Caro professore, Le scrivo per urlarle il mio disappunto nel sentirmi tanto impotente. Le scrivo perché lei mi capisce, perché lei mi aiutò a capire per cosa stavo lottando nella mia adolescenza. Lottavo per la mia cultura, per l’arma più potente del mondo. E oggi invece ce la tolgono la cultura, ce la strappano via con i denti“. 



Inizia così la lettera di Licia, una mia ex studente del liceo classico, una persona geniale, coraggiosa, determinata, e iperattiva, che si è iscritta ad una facoltà di studi economici, tutti rigorosamente in inglese. E che, dopo tre anni di università, si scontra, giorno dopo giorno, con la drammatica realtà del nostro Paese, dove la disoccupazione giovanile è ai massimi storici.



Ma non è tanto il non trovare lavoro che le fa paura (“perché lo troverò“, aggiunge con la sua tipica caparbietà). C’è dell’altro che, prima di tutto, l’indigna: “Ci tagliano i fondi, ci mascherano la verità, ci insegnano persone che non hanno le competenze e sono arrivate dove sono perché avevano la conoscenza, l’aiutino, la spintarella. Siamo figli di un sistema scorretto, di gente che crede che barare sia la strada giusta. I furbi fanno così. Ma poi, a fare i conti con la vita, come bari? Che ti inventi? Come lo freghi Dio? Come ti togli lo sporco addosso del male che arrechi?“.



E’ un’Italia di mezze figure, di incapaci raccomandati quella che dipinge Licia. Un’Italia dove trionfano bugie e sotterfugi, dove i soldi sono tutto è la sapienza è niente, dove ciò che conta è apparire, più che essere.

Ciò che mi fa paura — continua la lettera — sono i più giovani, i burattini degli inetti, quelli che impareranno a essere ascoltando solo le parole vuote di chi non sa di cosa parla. Le faccio un esempio. Insegno a un ragazzo di quindici anni l’inglese. Un’anima persa, impigrita, annoiata. Lo faccio per pagarmi qualche spesa, certo, ma soprattutto per trasmettere. Lo faccio per donare a qualcuno il potere di scegliere. Perché solo la cultura ti dà la capacità di scelta. E quando lui mi ripete la lezione in maniera corretta mi fa sentire come se potessi cambiare il mondo. Onnipotente. Ma poi, questo stesso ragazzo va a ripetizioni di italiano da un’altra ragazza, che non sa distinguere un accento da un apostrofo, un maschile da un femminile, un congiuntivo da un condizionale. E allora mi sento come morire, come salire un calore dentro al petto. L’ignoranza è la forza dei potenti. Con l’ignoranza si può illudere il popolo di aver bisogno di qualcosa che già ha. E mi spaventa l’idea che una mente giovane sia deviata da errori altrui, da mancanze altrui, dalla superficialità altrui“.  

Questa lettera “avvelenata” di una mia ex studente che magari qualcuno bollerà come troppo idealista, troppo giovane, troppo netta nei suoi giudizi, è un grido che merita di essere raccolto, perché viene da una persona che vale e perché dice cose vere. Dalla lettera emerge qualcosa che del resto tutti conosciamo: qui non si tratta tanto di preparazione, di conoscenze e competenze, di strutture scolastiche fatiscenti in cui si studia male o di precariato o di dispersione scolastica. Qui c’è un atto d’accusa contro un sistema che uccide la speranza, che deprime il merito e che promuove la mediocrità. Un sistema che prospera e attecchisce sull’ignoranza, specie quella dei giovani. I quali sono sempre più “anime perse, impigrite, annoiate”.

A queste anime ci preoccupiamo di sottoporre test fin dalla scuola primaria, mentre invece dovremmo mettere al centro la questione educativa. Dalle nostre scuole dovrebbero uscire diplomati che hanno dentro la volontà di “trasmettere” quello che hanno conosciuto e “ritenuto” e il nostro sistema sociale ed economico dovrebbe andare in cerca soprattutto di giovani così, perché è su di loro, sul loro entusiasmo, sulla loro capacità di iniziativa e di creatività che un Paese può rimettersi in movimento.

Se però trionfa la mediocrità eretta a sistema, non c’è davvero futuro.

Licia proviene da studi classici e, come moltissimi, dopo il liceo si è buttata anima e corpo in tutt’altro campo. A volte mi chiedo a cosa serva il mio lavoro di docente di letteratura italiana o latina. Il recente dibattito sul liceo classico, in questo senso, è stato significativo: c’è chi lo ritiene obsoleto, completamente estraneo ed inutile in un mondo dove contano la ricerca scientifico-tecnologica, l’economia, la politica, il diritto. I giovani non trovano lavoro… qual è il senso del costringerli a faticare su un distico di Catullo, un trattato di Seneca o un idillio di Leopardi?

Professore, lei mi ha insegnato la bellezza e la poesia dietro ogni singola ora di studio e non smetterò mai di dire grazie per la fortuna che ho avuto nell’incontrarla. Seguirò sempre il suo esempio, la sua dedizione, l’amor che move il sole e l’altre stelle“. La risposta forse è proprio nella testimonianza di Licia.