Torna con puntuale ricorrenza l’illusione che l’adeguamento della scuola alle esigenze del Paese possa essere favorito mediante il ricorso a una grande consultazione che indichi con chiarezza gli obiettivi e i percorsi da seguire. Su queste basi si dovrebbe dare vita a una riforma scolastica davvero risolutiva ed epocale.
A questa illusione non sfugge il ministro Maria Chiara Carrozza che ieri, in un’intervista a Repubblica, ha confermato l’intenzione – già preannunciata da qualche settimana – di avviare quanto prima una “Costituente della scuola” allo scopo di “capire come la pensino gli italiani. Da ministro ho le mie idee, ma se non capisco quelle del Paese non posso elaborare l’ultima riforma della riforma. Vorrei fare insieme agli italiani la grande e giusta riforma della scuola italiana”.
L’intento della prof. Carozza è quello di mettere in rete 10 domande intorno a questioni strategiche e lasciare spazio alle proposte di genitori, insegnanti, studenti, partiti, sindacati, fondazioni, semplici cittadini che avranno tempo per esprimersi fino a giugno. A settembre il ministero comunicherà “quali indicazioni saranno recepite”.
Se è del tutto apprezzabile e condivisibile il proposito del ministro di riportare la scuola al centro dell’attenzione culturale, sociale e politica, temo che questa via non porti da nessuna parte. Tentativi del genere sono stati spesso compiuti sia in un passato lontano (gli storici ci dicono che restarono in genere senza frutti) sia in tempi più recenti. Il ministro Berlinguer affidò nel 1996 al prof. Roberto Maragliano l’incarico di una ricognizione a vasto raggio con scopi analoghi a quelli attuali. I risultati sono depositati in documenti facilmente consultabili presso gli uffici ministeriali.
Qualche anno dopo (2001) il ministro Moratti affidò al prof. Bertagna e ad altri cinque esperti (dei quali ebbi la ventura di fare parte) il compito di sondare le scuole in diretta. Partimmo pieni di buona volontà e dalle montagne della Val Susa fino alle spiagge di Marsala visitammo scuole e ascoltammo la voce di docenti, dirigenti, genitori, ecc. Tutto il materiale, anche in questo caso, è a disposizione in alcuni fascicoli degli Annali della Pubblica Istruzione.
Inutile dire che tanta fatica, pur collocata su sponde politiche diverse, non sortì praticamente effetto alcuno. Le due riforme che in misura più o meno coerente tentarono di ispirarsi alle opinioni raccolte infatti abortirono entrambe.
Neppure la mega consultazione realizzata in Francia tra il 2003 e il 2004 – aperta addirittura da un intervento dall’allora presidente Chirac – e guidata da Claude Thélot, ebbe miglior fortuna. La grandiosa radiografia dello stato di salute della scuola transalpina (anch’essa facilmente reperibile nel volume Pour la réussite des tous les élèves, 2004) con molte e suggestive proposte non ha poi avuto quel seguito che era nelle aspettative dei promotori.
Se mi è consentito esprimere una modesta opinione basata sulla mia esperienza di “esperto”, la ragione dell’insuccesso di queste forme apparentemente molto democratiche è molto semplice. Mentre sulla diagnosi non è impossibile raccogliere un consenso abbastanza ampio, sulla terapia – e cioè là dove è chiamata proprio la politica ad esprimersi – le opinioni divergono fatalmente.
Auguro alla Costituente carrozziana miglior fortuna, ma alla fine il ministro si troverà – proprio come adesso – a dover scegliere tra filo autonomisti e neo centralisti, tra sostenitori della valutazione tipo Invalsi e chi ne vorrebbe una di impronta molto diversa, tra chi auspica un’espansione delle tecnologie e chi invece lamenta la perdita della centralità della cultura classica, tra gli ostinati difensori del liceo quinquennale e quanti, invece, auspicano la fine dell’istruzione secondari al 18esimo anno e via di questo passo.
Forse la scuola italiana più che di una Costituente dall’esito – vorrei naturalmente essere smentito dai fatti – presumibilmente infruttuoso, ha bisogno di un po’ di pace dopo vent’anni di riforme tentate e fallite, “aggiustamenti” con il trapano (vedi i tagli) e ritocchi con il cacciavite e di poche altre cose: un’azione ampia e diffusa di messa in sicurezza degli edifici, maggiore coraggio nel riconoscere gli spazi dell’autonomia scolastica, incoraggiando le scuole a logiche di rete, e soprattutto un forte impegno per sostenere capillarmente l’aggiornamento dei docenti.
I propositi mega riformatori (falliti) di Berlinguer e Moratti suggeriscono che è inutile tentare altre riforme “dall’alto”. Forse la via più produttiva è quella di incoraggiare gli istituti a migliorare, promuovendo il cambiamento a partire dalla realtà delle singole scuole, magari proprio cominciando a riflettere su quei dati (che suscitano tanta diffidenza) forniti periodicamente dall’Invalsi.