Il nuovo ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, segretaria di Scelta Civica ma anche ordinario di glottologia e linguistica e rettore dell’Università per stranieri di Perugia (quindi ministro sia “politico” che “tecnico”) è il 38esimo ministro della pubblica istruzione a partire dal 1946, anche se occupa il 60esimo posto perché alcuni ministri sono stati nominati più volte. Possiamo aggiungere altri otto ministri, che si sono occupati dell’università, nelle legislature in cui era separata dalla scuola. Perché questo dato spicciolo per iniziare una brevissima riflessione sulle urgenze da indicare (insieme ai migliori auguri) a chi va a ricoprire un incarico tanto gravoso quanto impopolare? 



Perché ogni ricerca e ogni riflessione mostrano che i tempi della formazione sono tempi lunghi, in cui le conseguenze delle decisioni politiche diventano evidenti dopo molti anni, mentre i tempi della politica sono brevi, e quindi porteranno frutto, se lo porteranno, non a chi ha deciso ma a chi verrà dopo di lui. La prima indicazione è quindi quella di fissare le priorità tenendo conto del fatto che l’orizzonte temporale di queste priorità non è e non può essere confinato nell’arco di una legislatura, e serve quindi un’intesa di massima sulla linea da seguire. Ciò posto, ed è probabilmente la maggiore difficoltà da affrontare, posso provare a individuare alcune linee di azione su cui cercare il consenso politico, e poi individuare una strategia efficace.



1. La riduzione e semplificazione della normativa. Se un mio amico preside diceva negli anni Ottanta che, data una circolare, era sempre possibile trovare la circolare uguale e contraria, tre anni di esperienza romana nell’Anvur mi hanno dolorosamente convinta che i vincoli normativi ostacolano attivamente qualsiasi innovazione, e consolidano il potere di chi è in grado di orientarsi fra le norme e di interpretarle, cioè la burocrazia ministeriale. 

Temo che non sia possibile chiedere alla burocrazia di suicidarsi, ma è indispensabile in tempi brevi ridurre in modo sostanziale la complessità del quadro di riferimento, facilitando la decisionalità politica. L’aneddotica sull’ordinaria follia burocratica è vastissima, ma mi limiterò a notare come la scuola lombarda, cioè circa 8mila scuole con un milione e 400mila studenti, è tenuta in scacco da almeno due anni dai ricorsi per il concorso dirigenti (i cui controversi risultati, peraltro, attestano in modo clamoroso l’assoluta inadeguatezza dei meccanismi di reclutamento della dirigenza).



2. Formazione, reclutamento e carriera dei docenti. Su questo tema francamente non saprei più che cosa dire di originale, perché la questione è sempre la stessa. Posso cavarmela con una battuta, e cioè “la scuola di oggi forma i ragazzi di domani con gli insegnanti di ieri”, oppure con una citazione del 1985 di Sabino Cassese, secondo cui “la Pubblica Amministrazione non sa chi vuole, non lo cerca e non lo forma”. 

L’imprecisione nel determinare percorsi formativi e modalità di professionalizzazione e poi reclutamento, l’impossibilità per le scuole di scegliere gli insegnanti in modo coerente con la propria offerta formativa, l’idea che non si possano individuare i docenti migliori e anche se si possono è comunque preferibile non premiarli, e via dicendo, porteranno una crescente disaffezione dei laureati migliori verso l’insegnamento, considerato una scelta di ripiego. 

3. Valutazione. È un tema trasversale che attraversa l’intero sistema formativo dalla scuola dell’infanzia ai dottorati di ricerca, e ho l’impressione che le resistenze in merito siano ancora forti, anche se ho già visto nascere comportamenti virtuosi. Certo che se distinguere il grano dal loglio è un puro esercizio intellettuale senza conseguenze, l’azione migliorativa della valutazione viene enormemente ridimensionata: naturalmente, diminuiscono anche le opposizioni, ma questo non mi sembra una ragione sufficiente a rinunciare a fornire informazione ai decisori politici, elementi alle famiglie per scegliere la scuola o il corso di laurea, e indicazioni alle istituzioni per il miglioramento. 

4. Valorizzazione della formazione tecnico-professionale e di ogni forma di collegamento fra formazione e lavoro. Oggi è forse possibile potenziare con maggiore decisione i percorsi misti, la formazione regionale, i contratti di apprendistato, e perfino rinforzare quella troppo iniziale diffusione dell’istruzione di terzo livello non universitaria che costituisce un’anomalia del nostro sistema formativo, perché – e lo dico con molta tristezza – l’immagine dell’università pare molto appannata, e c’è una crescente disponibilità a mettersi in gioco su percorsi di qualità non accademici, centrati sull’acquisizione delle competenze, dei saperi operativi. L’individuazione e promozione delle eccellenze (e penso ad esempio al sistema delle accademie e dei conservatori che al momento costituiscono il mio principale ambito di interesse) è tanto importante quanto il superamento delle criticità.

5. Riduzione della dispersione. La nostra scuola continua a perdere (ricordo un convegno che giocava sul doppio significato di “perdere” come “essere sconfitto” e “lasciare indietro”) un numero eccessivo di studenti, non più nell’obbligo, dove però la selezione si manifesta come qualificazione formalmente presente, ma sostanzialmente inadeguata, ma nella secondaria e nell’università, dove oggi arrivano alla laurea, dopo un parziale recupero negli scorsi anni, circa quattro studenti su dieci. È quindi necessario non solo ridiscutere il concetto stesso di “successo formativo”, in presenza di nuove fasce deboli, come i ragazzi di origine straniera, ma rinforzare la formazione permanente, per recuperare le carenze iniziali. 

6. Maggiore efficacia nell’uso dei fondi. Mi sembra molto improbabile che sia possibile espandere la spesa per l’istruzione, ed è quindi necessario accrescere il bassissimo tasso di efficienza degli attuali sistemi di finanziamento. 

Bisognerebbe avere il coraggio di immaginare nuove forme di finanziamento dell’istruzione, come propone l’Ocse e come ormai anche in Italia qualcuno incomincia a suggerire, affrontando il tabù del “tutti i soldi alla scuola statale” per suggerire un’ottica di sistema meno costosa e più proficua. Un serio studio in questa direzione sarebbe a mio avviso una delle priorità. 

Mi fermo qui: mi sono resa conto che questo elenco di priorità coincide con l’augurio al nuovo ministro di restare al governo per le prossime tre o quattro legislature…