Il ministro dell’Istruzione on. Maria Chiara Carrozza ha autorizzato la sperimentazione del liceo di 4 anni a partire dall’anno scolastico 2014-2015. La sperimentazione ha rilanciato il dibattito sull’opportunità di ridurre da 13 a 12 gli anni di studio necessari per l’accesso all’università. Leggi qui il primo articolo di Giuseppe Bertagna.



2. L’ipotesi del Gruppo ristretto di lavoro del ministro Moratti (dicembre 2001)L’insieme di questi problemi spiega perché, appena cambiata la maggioranza di governo, il ministro Letizia Moratti, con decreto ministeriale n. 672 del 18 luglio 2001, istituì un Gruppo ristretto di lavoro (Grl) allo scopo “di svolgere una complessiva riflessione sull’intero sistema di istruzione e, nel contempo, di fornire concreti riscontri per un nuovo piano di attuazione della riforma degli ordinamenti scolastici, ovvero per le eventuali modifiche da apportare alla legge 30 del 10 febbraio 2000”. Il Grl era composto da sei accreditati esperti di riforme della scuola, di cui tre impegnati negli uffici scuola e/o nel mondo culturale dei partiti di opposizione. 



Il ministro chiese ai membri del Grl di procedere entro il mese di novembre 2001 ad una ipotesi di “nuovo piano di attuazione della riforma degli ordinamenti scolastici” che: 

A) valorizzasse ulteriormente il ruolo e la funzione educativi della scuola dell’infanzia, valutando in particolare “se e in quale modo considerare la frequenza della scuola dell’infanzia triennale, che resta non obbligatoria e curricolarmente unitaria, come possibile credito ai fini del soddisfacimento di almeno un anno dei 12 di istruzione e/o formazione obbligatoria”; 

B) ipotizzasse un’articolazione unitaria delle due scuole esistenti dai 6 ai 14 anni, con piani di studio che fossero continui e progressivi e che fossero organizzati in cicli didattici e valutativi biennali,  così da legare organicamente l’ultimo anno della scuola elementare e il primo della media; 



C) eliminasse la cosiddetta “onda anomala” determinata dall’attuazione della legge 30/2000, con tutti i suoi insostenibili effetti edilizi, logistici ed organizzativi, spostando il taglio di un anno dell’intero percorso pre universitario dalle due scuole di base alla scuola secondaria; 

D) assicurasse, obbedendo al nuovo quadro delle competenze istituzionali tracciate dal novellato Titolo V della Costituzione varato con 3 voti di maggioranza dal centro sinistra a conclusione della legislatura precedente (marzo 2001), la pari dignità educativa e culturale tra i percorsi secondari (14-18) e superiori (18-24) di “istruzione” statali e di “istruzione e formazione professionale” affidati dal nuovo art. 117 della Costituzione alle Regioni;

E) legasse maggiormente l’intero “sistema educativo di istruzione e formazione” al mondo della società e del lavoro, in particolare valorizzando le metodologie didattiche dell’alternanza scuola lavoro e dell’apprendistato formativo. 

Il Grl, per adempiere al mandato tecnico ricevuto dal ministro, elaborò, anzitutto, una propria bozza di revisione dell’intero “sistema educativo di istruzione e di formazione” (art. 1, c.1, legge 30/2000); bozza  che considerasse come vincoli da rispettare le raccomandazioni ricevute dal ministro. 

In secondo luogo, tra i mesi di luglio e di settembre del 2001, verificò la congruenza, i punti deboli/forti, la praticabilità e il consenso dell’ipotesi di revisione complessiva del sistema educativo di istruzione e di formazione elaborata, attraverso lo svolgimento di Focus group e attraverso il confronto critico con sessanta consigli di classe e di istituto distribuiti, a campione, sul territorio nazionale (settembre-ottobre 2001). Sia i Focus group, che videro ogni volta la pluralistica partecipazione di opinion leader nazionali della cultura e della società, di accademici di contrapposto orientamento scientifico e di rappresentanti del mondo della scuola e di tutto l’associazionismo professionale, sia i risultati della consultazione dei sessanta consigli di classe e di istituto sparsi a campione sul territorio nazionale permisero di assestare in itinere, in base alle osservazioni ricevute, numerosi elementi di dettaglio e qualche tratto strutturale della ipotesi iniziale. 

Contemporaneamente, il Grl chiese a enti, associazioni, centri di ricerca, riviste che coltivavano per mandato o per vocazione istituzionale i problemi della riforma del “sistema educativo di istruzione e di formazione” un giudizio su tutte le raccomandazioni date dal ministro, nonché un’eventuale loro concreta proposta di riordinamento che tenesse conto, in tutto o in parte, di tali raccomandazioni. 

Infine, preparò, con l’Istat, tra fine ottobre e novembre del 2001, una rigorosa indagine statistica per indagare, su un campione rappresentativo e significativo rispettivamente di docenti, genitori e studenti, l’opinione dei protagonisti della vita scolastica italiana sulle scelte qualificanti contenute nell’ipotesi di riforma nel frattempo messa a punto. Lo scopo non era, ovviamente, quello di ottenere elementi da utilizzare per il perfezionamento dell’ipotesi stessa, bensì quello di offrire ai decisori politici e all’opinione pubblica informazioni sul grado di adesione/dissenso alle scelte tecniche e di impianto adottate dal Grl.

La documentazione di tutto questo percorso (compresi i risultati incoraggianti dell’indagine Istat) e l’ipotesi definitiva di riforma del sistema di istruzione e formazione messa a punto dal Grl, naturalmente, come ipotesi, condivisa dal ministro, fu illustrata agli Stati generali dell’istruzione convocati dal Ministero a Roma il 19-20 dicembre 2001. Furono invitate alla manifestazione tutte le componenti della scuola (associazioni professionali, sindacati, associazioni di genitori ecc.) e i rappresentanti dei partiti presenti e non presenti in Parlamento. 

Sull’ipotesi presentata agli Stati generali della scuola, il ministro aprì subito la trattativa politica per giungere in tempi rapidi alla redazione di un disegno di legge delega (febbraio 2002) che fosse poi presentato, discusso e approvato in parlamento. 

L’opposizione, fuori e dentro il Parlamento, scelse subito, però, per dirla con una categoria riassuntiva che fece assegnare il Nobel per l’economia, nel 2005, a Robert Aumann, la strategia del “gioco non cooperativo”. Con tutte le conseguenze del caso. In questo modo, assegnò spesso all’ipotesi caratteristiche ed intenzioni caricaturali per giustificarne meglio, a livello politico, il rifiuto radicale. 

Due partiti dell’allora maggioranza di governo (An e Udc) reputarono invece addirittura offensiva la proposta di pensare i licei, e il classico in particolare, di quattro anni, al pari dei percorsi dell’istruzione e formazione professionale delle Regioni. Inoltre, a loro avviso, la proposta di articolare gli otto anni della scuola che da “elementare” si proponeva di chiamare più correttamente “primaria” (a segnalarne la funzione architettonicamente fondante l’intero sistema educativo) e della scuola media per cicli didattici e valutativi biennali avrebbe snaturato l’identità della scuola elementare riformata nel 1985, definita “il fiore all’occhiello” del sistema scolastico italiano. 

Ultimo, ma certo non da meno, i sindacati della scuola statale e le burocrazie ministeriali, ambedue interessati per ragioni diverse ma convergenti, a difendere lo statu quo, ma anche desiderosi di farsi interpreti dei dissensi espressi da due partiti di governo e dalle forze dell’opposizione, si allearono insieme per cambiare il meno possibile l’esistente e, soprattutto, per ostacolare ogni valorizzazione del sistema di istruzione e formazione professionale delle Regioni, prefigurato dal nuovo Titolo V della Costituzione e proposto dal Grl come percorso parallelo e di pari dignità con quelli di “istruzione” dello Stato.

(2 − continua)