Giorni fa ricevo il graditissimo invito dei miei studenti: prof, noi andiamo a vedere il film su Leopardi… viene anche lei? Certo che ci sono andato. Quale occasione migliore di stare coi miei ragazzi, dopo aver iniziato l’anno scolastico a leggere le poesie e le prose del giovane favoloso? E che emozione sentire citare ripetutamente alcuni passi del Dialogo di Tristano ed un amico, già risuonati e commentati in classe con loro! Al termine della proiezione ci siamo ritrovati nel parcheggio del cinema, in una serata umida e buia, a giudicare a caldo quello che avevamo visto.



Studenti che invitano un professore: capita anche questo, nella scuola italiana. E gli studenti di cui parlo sono gli stessi che i miei colleghi hanno recentemente giudicato “diligenti, ma scolastici”, che in gergo vuol dire “capaci di prepararsi la lezioncina per l’interrogazione e basta”. Ma quello che è avvenuto mi sembra che denoti un interesse personale che va ben oltre la lezioncina. La domanda allora è: perché e quando capita questo interesse?



Ho letto un articolo del prof. Giancarlo Visitilli su Repubblica. A Bari, dice, gli studenti sono stati “portati” al cinema dai loro professori. Visitilli ne ha raccolto i pareri, all’ingresso e all’uscita. Tra centinaia di studenti pare che non ce ne sia stato uno che abbia emesso un giudizio positivo, o almeno minimamente profondo su quell’esperienza. O è sfortunato Visitilli, quando intervista, o cerca solo chi vuole lui, o centinaia di studenti sono cretini o sono cretini i docenti. Dal suo resoconto sembra che la frase vera sia l’ultima. E allora ti scappa di pensare un “che palle questi professori-giornalisti saccenti con le loro solite tirate sulla scuola che non funziona!”.



Tanto più se poi il tutto si risolve in una specie di recriminazione: gli studenti che vogliono vedere un film su Pasolini e il professore che impone quello su Leopardi. Gli studenti-proletari si chiedono perché mai si debbano vedere solo i film che piacciono ai professori-padroni. Dalla lotta di classe alla lotta in classe. Tutto è molto vecchio (“la storia si ripete”, come ammette lo stesso Visitilli). Risultato? Un film interessante e anche bello, buttato presto nell’immondezzaio perché “piace ai professori”. Senza che lo si sia capito, senza che lo si sia preso su serio, senza “alcun frutto”, per usare proprio un’espressione leopardiana. E un film su Pasolini divenuto inevitabilmente mitico in quanto “proibito”. Che palle! E che tristezza!

Certo, Visitilli dice anche cose che condivido. Ha ragione, per esempio, quando afferma che la scuola deve dare qualcosa di più rispetto al semplice “andiamo a vedere Leopardi al cinema”. Se ci sono colleghi che si limitano a questo, sbagliano sicuramente. 

Ha ragione, insomma, quando denuncia una certa stasi del corpo docente e una certa incapacità di mettersi in sintonia con i ragazzi. Tutto sta però a capirsi: in classe di mia figlia (per restare all’esempio dei film) i professori si sono messi tanto in sintonia, che hanno dedicato le loro ore ai film che piacciono agli studenti. Risultato? In un anno scolastico mia figlia si è sorbita per ben due volte Il codice Da Vinci (!). 

“Dare qualcosa di più”, “capire cosa passa nella testa dei ragazzi”… sì, certo. Però spesso nella testa dei ragazzi passa molto poco (e non solo per colpa loro) e spesso i giovani vivono di pregiudizi o di impressioni molto epidermiche. Spesso non hanno ancora imparato ad andare in profondità (per questo non mi piace il metodo di chi assegna libri da leggere come fossero medicine da prendere un tot al mese o al giorno, prima e dopo i pasti).

Il problema vero è che il dialogo educativo deve svolgersi in un clima di ascolto reciproco, tra persone che hanno coscienza di vivere insieme un’avventura in cui tutti sono coprotagonisti del proprio sapere e tutti portatori di un’esperienza. E in cui il professore non è tanto un fornitore di dati e nozioni, ma un compagno di viaggio più grande, che quell’avventura l’ha già vissuta. Se questo non c’è, si studia per la scuola e basta. Ma, l’ha già detto Quintiliano, noi impariamo non per il voto, ma per la vita. E’ la vita in gioco (non solo quella degli studenti, ovviamente)! Se questo non si capisce, non può scattare niente e anche il più grande capolavoro diventa, a leggerlo, a guardarlo, ad ascoltarlo, solo un altro argomento del programma da svolgere.

Tornando a Leopardi, durante un’interrogazione ho chiesto a tre ragazze presenti quella sera al cinema di dirmi una parola che loro avrebbero voluto abbinare all’autore. Infinito, mi ha detto una; domanda, ha aggiunto un’altra; speranza, la terza (!). Nessuna ha pensato alla parola pessimismo, quella che viene di solito in mente a tutti. Allora ho capito che avevano capito. E ho capito anche perché per loro è stato importante andare tutti insieme (ed invitare anche me) a vedere (in un tardo pomeriggio autunnale) il film sul giovane favoloso.