Non si affannino i legislatori, gli imprenditori, i sindacalisti e le corporazioni; non si sprechino pagine e pagine di questionari o pdf di proclami in rete: se mai questa scuola italiana, tirata per la giacchetta ogni santo giorno da tutte le parti, potrà davvero riuscire a salvarsi, sarà solo grazie a un insegnante.
Un insegnante con la sua voce, il suo corpo, la sua presenza. Lo diceva già Daniel Pennac nel suo Diario di scuola: “una sola certezza, la presenza dei miei allievi dipende strettamente dalla mia, dal mio essere presente all’intera classe e a ogni individuo in particolare, dalla mia presenza alla mia materia, dalla mia presenza fisica, intellettuale e mentale, per i cinquantacinque minuti in cui durerà la mia lezione”.
Massimo Recalcati, psicanalista lacaniano, ne L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento (Einaudi, 2014) dice esattamente che questa è l’unica chance per la scuola. Anzi, dice di più: un’ora di lezione può cambiare la vita. La sua, per esempio, è cambiata così. A leggerlo dalle ultime pagine, quello di Recalcati è uno straordinario libro d’amore e di passione per alcuni insegnanti, e in particolare per un’insegnante di lettere che l’autore ha avuto la fortuna di incontrare all’Istituto agrario di Quarto Oggiaro. Giulia Terzaghi, così si chiamava l’insegnante, è stata “un fuoco più caldo, più profondo, più forte che ho portato da allora in me e che ho custodito come un’eredità”, dice lo psicanalista. L’incontro con Giulia ha modificato per sempre il cammino della sua vita, cioè, per dirla con le parole di Recalcati, ha prodotto un “soggetto, un desiderio singolare, una passione che può orientare la vita… Un’apertura inedita diventa possibile e in essa può emergere un’attitudine, una vocazione, un’inclinazione singolare. In una parola: il desiderio del soggetto”.
Quello di cui parla Recalcati nel capitolo quinto del suo straordinario libro è una resurrezione, una rinascita alla vita grazie ad un incontro, un momento così inaspettato e inaudito, così sorprendente e intenso da rendere possibile un nuovo inizio, una ripartenza. La scuola è tutta qui, viene da chiedersi? Sì, la scuola è tutta qui. Ma perché accada c’è bisogno di una Giulia, della sua storia, della sua passione per quello che fa e della sua capacità di testimoniare il valore di quello che offre, e c’è bisogno di un Massimo, di due storie e di un posto dove le storie, quasi per caso, possano far nascere un’altra storia. Di due io che trovino un luogo dove accadere come incontro.
Recalcati è uno straordinario narratore e arriva lì, a quello che gli preme dire, al cuore del discorso, accompagnandoci in un viaggio nell’esperienza della scuola italiana degli ultimi sessant’anni e fornendo a quel cuore pulsante tutto il sangue necessario, tutte le ragioni psicanalitiche e filosofiche, tutte le motivazioni sociali e culturali.
La scuola degli anni cinquanta era la scuola di Edipo: l’insegnante era l’incarnazione della tradizione, questo bastava perché venisse rispettato; in più essa viveva sull’alleanza tra insegnanti e genitori. Questa scuola genera al suo interno il mostro che la divora: è il tempo della contestazione, del ’68 e del ’77, tempo verso il quale Recalcati mostra talvolta troppa indulgenza. E’ la scuola in cui si lotta contro la Legge e prevale il desiderio: ma il desiderio senza legge, dice lo psicanalista, diventa puro caos, frammento.
Così dopo la sbornia contestatrice, la scuola diventa quella di Narciso: in essa domina la tragedia del perdersi nella propria immagine, di un mondo ridotto a immagine dell’io. Dalla liberazione collettiva del desiderio si passa a quello dell’affermazione cinica di se stessi. Una scuola in cui l’alleanza non è più tra genitori e insegnanti, ma tra figli e genitori che si sentono chiamati ad abbattere gli ostacoli che mettono alla prova i loro figli. Narciso abolisce il limite, non tollera il fallimento, nemmeno la critica.
Ci sono pagine, in questo piccolo preziosissimo libro, che sono un vera fenomenologia dell’accadere della scuola oggi. Gli insegnanti sono soli contro padri tatuati, contro ricorsi per voti considerati ingiusti o provvedimenti disciplinari da archeologia; il libro è polverizzato, si enfatizza la tecnologia informatica alla ricerca di un illusorio sapere illimitato e disponibile senza fatica. E’ la wikipedizzazione della scuola, è la fine della parola che stabilisce una relazione stretta tra il dire e le sue conseguenze. Ma proprio mentre esalta l’io, la scuola-Narciso tende a schiacciare il sapere sulla ripetizione, sulla riduzione dei programmi, sul dominio delle prove oggettive e delle griglie. La scuola oggi, per Recalcati, vive un altro grande complesso relazionale, quello di Telemaco: sono venuti meno gli adulti, non c’è più il conflitto, domina la confusione dei ruoli, figli e genitori sono una melassa indistinta. Da qui il compito della scuola-Telemaco: restituire valore all’adulto, all’insegnante e alla sua funzione come figura centrale nel processo di “umanizzazione della vita… La scuola-Telemaco si realizza nell’incontro con una parola che sa testimoniare non soltanto di sapere il sapere, ma anche che il sapere si può amare, si può trasformare in un corpo erotico”. Insomma, la vera scuola è quella che sa riaccendere il desiderio in un mondo in cui il desiderio e il sogno sono morti; è la capacità da parte di un adulto di appassionare i giovani mobilitando il desiderio di sapere.
Sono bellissime le pagine in cui Recalcati ricostruisce il gesto di Socrate, paradigma del maestro che non riempie di conoscenza il vuoto dell’allievo, ma lo trasforma, lo mette in movimento verso la verità del proprio desiderio. Così il vero allievo è colui che tradisce il maestro, trovando la sua soggettiva via al sapere. Educare coincide allora con l'”apertura stessa della vita, possibilità di fare esperienza della vita come apertura illimitata”.
Ma com’è possibile tenere acceso il motore del desiderio in un’epoca in cui si parla della trasmissione delle competenze, del raggiungimento del successo formativo, in un’epoca in cui la scuola è aziendalizzata e, se va bene, gli insegnanti sono chiamati ad una progressiva burocratizzazione del loro ruolo? Come fa una scuola in cui la didattica è al servizio della ripetizione a custodire lo spazio per la sorpresa, l’emozione, la bellezza del sapere? E’ l’insegnante di cui parlavamo all’inizio che rende possibile questo, è l’ora di lezione che muove al desiderio del viaggio. La presenza dell’insegnante assume la forma di uno stile: è questo stile che ci raggiunge, che ci muove.
Qualcuno potrebbe pensare che tanta fatica di pensiero non sia in grado di dare una sola indicazione pratica per la scuola del presente e del futuro, se tutto si limita ad un evento quasi miracoloso che non si può programmare o prevedere. Probabilmente però questa conclusione è la conferma della tesi di Recalcati: la scuola burocratizzata, la scuola che non è in grado di far crescere la capacità critica, ma si limita alla riproduzione del sapere tecnico, non può produrre pensiero e visione e non è in grado di vedere in questa lunga e appassionata narrazione chiare indicazioni di lavoro. Che invece ci sono e vanno ben più in profondità dei titoli ad effetto della buona scuola renziana, forse al di là della stessa intenzione di Recalcati, e si possono condensare in una parola che non risuona in quelle pagine governative: si tratta della parola libertà.
Della libertà vera, non di un’autonomia falsa e monca, ma della possibilità che un incontro tra un io e un altro io si realizzi fino in fondo e sul serio. Perché credo che abbia davvero ragione Recalcati: è solo attraverso un incontro che un uomo può essere riaperto alla vita. Ma occorre che ci sia una scuola che sia in grado di garantire lo spazio di libertà necessario perché ciò accada; che ci sia un io, poi, in grado di essere maestro come vuole lo psicanalista milanese; che ci sia un io, ancora, che sia capace di leggere lo stile e il valore di chi si trova davanti. Ma se ogni mattina un insegnante passa la prima mezz’ora in classe a guardare il video del pc per compilare un registro elettronico, quell’io non lo vede neanche. Se un insegnante viene valutato, così si dice, per il merito e il merito è costituito da tutto ciò che non si fa in classe — corsi d’aggiornamento, conferenze telematiche, ecc. — sarà difficile che qualcuno pensi ancora alla scuola come all’ora di lezione. Il libro di Recalcati qualche cosa di concreto, insomma, lo dice, eccome. E bisognerebbe stare ad ascoltarlo. Ma probabilmente non fa molto tendenza criticare la scuola delle tre i, e sostenere ancora una scuola in cui si parla del valore centrale del maestro.
Anche Recalcati, però, non arriva a rispondere a una domanda cruciale. Egli dice che il desiderio che l’insegnante sa accendere è desiderio per il sapere; che l’insegnante vale non solo per quello che dice, ma per come lo dice; e conta anche da dove lo dice, cioè da dove trae forza la sua parola. Da dove trae forza la parola dell’insegnante? E’ solo il suo amore per il sapere a renderlo affascinante? Non ci vuole una scuola davvero libera, che sappia garantire la possibilità di dire da dove viene quella forza? Di sperimentare, in forma assolutamente personale, quello stesso luogo di senso, e dunque anche di prospettiva e direzione, da cui trae forza la voce di chi insegna? Se non si arriva fin lì, ho l’impressione che la scuola-Telemaco finisca per riprodurre ciò che si vuole combattere: un luogo in cui la legge è la mancanza di legame tra la parola e l’esperienza, cioè la mancanza della libertà vera. Non è di questa libertà, non è di questo legame, vivo e incarnato nella figura di un maestro, che ha bisogno la vita e la scuola italiana?