Allora le scuole italiane sono “ricche”, al punto che non riescono a spendere tutti i soldi che ricevono! Pare sia stato un sindacato a scoprirlo: così riferisce Repubblica di domenica, attribuendo la scoperta alla Cisl-Scuola, anche se, sempre riferito da Repubblica, la stessa Cisl avrebbe avvertito di non usare la scoperta per non ritenere inutili i finanziamenti alle scuole statali. Alla buon’ora!
Non essendo possibile trovare la conferma della fonte, si deve stare a quanto attribuito dal giornalista: nel 2012/2013 sono rimasti non utilizzati 217 su 889 milioni di euro destinati al Miglioramento dell’offerta formativa (Mof). La “sorprendente scoperta” sarebbe stata fatta, appunto, dalla Cisl, mentre ci cercavano le risorse nel bilancio del Miur per pagare gli scatti stipendiali degli insegnanti.
1. La prima riflessione nasce da questa “scoperta casuale”: com’è possibile che un’amministrazione dotata di tutti gli strumenti informatici per il controllo dei bilanci delle scuole (tutti i Revisori dei conti inseriscono i dati dei bilanci delle scuole statali nel sistema “Athena”) non sia da tempo a conoscenza di “avanzi” specie dell’entità citata (200 milioni)? Forse sarebbe il caso che venga avviata un’ispezione amministrativa sull’effettivo funzionamento di questi controlli e sull’effettivo utilizzo di questi dati da parte della direzione generale delle Risorse al ministero. Non parliamo di noccioline, ma di gran parte del finanziamento dei progetti attivati dalle scuole per gli studenti (attività pomeridiane, servizi di sostegno e recupero, pratica sportiva).
A meno che coloro che al Miur hanno fatto questa “scoperta” abbiano fatto un (involontario?!?) scambio terminologico: abbiano cioè scambiato per “ricchezza” delle scuole i “contributi volontari” che le famiglie versano annualmente alle scuole, contributi che entrano ovviamente nei bilanci delle stesse per venire utilizzati tutti, appunto per il “Miglioramento dell’offerta formativa” (così deve essere, infatti, l’unica finalizzazione). Ma, pur se finalizzati con lo stesso termine, questi contributi non appartengono in alcun modo allo Stato, bensì alle famiglie ed agli studenti che hanno il diritto non solo di goderne dell’impiego, ma anche di conoscere annualmente il resoconto da parte dell’istituzione scolastica.
2. La seconda riflessione riguarda l’informazione data: se “al 30 settembre 2013 [si scopre che] ben 217 milioni di euro risultano ancora come giacenze: soldi non spesi, insomma” si deve anche dire con chiarezza che non solo quei 217, bensì oltre 500 milioni sono stati accreditati alle scuole solo ad aprile 2013 in quanto l’intesa Miur-sindacati su oltre il 50% del fondo per l’offerta formativa è stata fatta con moltissimo ritardo. Le scuole “meno arrischiate”, quindi, fino ad aprile 2013 non avevano programmato attività per le quali non c’era certezza di pagamento. Ormai l’anno scolastico era terminato e la possibilità di impegnare in attività programmate quei fondi era svanita.
A questo va aggiunto che lo scorso anno scolastico (2012/2013 appunto) anche i fondi per pagare i corsi di recupero alle scuole superiori sono arrivati ad anno scolastico concluso: a luglio 2013 il Miur rendeva disponibili questi fondi, nonostante che il DPR 122/2009 obblighi le scuole statali a deliberare corsi di recupero durante gli scrutini del primo quadrimestre. Peccato che, all’atto dell’arrivo dei fondi, l’anno scolastico era terminato da un po’ ed i corsi ad agosto si potevano fare solo al mare…
Risulta quindi incomprensibile la frase attribuita da Repubblica a Scrima, segretario Cisl, che addebiterebbe alle scuole superiori la colpa di non aver “speso per intero” i fondi per attivare corsi di recupero.
Peggio le cose sono andate per i fondi per pagare le supplenze e le ore eccedenti fatte dai docenti. Repubblica attribuirebbe ai dirigenti scolastici la colpa di togliere ore di lezione agli studenti in quanto non spenderebbero le risorse per le supplenze! Non ci si ricorda anche qui degli enormi ritardi di assegnazione dei fondi alle scuole: nel mese di novembre 2013 (ma era già successo l’anno prima) i supplenti sono addirittura rimasti senza stipendio, perché la copertura finanziaria non arrivava dal Miur. A pagare per questi ritardi (oltre che per le riduzioni) ovviamente sono le attività di cui gli studenti avrebbero dovuto godere e che, arrivati a maggio, era ormai inutile attivare.
3. La terza riflessione riguarda il tam-tam subito avviato contro l’incapacità delle scuole di spendere ed il supposto occultamento delle risorse, tam-tam facilmente utilizzabile per operare ulteriori riduzioni. Nel 2009 il ministro Fioroni (cui seguirono dichiarazioni simili di Gelmini e Profumo) girava l’accusa di occultare avanzi di bilancio ai dirigenti scolastici: poi si scoprì che gran parte delle scuole anticipavano di cassa fondi per compensare attività (si trattava di pagamenti di supplenze, di esami di Stato) per le quali i fondi ministeriali arrivavano sempre con gravi ritardi ed in alcuni casi non sono neppure arrivati.
Inoltre, oltre all’accusa di mancata spesa da parte delle scuole, viene avanti l’ipotesi che DiSAL aveva già denunciato a dicembre 2013. L’ipotesi viene accennata da Repubblica (non è ben chiaro se riportando un parere di Scrima): quei fondi del Mof non spesi saranno utilizzati per coprire la spese degli scatti stipendiali. Mica male come paradosso: versati in ritardo rispetto alla possibilità di spesa e tolti per pagare gli scatti di anzianità. In questo modo quei fondi diventano la pietra di scontro tra compensi per pagare i docenti che lavorano di più nelle scuole (per i progetti rivolti agli studenti) e compensi per pagare l’anzianità di carriera. Sarebbe interessante sapere alla fine se tra ministero e politica esiste una chiara idea sulla finalità delle risorse per la scuola!
Nel complesso la vicenda − che mantiene molti aspetti kafkiani incomprensibili fuori dagli uffici delle scuole vista la complessità ed assurdità di molte disposizioni − non fa che confermare una necessità alla quale lo Stato e la politica tuttavia non intendono mettere mano: la completa mancanza di autonomia finanziaria delle scuole “autonome” (ormai costrette a vivere in gran parte dei contributi volontari che le famiglie accettano di versare), unita all’esigenza di un serio ed efficiente sistema di controlli sull’utilizzo delle risorse, che non arrivi “per caso” a scoprire centinaia di milioni non utilizzati.
Ogni anno le scuole statali iniziano la loro programmazione senza sapere mai nulla delle risorse sulle quali contare. Quale azienda seria potrebbe fare così?
Persino il nuovo segretario della Cei, mons. Nunzio Galantino, ieri ha ricordato che “non si può fare della scuola i bancomat dal quale sottrarre continuamente risorse, per andare a sprecarle in altri ambiti”.