Se in questo momento nessuno in Italia sembra ricordarsi dell’importanza decisiva dell’educazione cattolica, ecco che Papa Francesco – ancora una volta – prende tutti in contropiede. Oggi (ieri, ndr) nel suo breve e incisivo intervento alla plenaria della Congregazione per l’Educazione Cattolica ha ricordato che le scuole e le università che nascono dall’esperienza cristiana offrono a tutti, credenti e non, “una proposta educativa che mira allo sviluppo integrale della persona e che risponde al diritto di tutti di accedere al sapere e alla conoscenza”. È questo infatti lo scopo per cui esistono le scuole,  qualunque scuola: far crescere la personalità dei ragazzi introducendo ciascuno di essi al meglio di ciò che hanno trovato le generazioni che ci hanno preceduto, dall’antichità ad oggi, in tutti gli aspetti della conoscenza, dalle arti alle scienze alla letteratura. Una scuola che nasce dall’esperienza cristiana ha un’ipotesi educativa singolare, la quale non è un’ideologia o una nuova teoria pedagogica, ma nasce e tende continuamente allo sguardo che Cristo stesso ha introdotto nel mondo come possibilità per ogni uomo. Essa quindi, come ha detto Francesco, è chiamata ad offrire a tutti “con pieno rispetto della libertà di ciascuno e dei metodi propri dell’ambiente scolastico, la proposta cristiana, cioè Gesù Cristo come senso della vita, del cosmo e della storia.” 



Educazione non è uguale a tecnica formativa, neppure è sufficiente un certo tipo di preparazione disciplinare: “Educare è un atto d’amore, è dare vita”. È un’esperienza di comunicazione di sé, e implica la persona dell’educatore fino in fondo: “l’amore è esigente, chiede di impegnare le migliori risorse, di risvegliare la passione e mettersi in cammino con pazienza insieme ai giovani”. Fanno parte di questo amore la serietà e la passione con cui l’insegnante si rapporta alla propria disciplina e la comunica: “Non si può improvvisare, dobbiamo fare seriamente”, ha detto il Papa. Senza nasconderci le difficoltà che, almeno in parte, oggi sono diverse da quelle di ieri. 



Il ritmo al quale il mondo cambia è tale da costituire una sfida nella sfida. Così l’educazione è sempre un cammino, un tentativo, “un grande cantiere aperto” ha detto Papa Francesco. E non vale accusare le nuove generazioni di difetto di attenzione o di immaturità, occorre ripartire da ciò che è in grado di ridestare l’interesse per il reale, la domanda, la curiosità. Ma per questo non basta un sapere astratto: “I giovani hanno bisogno di qualità dell’insegnamento e insieme di valori, non solo enunciati, ma testimoniati”. L’educatore è quindi un testimone, una prova vivente che ciò che insegna vale la pena di essere conosciuto, perché corrisponde misteriosamente ma realmente a un desiderio che ci costituisce.



Il Papa ha infine ricordato che “l’educatore ha bisogno egli stesso di una formazione permanente”. Come ripeteva spesso don Giussani, “nessuno genera se non è generato”. Una consapevolezza che evidentemente in Papa Francesco nasce dalla propria traboccante passione educativa, che coincide con il suo struggimento ad annunciare Cristo. Per questo egli sa commuovere le folle e ridestare il cuore della singola persona. Una passione che rende instancabile il suo richiamo affinché le opere che nascono dalla fede siano pronte a rischiare la propria testimonianza nel mondo: “Occorre che le istituzioni accademiche cattoliche non si isolino dal mondo, ma sappiano entrare con coraggio nell’areopago delle culture attuali e porsi in dialogo, consapevoli del dono che hanno da offrire a tutti”.

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