Con sentenza del 26 novembre 2014, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sezione terza, ha formulato una “pronuncia pregiudiziale” in merito alla questione del precariato nella scuola.
Si premette che la Corte, in sede di pronunce pregiudiziali, si limita a fornire indicazioni ed orientamenti interpretativi che tocca poi al giudice nazionale tradurre in sentenze concrete. Quindi non si tratta di una decisione immediatamente operativa ma presuppone una successiva pronuncia del giudice italiano, nell’ipotesi articolabile peraltro in tre gradi di giudizio. Non è in sostanza per domani!
Nel merito poi la Corte, ribadendo tra l’altro principi consolidati, si limita a stabilire che una successione di contratti a tempo determinato non possa essere disciplinata in maniera generale ed astratta ma debba essere legata a “ragioni obiettive”, concretamente valutabili, e riconducibili alla “particolare natura” delle funzioni da svolgere, alle “caratteristiche” dei contratti a tempo determinato, al “perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro”.
Alla stregua di tali criteri la Corte precisa che rientrano certamente tra le “ragioni obiettive” per il conferimento delle supplenze, ad esempio, le sostituzioni temporanee del docente titolare per malattia, maternità, ragioni familiari, nonché le esigenze di flessibilità tra organico di diritto e di fatto per flussi di alunni non prevedibili (es. migranti) ed altro.
Rientrano altresì quelle legate ai tempi necessari per bandire ed effettuare i concorsi volti a coprire i posti “vacanti e disponibili” nell’organico di diritto, purché si tratti di tempi certi e congrui.
Quello che viene invece in sostanza contestato è che, nella concreta applicazione delle norme, di per sé legittime, non risultino sempre rispettati i predetti criteri di motivazione, certezza e congruità dei tempi, sicché, ad esempio, non risulta espletato alcun concorso tra il 2000 e il 2011, configurandosi un abuso del criterio suindicato e consentendosi in tal modo di stabilizzare, nell’ambito del sistema del doppio canale di cui alla legge n.124 del 1999, anziché i supplenti in servizio sulle cattedre vacanti e disponibili, quelli “che abbiano unicamente frequentato corsi di abilitazione”(ad esempio Ssis delle graduatorie a esaurimento).
La Corte contesta altresì che la normativa vigente per le supplenze non preveda, in caso di “abuso”, norme per la stabilizzazione “ope legis” dei supplenti danneggiati o eventuali risarcimenti alternativi.
In sostanza la pronuncia della Corte, che non ha efficacia immediata, rinvia da un lato ad eventuali interventi legislativi — che impongano tempi certi e brevi per le nomine in ruolo (ad esempio eliminando la prevista “autorizzazione” del ministero dell’Economia, ai sensi dell’art. 39 della legge n.449 del 1997, che ha spesso inficiato i piani pluriennali di nomine) ed eventuali sanzioni per il mancato rispetto degli stessi —, e richiede dall’altro, rispetto ai casi già maturati, un esame concreto da parte del giudice sulle singole situazioni, da effettuarsi comunque in riferimento ai soli posti vacanti e disponibili, stimabili nei prossimo due anni in 35.000, ben lontani dai 250.000 delle notizie giornalistiche.
I provvedimenti applicativi de “la Buona scuola”, ed in particolare le 150.000 nomine previste, risolverebbero largamente il problema, forse con la sola precisazione, da definirsi in sede attuativa, di “stabilizzare” prioritariamente i docenti con supplenza annuale, anche se non iscritti nelle Gae, rispetto a quelli iscritti nelle Gae ma non titolari di supplenze annuali.
Mi pare, al solito, “tanto rumore per nulla”!