Nel febbraio scorso L’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) ha affidato ad un ente privato, l’Istituto A.T. Beck, l’elaborazione di tre opuscoli intitolati Educare alla diversità a scuola e indirizzati rispettivamente alla scuola primaria e alla secondaria di I grado e II grado, con il fine di fornire delle linee guida agli insegnanti per affrontare in classe i temi del “genere”. Il tutto senza alcun coinvolgimento degli organi formali di rappresentanza dei genitori nella scuola. L’iniziativa era inserita nella “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”, varata dal dipartimento per le Pari opportunità nell’aprile 2013 su input del Consiglio d’Europa, anche con la costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc, in cui sono presenti soltanto i rappresentanti di 29 associazioni Lgbt. Unar, ministero dell’Istruzione e Pari opportunità hanno poi lanciato la campagna “Tante diversità, uguali diritti”, che si proponeva di legittimare le associazioni Lgbt come i soggetti incaricati della formazione di docenti e studenti, anche con interventi rivolti direttamente agli alunni.
Sono immediatamente fiorite le proteste dell’associazionismo familiare e dei genitori degli studenti, che erano stati tenuti all’oscuro dell’iniziativa e avevano scoperto dai propri figli che, con la scusa del contrasto alla discriminazione e al bullismo, nelle loro scuole venivano diffuse tesi a favore dell’omosessualità e della “naturalità” dei rapporti tra persone dello stesso sesso. A tutti i livelli della scolarità, e quindi anche a bambini di 6 anni. Fortunatamente gli opuscoli dell’Istituto Beck sono stati prontamente ritirati (con tante scuse dai ministeri).
La mobilitazione popolare delle famiglie non ha però fermato l’Unar. Lo dimostra l’iniziativa del 26 e 27 novembre 2014, in cui si è programmato un corso di formazione rivolto al personale scolastico dirigenziale dedicato ad argomenti quali l’omofobia e la transfobia, l’orientamento sessuale o l’ideologia di genere, non meglio precisate “buone pratiche delle associazioni Lgbt che operano in ambito educativo e scolastico” nonché la condivisione di “strumenti per una programmazione didattica inclusiva delle tematiche Lgbt”.
Abbiamo quindi chiesto, come Forum, di sospendere l’iniziativa, chiedendo di poter almeno coinvolgere nella discussione del progetto anche le associazioni di genitori nella scuola. Molti genitori hanno poi chiesto un modulo per chiedere formalmente di essere informati in dettaglio sui contenuti di eventuali interventi formativi extracurriculari, soprattutto sul tema dell’identità di genere e sull’orientamento sessuale, ed eventualmente negare il proprio assenso. In effetti tutte queste iniziative e le altre similari sono state realizzate con il contributo esclusivo delle associazioni Lgbt, senza il coinvolgimento di studenti e genitori e soprattutto senza contraddittorio con associazioni o persone di orientamento diverso.
Le reazioni alla nostra richiesta sono state molto istruttive del clima che si innesca quando si osa uscire dal “pensiero unico” promosso dalle organizzazioni Lgbt. A titolo esemplificativo cito e commento un post dal sito gayburg.blogspot.it (in corsivo le citazioni dal sito: ma in rete si trovano testi ben più aggressivi…).
1) “il Forum delle associazioni familiari (che sotto quel bel nome racchiude un covo di attivisti anti-gay) ha chiesto a gran voce che le strutture statali di contrasto all’omofobia vengano messe a tacere”. “A gran voce…”: in realtà ci siamo limitati a diffondere un comunicato stampa, senza avere i megafoni sui vari media di cui tante associazioni Lgbt dispongono. Chiediamo che “vengano messe a tacere”? A dire il vero abbiamo chiesto che l’iniziativa venga sospesa, per poterne quantomeno discuterne prima. Ma tant’è: siamo omofobi, e quindi la verità dei fatti è un optional.
2) “A finire ne loro mirino [del Forum] è un seminario contro le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale organizzato dall’Ufficio antidiscriminazioni razziali del Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio insieme al Ministero dell’Istruzione, realizzato in collaborazione con la rete Ready (la rete degli enti locali per l’attuazione del contrasto alle discriminazioni). Secondo l’organizzazione omofoba [sempre il Forum], il solo fatto che quegli enti possano discutere le strategie per contrastare l’omofobia rappresenta un tentativo di «imporre una strategia lgbt nella scuola» e quindi deve essere annullato”.
A dire il vero non abbiamo né armi né mirini, né colpi da sparare, né tantomeno bersagli: ci sta a cuore la scuola italiana, e la responsabilità educativa delle famiglie, e non vogliamo dare deleghe in bianco a nessuno, sui nostri figli. Chiediamo di essere informati su cosa viene progettato e proposto ai nostri figli, nella scuola pubblica, al di fuori dell’insegnamento strutturato. Ma visto che la pensiamo così, e che non applaudiamo all’entrata trionfale delle organizzazione Lgbt nelle scuole, siamo “l’organizzazione omofoba”: alla faccia degli stereotipi e della libertà di pensiero.
3) “I loro attivisti hanno proseguito anche nel sostenere che «la forzatura ed il tentativo di imporre una discriminazione al contrario sono evidenti» dato che «nessun esponente dell’associazionismo di matrice non omosessuale è stato convocato, nessun rappresentante delle famiglie o delle associazioni accreditate presso il Miur ha potuto dare il suo contributo». Insomma, sarebbe come dire che non si può discutere una strategia di contrasto al razzismo senza far sedere al tavolo anche il Ku Klux Klan…”
Visto che affermiamo che non condividiamo le modalità di azione e le scelte valoriali delle associazioni Lgbt (per forza, siamo omofobi…), e che chiediamo di poter discutere sull’educazione dei nostri figli, a questo punto siamo individuati ed etichettati come nemici. Quindi possiamo essere paragonati senza grandi problemi al Ku Klux Klan. La pensiamo diversamente? Siamo i nemici. Anzi, siamo intolleranti: quindi omofobi.
Paradossale — ma non troppo, a pensarci bene… — che chi invoca nuovi diritti di libertà sia lui per primo incapace di confrontarsi sulle argomentazioni, ma si trinceri dietro stereotipi ed etichette queste si davvero discriminanti. Ma chi è che usa un linguaggio violento? Chi è che utilizza il “discorso dell’odio”, quell’hate speech così caro proprio alle organizzazioni Lgbt? Siamo sicuri che davvero non si stia introducendo un nuovo “reato di opinione”, per il solo fatto di non condividere la posizione delle organizzazioni Lgbt? Sì alla lotta a ogni discriminazione, ma no a ogni tentativo di indottrinamento ideologico o “rieducazione affettiva”. Soprattutto se fatto sulla pelle delle nuove generazioni.