Se due ministri arrivano a scontrarsi sul mondo della scuola vuol dire che le cose si sono fatte serie.

Meglio tardi che mai, potremmo concludere.

Anche questo è un episodio che dice tutta la “stranezza”, chiamiamola così, del nostro Paese. 

Invece di cogliere e di condividere il cuore pulsante del proprio futuro, cioè il mondo della formazione, si pensa solo a quadrare i conti. Ha un bel dire il premier Letta, durante l’ultima fiducia al suo governo, dell’importanza di una scuola di qualità, quando poi, al dunque, la stessa scuola viene trattata come l’ultima ruota del carro. Eppure le paginate di sua moglie sul Corriere della Sera avrebbero dovuto portarlo ad una diversa attenzione. E invece. 



Da mesi, da anni, come ha sottolineato ieri su queste pagine Giovanni Cominelli, quasi ogni giorno appaiono notizie su sprechi e quant’altro, ma alla fine a pagare sono sempre e solo i soliti noti. Quelli che cioè non fanno solitamente la voce grossa, che tirano avanti la carretta della responsabilità quotidiana, che ogni giorno pensano al bene delle giovani generazioni. Le giovani generazioni, appunto, e non solo le prossime elezioni, per riprendere una nota battuta di un grande statista.



Che lo scontro tra ministri possa significare che finalmente la politica si è ripresa dal dominio degli apparati ministeriali?

Non sapendo, infatti, fare più il proprio dovere, la politica ha, col tempo, finito per delegare ai grigi burocrati la parte del leone nella tragi-commedia italiana. Cosa hanno fatto, per il caso in questione, questi grigi burocrati? Hanno pensato bene di prendersela, per pochi euro, con il mondo della scuola, con un personale che da anni ha gli stipendi bloccati, che ha subito tagli drastici negli investimenti e nelle strutture, con classi sempre più numerose (nella mia scuola ci sono 14 classi con più di 30 studenti), eccetera.



E così il governo ha fatto l’ennesima brutta figura. Si era pensato, in un primo momento, di  penalizzare i docenti per 130 euro. Senza dimenticare il rischio taglio anche per i presidi per altrettanti soldini, ma al mese. Di fronte alla generale sollevazione, il fatidico annunciato passo indietro. Si era scherzato! Ma è solo una delle tante contraddizioni.

Penso qui ai presidi che hanno vinto un concorso ordinario, penalizzati nello stipendio (sui 300 euro netti al mese) rispetto ai vincitori di un concorso riservato. Una follia! E nessuno fa niente, nessun sindacato che gridi allo scandalo! Silenzio tombale al Miur.

Sono segnali che dicono che siamo alla frutta, potremmo aggiungere. Lo scontro tra Miur e Mef potrebbe rappresentare il punto di non ritorno, cioè di risveglio? Non lo credo, perché a dominare è la parola d’ordine: “stabilità”. 

Eppure, non ha più tanto senso invocare la “stabilità” come bene supremo, se poi questi sono i risultati. Nel senso che non ha più senso scaricare sui più deboli, in termini di forza corporativa, le proprie contraddizioni.

Ci vorrebbe la politica vera, quella che si assume anche la responsabilità di rompere i muri di gomma, l’autodifesa delle corporazioni, le barriere ideologiche.

Pensiamo qui, per citare solo un caso eclatante, all’anzianità di servizio come unico criterio per le graduatorie dei docenti: possibile che nemmeno l’innovatore Renzi, che si ritrova una moglie insegnante in casa, non abbia mai speso una parola su una regola che tutti sanno essere un ferro vecchio assistenzialista? Tutti sanno tutto, all’interno delle scuole anzitutto, ma nessuno parla. L’omertà assoluta.

Ciò che penso abbia più fatto scalpore, in questo caso, è stata l’arroganza politico-burocratica. 

Sapendo che tutto questo avviene mentre il ministro Carrozza sta chiedendo a tutta la scuola un concreto coinvolgimento, per rendere la formazione cuore pulsante del nostro Paese. Intenzione lodevole, ma nella realtà è solo un sondaggio dal sapore populista. Basterebbe che girasse per le scuole, e la realtà si imporrebbe da sola. Cioè la scuola reale, non le visite-vetrina. Perché la scuola reale non è quella racchiusa nelle statistiche ministeriali, figlia di un sapere che mai ha toccato con mano la vita concreta perché non è mai entrato nelle classi, mai discusso in collegio dei docenti, non si è mai confrontato con le esigenze dei giovani d’oggi e delle famiglie.

Il ministro Carrozza vuole superare l’autoreferenza dei dirigenti ministeriali? Anzitutto, potrebbe rompere la cortina di ferro normativa, la stessa che consente ai burocrati di difendersi e riprodursi a vicenda nei posti chiave (nella scuola la cultura amministrativa è necessaria ma non sufficiente!). In seconda battuta, dovrebbe servirsi di una rete di gruppi di consultazione provenienti dalla vita reale, sparsi in tutto il Paese. Lasciando fuori il Miur e gli Usr. Solo presidi e docenti.

Allora capirebbe che, se la politica ha ancora un senso come capacità di determinazione dei destini di un Paese, il sentiero ce l’avrebbe già segnato, più volte richiamato in questi 20 anni di vuoto politico. Occorre riconoscere il valore di tanti operatori della scuola, cioè l’autonomia didattica, organizzativa e finanziaria, politiche del personale (formazione, reclutamento, differenziazione di carriere e stipendi), valutazione esterna severa e rigorosa dei risultati. 

Noi, mondo della scuola, sapremmo cosa e come risparmiare, e spendere meglio le poche risorse a disposizione, senza umiliare nessuno, ma riconoscendo a ciascuno il proprio valore e la propria responsabilità.

Che cosa manca, dunque, alla nostra Italia? La solita − si fa per dire − etica della responsabilità.