Il decreto legge del Governo ha trovato una soluzione al grande pasticcio creato dallo stesso Governo sulla retribuzione di anzianità del personale della scuola. La soluzione è stata trovata con una sorta di balletto degli scatti e degli anni di anzianità. Non è stato restituito dal Governo neanche un euro dei 300 sottratti con il decreto che aveva inflitto solo al personale della scuola una doppia penalizzazione, blocco del contratto e degli aumenti per anzianità.
Il Governo Letta aveva infatti deciso la non validità dell’anno 2013 ai fini della progressione economica, e il decreto legge di venerdì 17 gennaio conferma tale decisione. Di nuovo e di positivo c’è che si ripristina per il 2014 la progressione per anzianità. Per il riconoscimento del 2012 si rinvia al negoziato per utilizzare parte delle disponibilità della contrattazione integrativa, così come avvenuto per il 2011: una sorta di gioco dell’oca, dove dopo tanta protervia e tanta confusione tutto è tornato al punto di partenza, per consentire aumenti per chi matura l’anzianità con relativi arretrati (questo ci pare comunque un risultato apprezzabile in tale contesto politico e finanziario). La vicenda non è conclusa. Nel negoziato Aran dovremo utilizzare prioritariamente i circa 200 milioni di risorse non utilizzate.
La situazione non è facile, anche per la totale incomprensibile indisponibilità del ministro ad un confronto complessivo sul lavoro degli insegnanti, su come iniziare un percorso virtuoso di riconoscimento delle professionalità. La via è quella di un contratto davvero di cambiamento, in grado di riconoscere il valore del lavoro. Si tratta di mettere al centro il cuore della professione docente, la didattica, la ricerca, l’innovazione. Tutto deve svolgersi fuori da schemi ideologici con lo sguardo al passato. In tutti i paesi europei, ad eccezione della Svezia, la retribuzione degli insegnanti ha un riferimento nella progressione alla anzianità; in quasi tutti i contratti del settore industriale privato parte della retribuzione è legata alla anzianità. Allora la questione è difficile perché i governi, compreso l’attuale, non vogliono individuare risorse per la professionalità docente togliendole a quella parte di spesa pubblica improduttiva e fonte di privilegi che ci allontana dall’Europa.
È questa la difficoltà politica, la mancanza di coraggio decisionale, e quindi si usano le parole per non cambiare nulla. La scuola, gli insegnanti non possono continuare a sostituirsi alla responsabilità politica. Si definiscano modalità di carriera che non portino gli insegnanti fuori dall’insegnamento; ci sono docenti, tanti, che hanno altissima professionalità ed esperienza, possono a pieno titolo essere i protagonisti dei processi valutativi, di supporto, di formazione iniziale e in servizio, di coordinamento e supporto didattico, ma senza uscire dalla attività didattica, definendo diverse modalità di orario e flessibilità di utilizzo, anche in reti di scuole che la pigrizia burocratica dei governi non riesce a definire…
Tali materie richiedono un contratto davvero nuovo, e un Governo che ponga al centro della modernizzazione del paese la scuola, la qualità della scuola che non può non passare per il riconoscimento delle professionalità. Continuare a pensare di trattare gli insegnanti come sudditi, tra l’altro in modo pasticciato, non porta da nessuna parte. Occorre un Governo che prenda rapidamente la strada del cambiamento. Pensare di parlare di contratto ancora in termini burocratici, normativi, significa essere lontani anni luce dalla realtà. Non è più il tempo di discutere, di fare lunghe campagne di ascolto, occorre decidere ed assumere responsabilità. Ciò vale anche per i sindacati; per parte nostra, lo ripetiamo da tempo, continuiamo a lanciare tale sfida.