nella legge 31/08, prevede che per lo svolgimento del servizio di raccolta dei rifiuti delle istituzioni scolastiche statali, il ministero dell’Istruzione provvede dall’anno 2008 a corrispondere direttamente ai Comuni la somma annua di quasi 39milioni di euro quale importo forfetario complessivo per lo svolgimento del servizio. Insomma, con i soldi di tutti i contribuenti − compresi quelli i cui figli frequentano le scuole non statali − il Miur paga lo smaltimento dei rifiuti per le scuole statali, mentre per le scuole paritarie nulla. Anzi, meno che nulla, dato che, come già detto sopra, esiste una disparità penalizzante persino nel calcolo dell’importo dovuto.
Che parità è mai questa? E cosa ci si può aspettare per il futuro?
Se sulla questione dell’Imu c’è la certezza dell’impegno assiduo di alcuni (come per esempio il sottosegretario Toccafondi) e della sensibilità dello stesso premier Letta a favore di una favorevole soluzione del caso, per la Tares occorrerà sperare nella lungimiranza delle amministrazioni comunali, confidando che non facciano invece come il sindaco Pisapia a Milano, che ha inviato cartelle esattoriali per la Tares addirittura decuplicate e si accinge a tagliare il contributo alle paritarie comunali dell’infanzia…
Ai Pisapia, agli altri sindaci e a tutti quelli che ancora si muovono in questa direzione, vogliamo ricordare che, al di là della doverosa salvaguardia del valore della libertà di scelta educativa, la scuola paritaria conviene: ogni posto tagliato nella paritaria si trasforma infatti in un posto nella scuola comunale o statale, ma a costi estremamente più alti per l’amministrazione, periferica o centrale che sia. Spararsi sui piedi è sempre possibile, ma ciò non significa che sia intelligente.