Resta dove sei, poi vai. Una frase apparentemente senza senso. Senza senso come la guerra. 

L’ultimo libro di John Boyne, l’autore del famoso Il bambino col pigiama a righe, intitolato proprio Resta dove sei e poi vai, in libreria per Rizzoli, ci riporta indietro nel tempo, al periodo della Grande Guerra. Quel periodo storico viene osservato e descritto con gli occhi di Alfie, un bambino dell’età di nove anni la cui festa di compleanno, assieme alla vita di tutti, viene rovinata dallo scoppio del conflitto. L’ambientazione è la Londra del 1914, con il carro del lattaio trainato dal cavallo in giro per le strade e i lustrascarpe con i loro panchettini alla stazione di King’s Cross. 



La Germania minaccia di invadere l’Inghilterra, e Alfie, come tanti altri ragazzi della sua età, deve salutare il papà in partenza volontario per il fronte. La guerra però la combatte anche chi rimane a casa, e per dare una mano alla mamma in difficoltà Alfie inizia di nascosto a lavorare come lustrascarpe. Passano gli anni, finché un giorno, grazie alle chiacchiere inconsapevoli di uno dei suoi clienti alla stazione, Alfie scopre che il papà, di cui da tempo non si hanno più notizie, non è in missione segreta in Francia come la mamma gli vorrebbe far credere. Quando lo rintraccia, Alfie ritrova un uomo molto diverso da quello che ricorda, smagrito e spezzato dagli orrori della trincea. Tutto solo, decide di intervenire, con tanto eroismo e altrettanta avventatezza. Quel padre, però, non è ancora pronto a tornare nel mondo, e proprio la strenua volontà del figlio — ma non da sola — sarà la molla per farlo uscire dagli incubi a occhi aperti in cui è sprofondato.



Vale la pena leggere questo nuovo romanzo di Boyne, scritto per ragazzi ma capace di parlare anche agli adulti. Dell’autore conosciamo già la sua capacità narrativa in grado di toccare le corde del sentimento senza scadere in eccessi sdolcinati. Alfie è infatti un bambino cui ci affezioniamo subito quando lo incontriamo nella storia all’età di nove anni e che saremo tristi di lasciare quando ne avrà tredici, qualche anno dopo la fine del primo conflitto mondiale. 

Alfie è un bambino, ma è un grande. Anzi è già grande. Comprende molto bene le difficoltà economiche della madre, costretta a rimediare lavoretti tutto il giorno per recuperare il pane da mettere sotto i denti e qualche legnetto dentro la stufa, e si dà da fare, non resta a guardare. Si improvvisa così lustrascarpe in stazione dove diventa  bravo ed esperto e guadagna i suoi bei penny che infila di nascosto nel borsellino della mamma.



Non crede alle menzogne della madre che prova a convincerlo che il padre è in missione speciale; dotato della logica che esercita con competenza, capisce che la storia che gli raccontano non è credibile e con l’aiuto di un pizzico di fortuna scopre la verità sul padre. 

Questo libro, così ben scritto, ci mostra come un bambino sappia e possa prendere iniziativa, come legga con attenzione i dati del reale che gli vengono messi a disposizione, come sia logico nel tirare le conseguenze con le informazioni che possiede. Ma il bello di Alfie è che non è affatto un supereroe, Alfie sbaglia anche. Sbaglia perché non riesce a valutare fino in fondo le conseguenze delle sue azioni, perché è ingenuo e manca di esperienza.

Sta anche qui la bontà dell’autore, nel descrivere un giovane dotato e capace che però non può fare tutto da solo come vorrebbe, che ha bisogno di farsi aiutare e di confrontarsi con qualcuno per raggiungere ciò che desidera.

Chissà, forse potremmo leggere anche in questa chiave il bel titolo del romanzo. Resta dove sei, ossia pensa, valuta, giudica, confrontati, non partire d’impulso. E poi vai, muoviti di conseguenza, agisci, prendi iniziativa, non stare fermo.

E questo invito, questo suggerimento, non serve solo ai più giovani. Serve a noi. In particolare a noi, così tentati di fare sempre tutto da soli, senza più chiedere.