Il Miur ha presentato gli esiti della “consultazione popolare” fatta per la Buona Scuola, in perfetto stile X Factor. Le slides dense di multiformi rappresentazioni quantitative e qualitative del numero delle domande fatte, delle email ricevute, della distribuzione geografica delle percentuali di scuole raggiunte anche con incontri ed assemblee di vario tipo, si alternano a slides che riproducono le istantanee tipiche dei finti fuori onda dei reality, quelle in cui i concorrenti vengono ripresi nei loro momenti fintamente intimi di felicità, commozione, disperazione.
Certo, a chi ha recentemente frequentato la sede ministeriale di Viale Trastevere, fa quasi tenerezza rivedere i seri dirigenti ministeriali coinvolti in questi bei momenti social e selfie, sebbene la loro espressione tradisca ben altri sentimenti. Ad ogni modo, nessuno può dire che non si tratti di una bella presentazione in perfetto stile marketing degno dei più capaci spin doctor che si occupano di comunicazione politica.
A fronte di così entusiastici esiti e di così efficace comunicazione, ha stupito che il premier Renzi abbia rimandato la scadenza dei provvedimenti attuativi originariamente previsti per gennaio. Addirittura si è assunto personalmente la responsabilità di non essere riuscito a far passare il messaggio dell’importanza di questo provvedimento ed ha annunciato una proroga della campagna di ascolto.
Insomma, questa volta sembra proprio che il premier voglia essere molto prudente e cauto, anche perché le misure sulla scuola contenute nella legge di stabilità non lasciano presagire per la “Buona Scuola” niente più che una storica stabilizzazione di insegnanti precari per un numero doppio rispetto alle cattedre disponibili e vacanti, a percorsi di studio invariati.
Infatti, per la maggioranza del fronte sindacale e per più di una parte politica, il problema principale del nostro sistema di istruzione e formazione è la salvaguardia degli interessi del personale scolastico. Per questi, l’attesa sentenza della Corte di Giustizia Europea è un’ottima occasione per giustificare il completo svuotamento delle graduatorie ad esaurimento (Gae), nonostante gli attuali posti disponibili e vacanti siano la metà esatta del numero dei loro iscritti. Ipocritamente, si finge di ignorare che attraverso l’interpretazione estesa della sentenza della Corte di Giustizia Europea la stabilizzazione del personale scolastico impiegato per più di tre anni si estende oltre i discutibili limiti delle Gae. Non a caso, quelle sigle sindacali nate appositamente per ottenere e sfruttare questa sentenza sostengono che sono circa 250mila gli insegnati e gli assistenti tecnici amministrativi che possono ricorrere al giudice italiano per ottenere quantomeno il risarcimento della mancata stabilizzazione, ammesso sempre che si riesca ancora a far rispettare il precetto costituzionale dell’accesso al pubblico impiego esclusivamente attraverso apposita procedura concorsuale.
Allo stesso fine risponderebbe poi l’introduzione dell’organico funzionale, che non potrà evitare totalmente il ricorso alle supplenze brevi, mentre sicuramente configurerà una platea di insegnanti senza cattedra, che potranno essere impiegati in attività extracurricolari di carattere assistenziale che in altri Paesi appartengono all’area del welfare e non a quella dell’istruzione.
Salvo auspicabili ed attesi colpi di scena, gli stessi lavori parlamentari sulla legge di stabilità confermano le difficoltà di trovare risorse per esigenze immediate, nonostante lo stanziamento di 3 miliardi. Ci si riferisce alla vicenda degli emendamenti che prevedevano la destinazione di 10 milioni all’Invalsi, per finanziare l’avvio del Sistema Nazionale di Valutazione e l’esecuzione delle prove dell’anno scolastico in corso. Inoltre, questi emendamenti si limitavano ad estendere i termini del completamento del piano straordinario di assunzioni previsto dal ministro Gelmini nel 2011, per il quale le coperture sono già acquisite nel bilancio dell’istituto. Anche in questo caso è evidente la distanza tra l’enfatico richiamo della “Buona Scuola” alla valutazione e la difficoltà di trovare solo 10 milioni e di prorogare un termine per garantire al nostro Invalsi l’ordinaria attività gestionale.
Anche le proposte della “Scuola fondata sul Lavoro” stonano rispetto al quadro delle attuali necessità. Ben vengano l’alternanza di 200 ore l’anno nel triennio dell’Istruzione tecnica e nell’Istruzione e Formazione Professionale, i laboratori innovativi con stampanti 3D, le frese laser e i componenti robotici. Ma non si può trascurare lo stato comatoso in cui versa il sistema dell’Istruzione e Formazione Professionale, a causa della riduzione totale dei trasferimenti statali alle Regioni e dell’assenza di specifiche fonti di finanziamento. Paradossalmente, in questo scenario, i sistemi più colpiti sono quelli che hanno maggiormente successo, come nel caso della Lombardia dove la IeFP è scelta da ben il 18% degli studenti in uscita dalla terza media.
Peraltro, la IeFP realizzata dalle istituzioni formative accreditate costa meno di uno studente nei percorsi scolastici. Pertanto, sarebbe semplice e più economico riconoscere direttamente l’ammontare di una “quota capitaria” agli enti di formazione o, meglio, direttamente alle famiglie per l’esercizio della libera scelta educativa. Nella “Buona Scuola”, non c’è nessuna proposta sulla IeFP e non sono mai citate le Regioni.
Infine, dovremo aspettare per vedere dove e come approderà lo sdoganamento di parole d’ordine come: innovazione, rafforzamento dell’autonomia e riconoscimento del merito.
Le solite forze conservatrici si sono già schierate contro il riconoscimento del merito dei docenti, la revisione degli organi collegiali, della carriera interna e dell’organizzazione scolastica previsti dalla “Legge Aprea” e trasfusi nella “Buona Scuola”. Che sia la (s)volta buona, lo scopriremo solo vivendo.