Una mina vagante nell’attuale scenario della politica scolastica è rappresentata dal contratto della scuola, scaduto da quattro anni sia per la parte economica che per quella normativa. La Legge di stabilità, entrata in vigore il 1° gennaio 2014, ha rinnovato il blocco per tutto l’anno in corso del contratto nazionale del pubblico impiego, personale della scuola incluso. Nonostante le dichiarazioni contenute nella nota di accompagnamento del governo (“La Legge di Stabilità rafforza ulteriormente le misure già varate in favore della scuola, dell’università e della ricerca”) quanto a stipendi e rapporti di lavoro la scuola rimane sott’acqua. La vacanza contrattuale, infatti, sarebbe prevista solo per il biennio 2015-2016 (dunque persa per il biennio precedente). Negli auguri di fine anno postati su Facebook il ministro Carrozza si è concentrata sul decreto “L’istruzione riparte”, che ritiene il vero pezzo forte della sua azione governativa fino a questo punto, facendo riferimento ai “450 milioni di euro a regime per il diritto allo studio universitario, il wireless nelle scuole, agevolazioni per i trasporti, il comodato d’uso per i libri, l’assunzione di più d 26mila insegnanti di sostegno, l’orientamento, la lotta alla dispersione scolastica, la formazione dei docenti, gli istituti musicali”.
Non c’è accenno al rinnovo contrattuale, anche perché il ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) ha ormai tirato una riga in calce ai conti. La tabella 7 allegata al bilancio di previsione 2014-2016 parla chiaro: non sono previsti aumenti di spesa per il personale, semmai un contenimento. Si aggiunga, in questa direzione, la simpatica intenzione del Mef di recuperare le somme già corrisposte nel 2013 per chi ha maturato, nel corso del 2012, il passaggio a una nuova classe stipendiale (vedi nota del 27 dicembre).
Sebbene gli adeguamenti economici siano esclusi dalla manovra del governo, e il prelievo sulle buste paga già versate appaia davvero un’inutile forzatura, tuttavia più volte il ministro Carrozza ha manifestato l’intenzione di volere aprire e chiudere, nel 2014, la vertenza contrattuale per la parte normativa.
I sindacati di categoria all’unisono si sono espressi negativamente su una simile prospettiva: se non c’è rinnovo economico, non vale la pena parlare di aggiornamento normativo. Agli occhi delle organizzazioni sindacali la revisione dello status professionale separato dalla progressione economica equivarrebbe ad un intervento sull’orario di servizio, eventualmente protratto senza adeguato compenso. Non c’è che dire: i precedenti in questo ambito rafforzano il pregiudizio sindacale. Il ministro Profumo aveva annunciato e poi ritirato una proposta di aumento dell’orario settimanale di servizio dei docenti della scuola secondaria ope legis, senza il consenso sindacale.
Riteniamo nondimeno che il tema sia da approfondire con cura, senza preclusioni da entrambe le parti: governo e sindacati. Gli insegnanti non sono una massa informe da manovrare e neppure titolari di una funzione che si può esercitare in maniera anonima e separata dal contesto. Occorre sempre, con cognizione della realtà, partire dal presupposto che tanti docenti si assumono di fatto la responsabilità di condurre gli alunni all’acquisizione di conoscenze e competenze tramite la comunicazione della propria passione per l’oggetto dell’insegnamento. Le conoscenze (e le competenze) si comunicano da persona a persona. Non si imparano solo stando di fronte ad una macchina o ad un display.
Per parlare poi del contratto vigente per la parte normativa (quadriennio giuridico 2006-09), esso vincola la mansione docente all’espletamento di una funzione e non di una professione, con il conseguente agganciamento della progressione economica alla sola anzianità. Da più parti (destra, sinistra, centro) questi criteri sono ritenuti superati, e superati anche da tanti insegnanti che, oltre alle ore di servizio e all’anzianità, chiedono un riconoscimento del merito, cioè della qualità del loro incarico.
D’altra parte, le politiche scolastiche sostenute dagli ultimi governi, al di là delle dichiarazioni di principio, non depongono a favore di una chiara volontà della valorizzazione della professione docente, tra tagli di personale e tagli dei già magri stipendi.
Ragionevolezza imporrebbe che si accedesse ad un nuovo tipo di contratto che libera (meglio liberalizza) il lavoro del docente concedendogli una maggiore possibilità di intrapresa della propria capacità professionale nel contesto dell’istituto da cui è assunto o di una rete di scuole. Un passo che potrebbe portare anche, se liberamente scelta e chiaramente motivata, ad una presenza più duratura tra le mura della scuola. A fronte di un riconoscimento anche economico del tipo di servizio che l’insegnante svolge, previa rinuncia da parte dello Stato a scorrette manovre sui benefici già maturati.
Ragionevolezza, appunto. Se ve n’è ancora in giro, questa è la sua ora.