Se il Governo vuole “La Buona scuola”, la Flc (Federazione dei lavoratori della conoscenza) propone invece “Fai la scuola giusta”, facendo il verso al titolo del famoso film di Spike Lee, dedicato alla lotta contro il razzismo. Il giudizio sul Documento governativo è sprezzante: trattasi di “una bufala”, perché nelle domande ci sarebbero già anche le risposte, dunque domande fasulle. Dal punto di vista del sindacato scuola della Cgil la scuola immaginata dal governo non è né giusta né, dunque, buona. Questo è il fil rouge del Documento-questionario composto di dodici punti/domande che la Flc ha posto in Rete, al quale rispondere entro il 15 novembre e che ha accompagnato la preparazione della manifestazione nazionale del pubblico impiego di ieri, in Piazza del Popolo a Roma. 



Il Documento apre con la constatazione del livello drammatico di condizioni cui è arrivato il sistema di istruzione in Italia. Ma le cause che lo hanno portato sull’orlo dell’implosione  sono affastellate in disordine sullo stesso piano: mancanza di risorse, blocco dei contratti, disinteresse per il personale Ata, un’offerta formativa “ferma al secolo scorso”, eccetera.



In realtà, la lingua batte dove il dente del sindacato duole: quello dei contratti. D’altronde, la contrattazione è una delle attività principali del sindacato, tutto centrato necessariamente sui bisogni dei propri iscritti. Così, quella che dovrebbe essere individuata come la madre di tutte le cause — un’offerta formativa ferma al secolo scorso — scivola subito dietro le quinte. L’architettura dell’offerta formativa tiene insieme il benessere educativo degli alunni a quello professionale dei docenti. Pertanto la condizione lavorativa dell’insegnante non è la stessa degli altri dipendenti del pubblico impiego. Solo occultando quell’architettura è possibile ridurli a pubblico impiego. Lo sciopero/manifestazione di ieri costituisce la controprova e la conseguenza di quell’identificazione.  



L’unico punto de “La buona scuola” su cui la Flc si proclama d’accordo con il governo è quello dell’assunzione promessa di 150mila precari; anche se, aggiunge, i 4 miliardi previsti dal governo per i prossimi cinque anni dovrebbero arrivare almeno a 17. Il sindacato lamenta giustamente che i contratti sono fermi al 2007 e che, nel frattempo, il valore reale degli stipendi è sceso. In generale la spesa per l’istruzione è diminuita in quasi tutti i Paesi dell’Ocse per effetto delle restrizioni di bilancio, dovute a una dilatazione automatica delle spese del welfare e in Italia anche a migliaia di rivoli di sprechi, clientele, sovracosti della politica. Ogni categoria grida le proprie ragioni economiche, ma si rifiuta di mettere in discussione gli assetti complessivi e i costi dell’intero welfare. Così i governi in tutta Europa procedono per tagli, quasi sempre lineari. Il nostro non fa eccezione. Le categorie degli interessi si oppongono alle riforme del proprio comparto, i governi, prigionieri di un intrico di interessi corporativi, rispondono con le sole politiche che rimangono loro: quelle finanziarie.

A monte del lamento per i contratti mai rinnovati sta un’ideologia del contratto che solo ora Renzi ha incominciato a scardinare: quella per cui i governi non solo non possono legiferare in una qualsiasi materia senza ascoltare le parti sociali, ma soprattutto non possono procedere a legiferare senza il consenso delle medesime. Si chiama concertazione. Il governo di tutti i cittadini deve passare sotto le forche caudine del consenso degli interessi organizzati prima di prendere decisioni che riguardano tutti i cittadini. Trasferita fin giù nei rami più bassi del sistema di istruzione, questa filosofia implica che, scuola per scuola, le Rsu esercitino un potere codecisionale enorme — anche solo come potere di veto — non solo relativamente all’organizzazione del lavoro, che già da sola significa trasmissione parcellizzata del sapere, ma sull’intera governance reale della scuola. 

Un effetto di questa ideologia è che i contratti finiscono per avere una forza superiore a quella delle leggi: nel caso di conflitto, prevale il contratto, che pure è solo e sempre una legge particolare rispetto alla legge universalistica. Quando il Documento della Flc parla di confronto necessario tra sindacato e governo, ha in mente la versione tradizionale e più forte del confronto: non si prendono decisioni senza il mio consenso! Non si spiega diversamente l’idea di accompagnare un Documento non solo con dibattiti, ma con uno sciopero e una manifestazione nazionale. 

Ovviamente l’ideologia della concertazione non è oggetto di nessuna delle domande del questionario. Le quali, in compenso, non contengono neppure una proposta innovatrice o un qualche segnale di audacia: sono la riproposizione dogmatica dell’impostazione di sempre. Il reclutamento deve sempre avvenire per concorsi nazionali; occorre conservare gli scatti di anzianità, perché gli insegnanti devono cooperare e non competere — come se oggi la struttura istituzionale della didattica e organizzativa del lavoro non producesse il solipsismo didattico e la “repubblica degli unici”. No al finanziamento privato delle scuole, perché produce privatizzazione e localismo. Esso è imputato di un disegno di cui la Confindustria sarebbe il promotore fondamentale — ecco che torna la mitologia del “Piano del Capitale” — di selezione di classe, di competizione selvaggia, di autoritarismo. Quanto all’invocata “liberazione dalle molestie burocratiche”, appare assai poco credibile, a questo punto, se permane intatta e catafratta la visione statalistica e centralistica e se è negata in linea di principio la possibilità di un’autonomia reale delle scuole anche in ordine alla chiamata diretta degli insegnanti, quale parrebbe affacciarsi nella  proposta del Registro nazionale dei docenti della scuola, proposto da “La Buona scuola”. 

Il bilancio di “Fai la scuola giusta” è decisamente malinconico. La Flc ripropone i tic conservatori di sempre: il sistema rimanga com’è, purché arrivino molti più soldi! Alla fine, la crisi del sistema è ricondotta al calo della spesa pubblica. Trattasi di scuola palesemente “ingiusta”. E’ quella che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno.