LIPSIA — Nel Wilhelm Meister il grande poeta tedesco Johann Wolfgang von Goethe riflette sulla sua missione teatrale, che non vuole essere solo un contributo alla letteratura nazionale tedesca, ma formare, sul palcoscenico del teatro, una “cultura tedesca”. Il fallimento, vista la forte consapevolezza di questa missione, sarà doloroso: “il palcoscenico non è in grado di creare un popolo nel senso sommo della parola” (Goethe, citato in Hans Urs von Balthasar, Gloria, III, 2, 696, ed. tedesca). 



La domanda che mi guida in questo articolo è se il sistema scolastico tedesco attuale sia in grado di offrire un’educazione del popolo nella sua interezza o se sia concentrato solo all’educazione delle classi dirigenti del popolo tedesco. Ne ho parlato con due colleghi: Susanne Jugl-Sperhake, insegnante della Turingia di storia e tedesco, sia in un liceo che in una nuova forma di scuola che si chiama Gemeinschaftschule e Stefan Auerswald, insegnante di musica e tedesco e responsabile del profilo scolastico in un liceo della Sassonia-Anhalt, gemellato con la Gemeinschaftschule della collega. 



Il sistema scolastico tedesco è articolato in tre rami principali, dopo i primi quattro anni delle elementari, comuni a tutti i bambini: L’Hauptschule, che dura cinque anni, la Realschule, che dura sei anni (insomma fino alla decima classe) e il liceo, che dura in molti Länder otto anni (in altri ancora nove, secondo il vecchio modello). La Gemeinschaftschule si distingue dall’Hautpschule e dalla Realschule perché in essa, dopo i primi dieci anni (contando anche le elementari), è possibile, ripentendo il decimo anno, procedere senza soluzione di continuità nello studio liceale ed arrivare alla maturità con tredici anni di scuola. Nella scuola paritaria riconosciuta dallo stato in cui lavora la collega della Turingia — e questo è una cosa unica nella regione — è possibile, nella stessa scuola, passare da questo livello della Gemeinschaftschule al liceo. Il gemellaggio, condizione necessaria di questo nuovo modello di scuola, tra la Gemeinschaftschule e il liceo ha un carattere simbolico ed amministrativo unitario molto forte. 



Questo tentativo è sorto per combattere una tendenza, molto diffusa in Germania, per la quale solo chi arriva alla maturità ha fatto un percorso degno di un certo prestigio sociale; ma che ha anche come conseguenza di portare al liceo molti studenti che non ne hanno le capacità, o almeno che non le anno immediatamente dopo i primi quattro anni di elementari. Stefan Auerswald sottolinea l’importanza di una “solidarietà sociale” tra gli studenti del liceo e quelli delle altre forme di scuola; la presa di coscienza dell’importanza del valore della “solidarietà” avrebbe il merito di superare questa concentrazione sul prestigio sociale di cui parliamo. In assenza di tale solidarietà sociale invece non si potrà che approfondire il distacco tra le classi dirigenti e quella dei lavori pratici, che solo sentendosi un “popolo”, o partecipi di una stessa “cultura tedesca” — nel senso che voleva raggiungere Goethe con il teatro — possono vivere in armonia e in modo socialmente fecondo.

È innegabile che vi siano delle differenze sia di talenti (Dr. Auerswald ha preso la musica come esempio) che di posizione sociale; un ragazzo che è stato educato in una famiglia che legge regolarmente libri, ha un approccio alla cultura diverso rispetto a quello di chi invece ritiene un libro alcunché di noioso; ma anche lui non vive di soli libri. Quello che Goethe vedeva come irrealizzabile sul palcoscenico, se non si vuole arrivare ad una frattura sociale, gravida di possibili conflitti ed incomprensioni, deve essere tentato sul “palcoscenico scolastico”; e la Gemeinschaftschule già dal nome propone proprio quella dimensione di comunità solidale che sola può far nascere una cultura “popolare”, nel senso di una cultura del popolo.

La rivoluzione digitale in atto da decenni unisce poi comunque tutti gli scolari in forme analoghe di trasmissione del sapere e di uso del linguaggio, e il compito dell’insegnante, anche in un liceo, è quello di accogliere gli studenti nello “statu quo” in cui si trovano. In questa “accoglienza” nasce un percorso educativo che se anche ha delle mete differenti — il sapere più teoretico di un liceo o il sapere più pratico delle altre forme scolastiche — ha un punto di partenza comune, espresso da questa dimensione radicalmente democratica che è uno degli aspetti più interessanti della rivoluzione digitale in atto.

Per quanto riguarda la discussione che si svolge in Italia sul liceo classico e sul suo possibile bisogno di riforma, in Germania non se ne trova un corrispettivo. Per quanto ne so io il greco non è una lingua obbligatoria in nessun liceo, ma ovviamente vi sono dei licei che nel proprio profilo o per il tipo di studenti che hanno possono proporre lo studio del greco (come insegnamento o come Arbeitsgemeinschaft). Markus A. Gruber dell’Università di Ratisbona parla per i licei statali, religiosi e privati di uno 0,53 per cento di studenti che hanno imparato il greco nel loro percorso scolastico. Lo studio del latino ha, anche nei nuovi Länder (e dopo quarant’anni di lingua russa nella ex Ddr non è per nulla scontato) assunto pian piano il carattere di “distintivo” delle classi medio alte, ma non in modo esclusivo (a livello nazionale imparano il latino, che è ancora al terzo posto tra le lingue scelte dai ragazzi e dalle famiglie, circa il 9 per cento degli scolari; in Turingia circa il 3,4 per cento). Una scuola che offra per esempio un corso bilingue, tedesco ed inglese, in economia, può far parte di quelle scuole che educano le classi dirigenti.

Ciò non significa ovviamente che la cultura classica non abbia la propria importanza per quel lavoro di cultura unitario di cui parlavamo all’inizio dell’articolo, ma che essa non domina il dibattito tedesco come quello italiano al momento. 

Come insegnante di latino ho riflettuto a volte con i miei scolari sul contributo che una lingua come il latino possa offrire ancora oggi e mi sono richiamato ad un argomento che forse non è preso molto sul serio o che per lo meno non è tra i più dibattuti. L’antichità classica, greca e latina, è la madre di quel sapere mitologico che non hai mai smesso di influenzare la nostra cultura; anche in un’epoca tecnica e digitale come la nostra, nei giochi in rete, nei film, nei libri, gli argomenti mitologici hanno la capacità di unificare l’interesse di molte persone di differenti classi sociali. Faccio solo un esempio: quando mia figlia mi diede da leggere il primo volume de The Hunger Games, che ora si può vedere anche nella versione cinematografica, quel vecchio più che cinquantenne che legge normalmente dei classici (Goethe, Shakespeare…), per alcuni giorni (durante le ferie…) non ha potuto far altro che leggere ininterrottamente questo libro, in cui si raccontava la forza di un potere brutale e il coraggio di giovani che vi si ribellavano. 

Forse tenendo conto, tra i tanti fattori che fanno parte della comunicazione scolastica, di questa dimensione “mitologica” sarà possibile creare un popolo nel senso sommo di questa parola. Quando per nove anni (1993-2001), in Baviera, ho insegnato in una Hauptschule, cioè nell’ultima casella del sistema scolastico tedesco, era proprio un lavoro mitologico, le Cronache di Narnia di C.S. Lewis, che mi ha permesso di formare ed educare anche i ragazzi destinati a lavori pratici a quell’unica cosa veramente necessaria e che fonda nel modo più profondo la “solidarietà sociale” di cui ho parlato, e cioè la risposta alla domanda: chi è l’uomo?