Ma l’Italia punta ancora sull’università? E la Lombardia? A giudicare da quello che sta accadendo bisogna rispondere di no. Da alcuni giorni si susseguono indiscrezioni in Regione Lombardia e notizie di stampa insistenti su un taglio del 40% del fondo riguardante il funzionamento di strutture come mense e residenze universitarie che sarebbe contenuto nella bozza del bilancio preventivo della Regione relativo al 2015. Qualora venisse confermato il taglio, in sede di votazione finale del bilancio (previsto per il 22-23 dicembre), il fondo, che l’anno scorso ammontava a 30 milioni di euro, subirebbe quindi una diminuzione improvvisa di 12 milioni di euro: una misura di bilancio resa necessaria dalle previste — e, inutile negarlo, pesantissime — riduzioni dei trasferimenti statali alle Regioni. 



Il ricorso a questi tagli lineari, infatti, che coinvolgeranno anche altre voci di spesa del bilancio regionale, è determinato dalla recente legge di stabilità del Governo Renzi per il 2015, che prevede una diminuzione complessiva dei trasferimenti verso le Regioni per 4 miliardi di euro. La situazione attuale e le avverse condizioni economiche in cui la Regione si trova a dover operare sono anche e soprattutto imputabili a questa operazione, che sembra tradire una prospettiva centralistica e spregiativa delle autonomie regionali. 



In Lombardia il rischio concreto di un simile definanziamento del diritto allo studio non consentirebbe alle università lombarde e al Cidis (il consorzio di università di cui fanno parte la Statale di Milano, l’Insubria e la Bicocca) di erogare i servizi oggi garantiti, compromettendo la condizione degli studenti fuori sede, in continuo aumento nella nostra regione e primi fruitori di mense e alloggi universitari. L’impatto appare aggravato dall’assenza di gradualità nelle misure di definanziamento e di adeguate riflessioni politiche sulle priorità di bilancio regionale.



Questo ennesimo taglio si inserisce in uno scenario che, per quanto riguarda il diritto allo studio, è già preoccupante: non più tardi di due anni fa infatti, va ricordato, la Regione Lombardia — quasi unica peraltro in Italia — si era trovata costretta ad incrementare di 40 euro il contributo regionale richiesto a tutti gli studenti universitari, che consta attualmente di 140 euro. 

La strada che la Regione sembra aver deciso di imboccare non può che suscitare numerosi interrogativi: per anni quello lombardo è stato un modello esemplare per il resto del paese, in grado di attrarre studenti universitari dal resto della Penisola, garantendo al contempo uno standard qualitativo di formazione tra i più elevati, paradossalmente all’interno di una città dalla recente tradizione universitaria come Milano.

Vogliamo davvero mettere in pericolo questo patrimonio, preziosamente accumulato negli anni, per trovare una quadra aritmetica dei conti del bilancio? La decisione a riguardo non può che essere strettamente politica: quanto più la coperta è corta, tanto più fondamentale deve essere la concezione che ci guida. Possiamo dire che la formazione delle giovani generazioni sia ancora una delle prioritarie preoccupazioni nell’amministrare la cosa pubblica?

Nessun taglio è inevitabile: almeno finché esisterà la politica.