Il ministro Carrozza ha incontrato (28 gennaio) i sindacati della scuola. L’amministrazione si è detta soddisfatta per le risposte date alle varie questioni affrontate. Soddisfazione molto più contenuta, anzi in alcuni casi insoddisfazione, da parte delle organizzazioni sindacali. Nessuna notizia, tuttavia, sull’apertura di un dialogo per il rinnovo contrattuale, se non la promessa, da parte del Miur, di approfondire la discussione (con chi? Quando?). 



Ci chiediamo: come si esce dall’impasse? Probabilmente quando si deciderà, da entrambe le parti, di lasciarsi alle spalle una stagione politica dettata dall’emergenza, dal recupero degli errori, da una concezione sbagliata della categoria docente il cui lavoro non è solo misurabile in moneta, bensì anche in profili di carriera e credibilità. 



Sul tavolo dell’incontro, dunque, sono state poste le urgenze determinate dai tempi, dalla navigazione a vista. Il piano triennale di assunzioni del personale previsto dal decreto “L’istruzione riparte”, anzitutto. 

Dai report sindacali si ricava che è stato predisposto l’Atto di indirizzo all’Aran, con decorrenza 2014, per le assunzioni di 12.625 insegnanti, 1.604 insegnanti di sostegno e 4.317 Ata. Notiamo che questi passaggi burocratici (le assunzioni si concordano con l’Aran, un soggetto giuridico al quale il Miur delega dal punto di vista tecnico la contrattazione) coincide con allungamenti di tempi e probabilmente dispendio di soldi. Ma alle organizzazioni sindacali premeva, oltre alle assunzioni, risolvere il vulnus degli scatti di anzianità, cioè la progressione economica legata alla permanenza dell’insegnante sulla cattedra. Vera e propria linea del Piave sindacale: di qui non passa lo straniero. In realtà lo straniero è già passato, semplicemente si è voltato indietro e ha avuto pietà. Fuor di metafora: come è noto, gli automatismi stipendiali sono stati bloccati e addirittura per 52mila dipendenti (docenti e personale Ata) transitati alla classe stipendiale successiva era previsto un recupero delle somme già percepite. Salvo, appunto l’intervento del decreto legge in Gazzetta dal 23 gennaio che blocca il prelievo. 



Nel suo intervento il ministro ha sottolineato la volontà del Governo di considerare la scuola come una risorsa su cui investire, facendo leva sulla (prevista) assenza del blocco retributivo per il comparto scuola per l’anno 2014. Recuperata la validità dell’anno 2012, avrebbe detto, la carriera del personale scolastico sarà rallentata “solo” di un anno (2013) e non di due (2013 e 2014), come per il restante personale del pubblico impiego.

In altri termini, il marchingegno individuato e sul quale occorre riflettere, è che per non incidere sulle buste paga del 2013 si prevede di concedere il recupero degli scatti del 2012. 

È il gioco del gambero: il recupero dell’anzianità 2012 elimina gli effetti della sottrazione 2013.

Ma con quali fondi si accederà al recupero degli scatti e alla mancata sottrazione dalle tasche dei docenti delle somme già erogate (fino a 150 euro al mese)? Con il fondo per il miglioramento offerta formativa (Mof) annualmente concesso direttamente alle scuole che sarà decurtato di circa 120 milioni. Certo, occorrerà contrattare la misura con i sindacati (entro giugno, tempo massimo), ma possiamo già immaginare quale sarà l’esito dei convenevoli, dato che perfino il 90% dei docenti (sondaggio Gilda) dice di voler sacrificare il fondo a vantaggio degli scatti. Il ministero dell’Istruzione non ha fondi liberi, ma risorse rigidamente assegnate dal ministero dell’Economia, pertanto il prelievo avverrà dal Mof. 

Stiamo raschiando il fondo del barile, perché il Mof serve per il fondo d’istituto, per gli incarichi ai docenti e per la sostituzione dei colleghi assenti. Il Mof anche se talvolta sprecato in progetti di dubbia qualità è un sostegno all’autonomia delle scuole (ribadita dal ministro come priorità nell’atto di indirizzo 2014).

Per il 2013-14, l’ammontare del Mof sarebbe dovuto essere di 984 milioni di euro. Solo da pochi giorni (27 gennaio) una nota del Miur ne assegna alle scuole il 50%, in attesa della conclusione della contrattazione relativa agli scatti, cioè appunto alla decurtazione del Mof stesso. 

Le scuole però hanno già proceduto con le attività programmate (non potrebbe essere altrimenti) anche perché il Mof viene assegnato a consuntivo, cioè dopo che si sia dimostrata l’effettiva realizzazione delle iniziative. 

Il filo doppio che lega ormai indissolubilmente scatti di anzianità e prosciugamento del Mof deve far riflettere. È come voler pescare tonni nello stagno dietro casa. I sindacati scuola (lo ha dimostrato il dibattito su queste pagine) non solo non mollano sugli scatti che dal loro punto di vista (e anche delle tasche dei docenti) sono l’unica forma di premialità esistente nel percorso professionale della categoria. Non sono disponibili ad aprire una nuova fase contrattuale priva di impegni economici per la scuola. 

Il ministro Carrozza, una volta ottenuto l’impegno del Mef sul “suo” decreto (“L’istruzione riparte”) e non avendo altre risorse da calare sul tappeto della progressione economica dei docenti, se non il Mof, sta pensando ad una sostituzione degli scatti con forme di premialità legate al merito. Il tema della valenza quantitativa e qualitativa dei salari attraversa l’Europa, ma da noi si ragiona in termini riduttivi. Di fronte agli insegnanti, in modo particolare a quelli che si assumono la responsabilità di sorreggere le scuole e i percorsi formativi anzitutto con il proprio lavoro a diretto contatto con studenti e genitori, non si può giocare sporco. 

L’amministrazione sa bene che se punta al merito deve ridisegnare la configurazione giuridica del docente; il sindacato sa (ma non lo dice) che puntare all’infinito sulla sola anzianità non paga. 

Poniamo ancora una volta la domanda: perché non si apre concretamente una nuova fase contrattuale facendo parlare la scuola reale e facendo emergere profili di nuova professionalità dai tanti esempi di risposta alla domanda educativa che stanno accadendo nel Paese? Sarà il contratto, quando verrà, a definire il docente o non piuttosto il lavoro del docente a definire gli spazi di un contratto più capace di rispondere alle varie forme della professione?

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