Caro direttore,
scrivere un articolo sparando sui test di ammissione alle scuole di specialità di medicina — come ha fatto G. Monteduro su queste pagine — è, come si usa dire, assimilabile a sparare sulla Croce Rossa. Infatti queste prove sono state organizzate così male e con una tale apparente ingenuità che difficilmente si sarebbe potuto fare di peggio. Quindi nulla da obiettare su una condanna esplicita a quanto successo quest’anno per effettuare la selezione dei candidati. Detto questo, e per utilizzare un altro detto comune, non credo sia giusto buttare il bambino con l’acqua sporca.
Inutile dilungarsi sugli eventi occorsi, di cui i giornali hanno ampiamente dato conto. Quello che adesso viene da chiedersi è quale sia l’alternativa. Non voglio in questa sede effettuare dotte disquisizioni sulle possibili soluzioni, tutte le facoltà europee ed americane hanno dei meccanismi di selezione per l’ammissione e tutti presentano dei pregi e dei difetti: nelle questioni organizzative non esistono verità predefinite ma solo proposte che possono piacere o meno e che comunque devono anche adattarsi alla realtà del sistema universitario locale.
Credo però sia difficilmente criticabile l’affermazione che una selezione è necessaria, pena l’impossibilità di regolare il sistema. Del resto anche lo scritto di Monteduro si conclude con una proposta: lasciar scegliere i candidati dai direttori delle scuole di specialità, ed è su questo punto in particolare che vorrei soffermarmi. Ho vissuto gli anni in cui l’accesso alla facoltà di medicina era libero e le scuole di specialità avevano posti abbastanza numerosi; gli specializzandi non avevano borse di studio e non erano pagati, però avevano vincoli molto minori rispetto ad oggi. Non rimpiango certo quel sistema, ma sappiamo tutti che la forte restrizione del numero dei posti delle specialità non è stato dovuto ad una programmazione (parola poco conosciuta nel nostro sistema scolastico) ma alla mancanza di fondi necessari per pagare le borse degli specializzandi quando l’Unione Europea ce lo ha imposto. Tanto è vero che se qualcuno può pagarsi la borsa o trovare uno sponsor facoltoso può di fatto entrare senza selezione. La riduzione dei posti è stata notevole e generalizzata, ed ha colpito anche quelle specialità da cui uscivano specialisti ancora necessari al sistema sanitario perché in numero carente.
Il risultato è stato quello di rendere cronica una carenza, mettendo in difficoltà gli ospedali che attualmente faticano a trovare alcune figure professionali. Ho visto andare deserti, ad esempio, concorsi per anestesisti, pediatri, radiologi, ginecologi e medici di pronto soccorso, solo per citare alcuni esempi vissuti negli ultimi tre anni. Alcune regioni, nel tentativo di supplire a questa situazione, hanno persino erogato fondi per borse di studio al fine di tentare un aumento del numero di alcuni specialisti, tentativo difficile da realizzare perché non è possibile vincolare l’accesso in base alla residenza né impedire la mobilità tra regioni dopo il conseguimento della specialità.
La situazione è quindi davvero complicata e aggravata dal fatto che alcuni dei migliori, dopo la specialità, si recano a lavorare all’estero sia perché attirati da possibilità lavorative che gli appaiono di maggior interesse, sia perché gli stipendi sono decisamente più alti. Proporre in questa situazione di lasciar scegliere ai direttori delle scuole di specializzazione chi può accedere alle stesse credo sia una proposta fuori dal tempo. E’ vero che è una cosa che è sempre successa, ma in un regime di accessi molto ridotto come l’attuale non ci sarebbe più solo qualche “favorito” all’interno di un gruppo abbastanza numeroso, ma l’accesso sarebbe limitato ai soli favoriti. Parlare di idoneità nazionale non ha molto senso perché questa è sempre esistita ed è l’esame di idoneità che viene svolto dopo la laurea. Lasciar scegliere ai direttori significa poi inevitabilmente rendere soggettivo il criterio, creando differenze notevoli tra le varie università che, almeno al momento, fanno parte di un sistema unico.
Inoltre, per quanto umanamente possa essere apprezzabile, la scelta sarebbe (come è sempre stata in questi casi) condizionata da molti fattori non legati alla capacità e all’attitudine del soggetto. Credo che ognuno possa facilmente portare esempi in questo senso. Per concludere, credo sia necessario sottolineare che quello di cui hanno bisogno gli ospedali è soprattutto di medici bravi, che sappiano curare al meglio le persone e che operino pienamente nel sistema di rete professionale che è l’ospedale oggi. Individuare chi possano esser i migliori a cui permettere l’accesso ad una specialità è certo molto difficile, ma dovremmo almeno cercare di provarci lasciando a tutti quelli che lo desiderino di cimentarsi con pari possibilità.
Una cosa però mi sembra certa: i migliori non possono essere individuati dalla visione un po’ vetusta e paternalistica ancora presente in moltissimi direttori di specialità.