“Occorre puntare sul passaggio dello Stato da gestore di scuole a controllore della qualità e della conformità alle leggi vigenti”. Diversamente l’autonomia non funzionerà, proprio come sta accadendo adesso. A dirlo è Marco Masi, presidente di Cdo Opere educative. Archiviato il periodo dedicato alla consultazione pubblica, Masi fa un bilancio del documento governativo, che contiene alcune luci ma anche molte ombre. In questa intervista, spiega perché dedicare misure solo al precariato non basta più.



Qual è il parere di CdO Opere educative sul documento del governo “La buona scuola”, di cui si è conclusa la consultazione pubblica?
Siamo convinti che nel documento La buona scuola  siano presenti sollecitazioni importanti per un ampio confronto pubblico sul valore della scuola. E’ una grande occasione per  domandare a tutti quelli che a vario titolo ne fanno parte, come pure al mondo del lavoro: “Che cos’è per voi la scuola? A cosa deve servire? Quali sono le forma più adeguate perché la scuola possa realizzare il suo scopo?”



C’è qualche passaggio che vi ha colpiti in modo particolare?
Direi che i due aspetti più rilevanti del documento, che è molto articolato, non sono di natura tecnica o organizzativa, ma culturale. Innanzitutto, dopo decenni in cui si è ragionato di scuola quasi esclusivamente per ragioni di natura economica e occupazionale, considerandola spesso una spesa improduttiva o tuttalpiù un ammortizzatore sociale, finalmente si è cominciato a dire apertamente che l’educazione/istruzione è la leva fondamentale per la crescita dell’intero Paese.

E l’altro?
L’altro aspetto è connesso a questo, ma va ancora più al fondo della questione, e cioè il riconoscimento di quello che è il vero scopo di ogni scuola. Fra le tante questioni, talvolta poste in modo anche un po’ contraddittorio o velleitario, è riconoscibile in filigrana la domanda che la scuola torni a svolgere appieno il suo compito, cioè educare e istruire. Lo scopo della scuola, di tutta la scuola, statale o paritaria che sia, è che attraverso l’istruzione — come è scritto nel documento — si “sviluppi nei ragazzi la curiosità per il mondo e il pensiero critico“. E che questo possa accadere “per tutti e per ciascuno“.



Ma non si rischia che, come dice Camus, si indichi la meta ma non esista la strada? Nel documento governativo, gli strumenti previsti perché questo si realizzi sono adeguati?

Ciò che permette l’educazione è innanzitutto la presenza di adulti autorevoli e capaci di prendere sul serio e di valorizzare la domanda di cultura, e perciò di senso, dello studente. Occorre sostenere gli adulti che con libertà e responsabilità accettano la sfida del rapporto educativo. Per  questo serve il più ampio grado di libertà possibile, perché i suoi protagonisti possano mettere in campo tutta la responsabilità che per sua natura la dinamica educativa richiede. Ecco, da questo punto di vista l’impianto complessivo del documento rivela una certa fragilità…

Cioè?

Prendiamo in esame, ad esempio, la questione dell’autonomia della scuola statale, cui il documento dedica una certa attenzione. Nella maggior parte dei Paesi europei gli istituti sono autonomi e quindi godono di una significativa libertà di azione, dall’aspetto didattico/educativo a quello organizzativo/finanziario. Per questo sono in grado — ovviamente nei limiti normativi di riferimento — di prendere importanti decisioni, anche economiche.

E da noi?
La legge italiana, come è noto, riconosce alle scuola una limitata autonomia didattica e organizzativa, di sperimentazione e sviluppo. Per le scuole statali non c’è traccia di autonomia economico-finanziaria e, men che meno, di selezione del personale. Addirittura, dopo la riforma costituzionale del 2001, che pure ha introdotto in Costituzione l’autonomia scolastica, gli spazi reali di autonomia delle scuole sembra si siano ristretti! E’ la palese dimostrazione che non bastano un riconoscimento formale e un semplice decentramento delle competenze per ottenere un’autonomia vera. E questo perché la libertà nel nostro paese spaventa, desta il sospetto che possa essere utilizzata per finalità non chiare. Di conseguenza, come diceva l’ex ministro Berlinguer in occasione della recente presentazione a Montecitorio della pubblicazione  della Fondazione per la Sussidiarietà sulla scuola paritaria, “…si difende a spada tratta lo Stato perché lo Stato appare come una sicurezza, ma questo può diventare una camera di sicurezza!”.

Diceva però che “La buona scuola” dedica  spazio all’autonomia….
Sì, il documento su questo tema fa alcune affermazioni importanti, tuttavia resta ancora troppo timoroso sotto il profilo delle proposte operative. In questo modo la trasformazione in chiave davvero sussidiaria del sistema scuola resta lontana.

Cosa avrebbe dovuto proporre, a suo giudizio?
Per poter recuperare il pesante gap che ci separa dagli altri paesi europei, che hanno avviato questa trasformazione da diversi anni, occorre puntare sul passaggio dello Stato da “gestore” di scuole a “controllore” della qualità e della conformità alle leggi vigenti. Agli istituti scolastici statali dovrebbe essere attribuita autonomia economica, con il trasferimento di risorse definite in base ai costi standard, andrebbe riconosciuta flessibilità organizzativa, la possibilità di procedere al reclutamento diretto del personale, con un’ampia autonomia didattica e progettuale. Per realizzare tutto questo, occorrerebbe innanzitutto la definizione di nuove forme di governance delle scuole, individuate dagli stessi istituti nell’esercizio della propria autonomia statutaria. In questo campo, l’esperienza della scuola paritaria potrebbe essere un utile punto di riferimento…

A proposito di paritarie, ci sono state proteste da parte di alcune associazioni perché nel documento queste non sono presenti, se non in un paio di passaggi marginali. Della libertà di scelta per le famiglie, poi, non se ne parla proprio. Cosa ne pensa la Foe?

Effettivamente, nel documento non ci sono espliciti riferimenti alla famiglia, che in realtà è la principale protagonista dell’educazione, e si trova un solo accenno alle scuole paritarie. Noi siamo convinti che la libertà di scelta dei genitori possa essere, invece, un’importante forza motrice dell’innovazione del sistema nazionale di istruzione.

Ma non c’è una legge che ha definito il sistema nazionale di istruzione come un “unicum” costituito da scuole statali e scuole paritarie?
Certo, la legge 62/2000 definisce il sistema nazionale di istruzione come costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie, che accolgono, ricordiamolo, quasi il 12% degli studenti italiani, svolgendo un importante servizio pubblico. Purtroppo, però, anche se le paritarie sono formalmente riconosciute parte essenziale del sistema di istruzione, nella sostanza non è garantita alle famiglie alcuna libertà di scelta in ambito scolastico e le iniziative promozionali del Miur escludono sistematicamente le paritarie.

Perché questo?
Perché permane nel nostro paese — unico insieme alla Grecia — una resistenza di natura ideologica, che impedisce di sostenere economicamente la scuola paritaria e così pure le famiglie che la scelgono. Eppure è risaputo che lo Stato grazie a queste scuole risparmia alcuni miliardi di euro ogni anno. A quanti ostacolano la realizzazione di una piena parità, vogliamo ricordare ancora una volta che questa situazione arreca un grave danno a tutto il sistema nazionale di istruzione e, in particolare, alle famiglie meno abbienti e a quelle con figli disabili.

Cosa avete proposto, in sede di consultazione sul documento, per sanare questa situazione?
Abbiamo chiesto di allinearci a quanto è già stato fatto, con buoni risultati, nella maggior parte degli altri paesi europei. Anche l’ex ministro Berlinguer lo ha ripetuto, durante l’incontro di cui ho detto prima: “La gestione è meglio che sia la più plurale. È chiaro che ci vuole pluralismo, l’Europa lo ha già detto: stiamo trasgredendo gli indirizzi europei”.

E quindi, concretamente?
Concretamente abbiamo fatto un ventaglio di proposte. Per esempio, perché i genitori possano scegliere liberamente, e a pari condizioni economiche, fra le scuole del sistema nazionale di istruzione, statali o paritarie, abbiamo chiesto che lo Stato intervenga mediante soluzioni opportune e diversificate, come possono essere il buono scuola, la dote o la quota capitaria, fino alle varie forme di detrazione/deduzione fiscale delle rette oppure, meglio ancora, attraverso la combinazione di tali strumenti. E poi che siano estese anche alle scuole paritarie le iniziative promozionali (Pon istruzione, sostegno disabili, innovazione tecnologica, edilizia…..) oggi riservate alle sole scuole statali. Chiediamo anche che alle scuole paritarie, in ragione del servizio pubblico svolto, venga riconosciuto un regime fiscale agevolato.

Un’ultima domanda. Si parla del rischio di massicci trasferimenti di insegnanti dalle paritarie alle statali, provocato proprio dal piano di assunzioni previsto dal documento governativo. Come stanno le cose, e cosa di può fare?

E’ da apprezzare lo sforzo del governo per risolvere in modo deciso il nodo del precariato nella scuola statale. Però il piano di assunzioni dalle Gae, effettivamente, rischia di creare grossi problemi alle paritarie, dato che diverse migliaia di tali docenti sono in servizio in queste scuole. Chiediamo perciò che le associazioni delle scuole paritarie siano coinvolte dal Miur nelle varie fasi di attuazione di tali procedure.

(Marco Lepore)