Ogni anno tutte le classi degli istituti secondari di secondo grado eleggono i propri rappresentanti. Gli studenti sono chiamati a uno dei loro primi esercizi di democrazia, individuando e poi incaricando dei compagni in grado di “rappresentarli”.

Non sono infrequenti casi di rappresentanti eletti più sulla base delle simpatie personali che su quella di precise competenze, né casi di candidati che si propongono ai compagni più per esigenze narcisistiche che per un’adozione responsabile e consapevole di un preciso compito. E infatti, conseguentemente, non è raro trovare, a metà anno, rappresentanti in crisi, stanchi, demotivati, in aperto conflitto con i compagni che si sono pentiti della scelta fatta.



Perché questo capita? Una prima risposta ovvia: fare i rappresentanti di classe è difficile, molto difficile. Riflettiamo un momento sui compiti e sulle mansioni che normalmente un rappresentante di classe deve affrontare:

1. Preparare l’assemblea: compilare il modulo di domanda, costruendo un ordine del giorno che, per essere fatto bene e per poter funzionare, dovrebbe essere condiviso precedentemente con i compagni di classe; inseguire i docenti elemosinando le ore con il giusto anticipo, perché, altrimenti, i vicepresidi storcono il naso; consegnare in tempo il modulo alla segreteria o al vicepreside, perché altrimenti tutto va a monte, e poi i compagni di classe, che già gioivano perché l’ora di matematica era saltata, se la prendono coi rappresentanti “incapaci”.



2. Gestire l’assemblea: esaurire l’ordine del giorno nei tempi stabiliti, trattando tutti i punti previsti, dalla proposta di uscita didattica ai problemi con il tal professore, all’organizzazione delle interrogazioni; coinvolgere i compagni nel dibattito, facendo fronte a quello logorroico che non restituisce mai la parola, al prepotente che interviene senza alzare la mano, al disinteressato che studia per l’ora dopo, al polemico (magari il candidato che non ha ricevuto voti sufficienti!) che si lamenta perché niente va come deve andare; compilare il verbale, in modo chiaro, ordinato, corretto ed esauriente.



3. Compiere missioni diplomatiche con i docenti: chiedere di spostare un’interrogazione, chiedere un alleggerimento nel carico di lavoro domestico, concordare le date per i compiti in classe, mettere in luce malcontenti o malumori presenti nella classe. Il tutto, ovviamente, con il rischio che il docente non si ricordi che l’ambasciatore non porta pena, e che qualche compagno di classe sia sempre pronto a smarcarsi alzando la mano ed esclamando: “Sì ma io non sono d’accordo con quanto dice la classe!”.

4. Coordinare il rapporto con i rappresentanti dei genitori, fare in modo che negli incontri con i docenti emergano visioni comuni della classe, e, in caso di problemi, tentare varie acrobazie diplomatiche affinché i genitori, che la mattina, beati loro, non stanno dietro ai banchi, dicano ciò che è lecito dire e tacciano ciò che è opportuno tacere.

5. Varie ed eventuali, ad esempio raccogliere le quote per l’uscita didattica o le fotocopie, o i permessi firmati dai genitori, o ancora fare da postini nelle varie comunicazioni di servizio tra docenti e studenti e viceversa.

Un elemento rilevante del problema insito nella rappresentanza risiede nel fatto che gli studenti eletti devono ricoprire dei ruoli di coordinamento e gestione tra pari. Chi insegna sa bene cosa significhi coordinare un consiglio di classe, rispettare i tempi, contenere i colleghi, tentare di sanare i problemi, mediare i conflitti… E chi insegna è un adulto dotato di maturità, cultura, corretta percezione di sé. I rappresentanti di classe devono, nella sostanza, portare a termine gli stessi compiti, ma senza avere gli strumenti che dovrebbero avere gli adulti quando si relazionano tra pari nel mondo del lavoro. 

Infatti non è un caso che molto spesso i rappresentanti di classe, quando si trovano nell’urgenza di gestire un’assemblea, non facciano altro che replicare i modelli comportamentali (spesso sedendosi proprio dietro la cattedra) dei docenti, dimenticando di non avere gli strumenti coercitivi per costringere al silenzio i compagni riottosi, e non avendo talvolta ben chiara la differenza tra autorità ed autorevolezza.

Un secondo ordine di problemi risiede, su un altro versante, nel fatto che i rappresentanti sono chiamati a trattare problemi “alla pari”, sedendosi attorno allo stesso tavolo, con degli adulti, siano essi genitori o docenti. In questo caso, la difficoltà non è data solamente dal fatto che, ad esempio, per un ragazzo di prima classe non è semplice esporre con serenità una situazione problematica ad un adulto, ma anche dal fatto che, purtroppo, spesso sono gli stessi adulti a non accettare un rapporto di mediazione e di confronto con degli adolescenti.

Premesso ciò, risulta abbastanza evidente che la rappresentanza, come espressione “alta” di competenza sociale e civica, non può essere una dote innata, ma, come tutto, va coltivata e sviluppata nel tempo.

Ecco perché sarebbe utile e forse necessario che gli istituti superiori mettessero a regime, ogni anno, dei percorsi di formazione alla rappresentanza, da situare in diversi momenti dell’anno, ed organizzati più o meno secondo il modello che di seguito si propone:

− A inizio anno, prima dell’elezione stessa dei rappresentanti, sarebbe molto importante un incontro tra tutti gli studenti (specie quelli del primo biennio) che hanno qualche interesse a candidarsi, e alcuni studenti che nell’anno precedente hanno svolto questo compito, a livello di classe, di istituto e di consulta. In questa prima riunione gli studenti “esperti” potranno così raccontare il proprio vissuto, facendo capire ai possibili candidati, in modo molto operativo, ma senza dimenticare anche l’aspetto emotivo del compito, cosa può aspettarli nel caso in cui venissero eletti. 

Credo sia molto importante che questa prima fase di “adozione” tra rappresentanti uscenti e possibili candidati vada fatta lasciando i docenti referenti dell’attività un po’ ai margini, e affidando l’incontro a una logica di peer education. Spesso infatti noi docenti amiamo procedere a una trattazione molto generale dei problemi, e tendiamo, per deformazione professionale, a tenere un approccio frontale di fronte a una platea ampia. Lasciando ai ragazzi la gestione dell’incontro, potrebbero suddividersi in sottogruppi, favorire lo scambio circolare, e l’emersione di dubbi che, in una plenaria guidata da docenti, gli studenti di prima o di seconda potrebbero tenere per sé, nel timore di “fare domande stupide”. Nel caso in cui un istituto abbia dimensioni eccessive per rendere agevole un incontro con tutti i candidati rappresentanti, una modalità rivelatasi molto produttiva è stata l’assegnazione di un paio di studenti tutor di classe terza o quarta alle classi prime, affinché, nei primi giorni di scuola, presentassero, in un pacchetto di tre o quattro ore, i diversi aspetti della “vita delle superiori” (rappresentanza inclusa) ai neoarrivati.

− Una volta eletti i rappresentanti di classe, tra novembre e dicembre si possono collocare un paio di mattinate piene, nelle quali i docenti referenti, assieme a studenti già formati negli anni precedenti, incontrano i nuovi rappresentanti e, prediligendo ancora il laboratorio a gruppi con restituzione in plenaria finale, partiranno dall’emersione della visione del compito di rappresentanza e delle motivazioni che hanno portato alla candidatura da parte degli studenti eletti. Da qui si potrà procedere sgombrando il campo da possibili visioni falsanti del compito del rappresentante (leader politico, guida carismatica…) e iniziando a fornire una cassetta degli attrezzi per le diverse mansioni del rappresentante, assemblea di classe in primis. Restando molto concreti, sarà sufficiente partire da alcune tecniche di conduzione dell’assemblea: disposizione delle sedie in cerchio con spostamento dei banchi in fondo all’aula; condivisione preliminare di una regola per il diritto di parola; condivisione preliminare dei tempi e dei punti all’ordine del giorno; gestione di situazioni di disturbo o di conflitto (evitando l’autoritarismo, chiamando in causa i compagni di classe, condividendo il problema senza passare alle accuse…). 

I vantaggi di un incontro del genere non si limitano, ovviamente, alla maturazione di tecniche di gestione di gruppi di pari: tali competenze necessitano di iter di formazione ben più lunghi e complessi, e in poche ore ci si può accontentare di fornire un’infarinatura di massima. Piuttosto, si riuscirà in primo luogo a rendere emotivamente più stabili i rappresentanti, che potranno gestire il momento dell’assemblea di classe con una percezione di sé più serena e carica di autostima; in secondo luogo si inizierà a far ragionare il rappresentante su una visione democratica e condivisa del proprio ruolo, evitando quelle derive narcisistiche che spesso, inevitabilmente, finiscono di scontrarsi con le giuste resistenze dei compagni di classe; in terzo luogo, infine, si inizierà a creare una rete dei rappresentanti, che sarà molto utile durante l’anno, specie nei casi di istituti di una certa popolosità, affinché i ragazzi possano facilmente avere qualcuno con cui relazionarsi di fronte a qualsiasi problema (dalla circolare che non si trova al dubbio sul modo di gestione di un conflitto con un docente).

− Durante l’intero anno scolastico, sarà sufficiente organizzare un incontro pomeridiano al mese, di un paio d’ore, a cui gli studenti partecipano liberamente, e nel quale si condividono e si tenta di risolvere, volta per volta, i problemi che emergono nella vita del rappresentante di classe. Ragionevolmente a questi incontri su base volontaria parteciperà un numero ridotto di studenti, ossia i più motivati, quelli senza impegni pomeridiani, o quelli con qualche problema rilevante da mettere sul tappeto. Anche in questo caso, la scommessa della responsabilizzazione dei ragazzi è importante: rendere obbligatorio un intero percorso annuale di formazione rischia di demotivare gli studenti! Non dimentichiamo che fare il rappresentante costituisce già un carico di lavoro aggiuntivo per cui, spesso, lo studente non si sente ringraziare da nessuno durante l’anno. Piuttosto, sarà compito dei docenti referenti riuscire a “fidelizzare” un gruppo di rappresentanti più motivati di altri, che saranno un’utile risorsa per le formazioni degli anni successivi e, chissà, per un “passaggio di ruolo” dalla rappresentanza di classe a quella di istituto o di consulta.

− Sarebbe, infine, gratificante per i rappresentanti poter organizzare, a fine anno, un’uscita di mezza giornata o di una giornata intera da dedicare alla sintesi e alla riprogrammazione per l’anno successivo. Gli insegnanti, a giugno, compilano la relazione finale con il programma svolto; i rappresentanti semplicemente vanno in vacanza, senza aver avuto modo di riflettere sull’esperienza vissuta, sui suoi pro e i suoi contro. Tenendo, poi, conto del fatto che il compito della rappresentanza non prevede nessun tipo di gratificazione concreta (anzi, a volte si sentono alcuni colleghi che si lamentano del fatto che uno studente si è dedicato alla rappresentanza, togliendo tempo allo studio), salvo forse, in sporadici casi, la possibilità di ottenere il credito formativo a fine anno, “premiare” con una giornata fuori dall’aula chi ha accettato di impiegare parte del suo tempo alla scuola al di là del ruolo di studente può essere un segnale positivo da parte della scuola, che favorirà, negli anni a seguire, un maggiore coinvolgimento degli studenti nella vita della rappresentanza a tutti i livelli. Durante questa giornata sarà interessante confrontare le prospettive di inizio anno con quanto è stato poi vissuto e realizzato dai ragazzi, discutere sui problemi rimasti, proporre strategie per gli anni successivi. Infine, sarà anche molto motivante prevedere un momento di ufficialità, meglio se alla presenza del dirigente scolastico, con la consegna di attestati di partecipazione all’intero corso di formazione.