Provare a rileggere D’Annunzio, al di là dei molti pregiudizi, degli schemi, delle forzature che su questo autore sono state riversate, ma che lui stesso ha fatto in modo che si costruissero attorno alla sua figura. Scoprire D’Annunzio, nonostante D’Annunzio si potrebbe dire.
È questa la scommessa di più di 1.800 studenti e docenti che aderiranno alla XIII edizione de I Colloqui Fiorentini (Firenze, 27 febbraio-1° marzo) e che per mesi, dallo scorso settembre, hanno affrontato le pagine del grande scrittore abruzzese per preparare le tesine con cui partecipare al convegno. Alla ricerca della sua umanità, provocati da un titolo che suggerisce tanto, ma lascia anche tanto da indagare: “Ah perché non è infinito come il desiderio, il potere umano?”
Eccole lì, in un breve verso, le grandi parole dell’uomo, le grandi questioni di tutta la sua esistenza.
Desiderio, il motore dell’uomo. Tutto ciò che lo spinge ad addentrarsi nella vita curioso, per addentarla “con i denti voraci”, con le “mani audaci e cupide”, come scrive il nostro, giovanissimo, nel suo Canto alla gioia. Quel desiderio che lo ha spinto a voler primeggiare, ad essere sulla bocca di tutti gli uomini e le donne del suo tempo e poi a voler esaltarsi ancor più, al di sopra degli uguali, nella solitudine del “princeps”, che gli faceva rispondere, nel Piacere, alla domanda “che vorreste voi essere?“: “Principe romano“. Quel desiderio che lo porta ad osare ogni limite, a spiccare il balzo per il “folle volo”, tanto da sentirsi affine solo il grande Ulisse, come scrive in Maia, e come lui, solo, volle affrontare il mare dell’esistenza: “E io tacqui / in disparte, e fui solo; / per sempre fui solo sul Mare. / E in me solo credetti. / Uomo, io non credetti ad altra / virtù se non a quella / inesorabile d’un cuore / possente. E a me solo fedele / io fui, al mio solo disegno“.
Infinito, perché le dimensioni del desiderio sono vertiginose, abissali, senza limite. E solo l’uomo forte, l’ultrauomo può osarne i confini. Il sogno del superuomo è tutto qui, il mito delle grandi imprese, l’illusione dell’arte, l’artificio della parola servono per sondare la dimensione dell’infinito, unica sentita degna dell’uomo. E la vita è un’incessante attesa dell’alto evento, di un trasumanar che sveli all’uomo la sua vera collocazione, la sua vera dimensione: “Tutto era silenzio, luce, forza, desìo. / L’attesa del prodigio gonfiava questo mio / cuore come il cuor del mondo” (Maia).
E la vita è un votarsi corpo e anima alla ricerca della sensazione più forte e travolgente: “Vita […] chi t’amò sulla terra / con questo furore? / Chi ti attese in ogni / attimo con ansie mai paghe? / Chi riconobbe le tue ore / sorelle de’ suoi sogni? / Chi più larghe piaghe / s’ebbe nella tua guerra? / E chi ferì con daghe / di più sottili tempre? Chi di te gioì sempre / come s’ei fosse / per dipartirsi?” (Maia).
Potere, quello che permette all’uomo di elevarsi sui bruti; quello che fa sentire l’uomo simile al dio; quello che D’Annunzio sente scorrere in sé attraverso la magia della parola, della rima, della poesia: “Il verso è tutto“, perché crea il mondo altro, chimerico, supremo e gli dà realtà, verità, persuasione. La parola, l’arte che trasformano il reale, lo trasfigurano secondo la volontà del sogno: “M’abitava già il demone lirico che tutto m’esalta e trasfigura? Si svegliava già in me il senso magico della vita?” (Notturno).
Il potere, la “possanza dell’anima“, che spinge alle imprese ardite, che spinse D’Annunzio ad arruolarsi volontario a cinquantadue anni nella prima guerra mondiale, a compiere innumerevoli azioni militari, fra cui quelle clamorose della beffa di Buccari e del volo su Vienna, capaci di risollevare il morale abbattuto delle truppe italiane. Il potere che lo spinse alla follia della presa di Fiume; quel potere che fece vedere in lui a Mussolini prima un alleato utile per il neonato Fascismo, poi un possibile avversario, che convinse il duce a rinchiuderlo nella gabbia dorata del Vittoriale.
Il potere che si sprigiona nella forza seduttiva che attrae nel suo vortice un numero stupefacente di amanti, quasi tutte donne sposate e dell’alta società. Un potere che induce tante di loro alla perdizione, all’abbandono totale e fiducioso nella braccia di chi ben presto se ne sarebbe stancato, lasciandole nella disperazione. Basti pensare ad Eleonora Duse o ad Alessandra di Rudinì. Ma anche alla moglie, sedotta quasi per capriccio e sposata, dalla quale ebbe due figli e che poi abbandonò letteralmente, in condizioni economiche al limite della miseria, per l’incipiente passione per la Duse.
Desiderio, infinito, potere umano. I tre grandi temi attorno a cui ruota la vicenda letteraria e umana di D’Annunzio. Ma in che rapporto stanno fra di loro? Come l’eroe abruzzese decide di viverli?
È quanto i Colloqui Fiorentini si incaricheranno di scoprire.