Il ministro Carrozza ha autorizzato la sperimentazione del liceo di 4 anni a partire dall’anno scolastico 2014-2015. La sperimentazione ha rilanciato il dibattito sull’opportunità di ridurre da 13 a 12 gli anni di studio necessari per l’accesso all’università. Leggi qui il primo, il secondo e il terzo articolo di Giuseppe Bertagna.



4. Quattro anni: una buona idea, ma a precise condizioni – Questa scelta sui licei e, si spera, sugli istituti tecnici a quattro anni, per non apparire un espediente inventato in questi ultimissimi anni di crisi per tagliare un po’ di spesa pubblica e, allo stesso tempo, un vero e proprio attentato alla qualità complessiva degli studi e della formazione dei nostri giovani, ha poco senso se non si rispettano contemporaneamente, o almeno in un arco temporale ragionevole, le seguenti  condizioni.



1. La prima: intervenire in maniera non cosmetica sulla scuola dell’infanzia e sulle scuole del primo ciclo di istruzione per introdurre il lavoro, esperienze di lavoro, come straordinario giacimento metodologico, culturale ed etico per la formazione dei ragazzi. Ciò per abbattere definitivamente quella specie di trascendentale dello spirito che docenti e ragazzi, con le loro famiglie, interiorizzano da decenni tra i tre anni di scuola dell’infanzia e gli otto del primo ciclo: l’identificazione tra “merito” ed “eccellenza” e “merito ed eccellenza scolastica”. 



Ragion per cui, alla fine del percorso, i “meritevoli” e gli “eccellenti scolastici” sarebbero destinati alla frequenza dei licei, i “buoni scolastici” a quella degli istituti tecnici, i “sufficienti scolastici” degli istituti professionali, i “dis-” o gli “i-nadatti scolastici” ai percorsi di istruzione e formazione professionale triquadriennali delle Regioni e, infine, i drop out, gli ormai non più scolarizzati o scolarizzabili, all’apprendistato, ovvero ad un lavoro vissuto come una condanna espiatoria o, comunque, come segno di una sconfitta, invece che come una fertilissima occasione formativa per l’elevazione umana, civile e professionale. 

La pari dignità educativa e culturale dei percorsi di “istruzione”, di “istruzione e formazione professionale” e di “apprendistato formativo” del secondo ciclo e dell’istruzione e formazione terziaria non si può che costruire, infatti, sul piano della mentalità e, soprattutto, su quello pedagogico-didattico, tra scuola dell’infanzia e primo ciclo. Dopo è troppo tardi, visto che è più facile rompere un atomo che un pregiudizio (Einstein). 

A questo proposito, sarà indispensabile anche intervenire con energiche novità sulla formazione e sull’aggiornamento dei docenti che, spesso, in questi gradi scolastici, non praticano la pari dignità ricorsiva tra cultura simbolica e lavoro concreto, o comunque tra compiti sociali ed operativi autentici e uso strumentale delle discipline di studio formalizzate, non per dissenso ideologico, ma perché nessuno ha mai mostrato loro con sistematicità e plausibilità “perché, come, quando e quanto” lo si fa e lo si deve fare, e perché tutti i ragazzi, nessuno escluso, con questa impostazione, trarrebbero giovamenti non solo nell’età evolutiva, ma per sempre, per l’intera durata degli studi e della loro vita. 

2. Seconda condizione: intervenire sulla dimensione organizzativa delle scuole del primo ciclo di istruzione. In particolare, si tratta di: 

A) recuperare l’ipotesi del 2001 che prevedeva un’articolazione biennale dei tempi didattici dell’intero ciclo (con tutte le conseguenze a livello di tempistica dei traguardi di apprendimento e di periodicità della valutazione); 

B) superare, o almeno attenuare progressivamente, l’attuale, ancora rigida separazione tra docenti di scuola primaria e docenti di scuola secondaria di I grado sia a livello di formazione iniziale sia a livello di stato giuridico e contrattuale, prevedendo scivoli graduali e reciproci tra i due ruoli, soprattutto nel biennio a scavalco tra quinta classe della primaria e prima classe della scuola media;

C) introdurre a pieno titolo anche nel primo ciclo il lavoro didattico svolto con la formula dei Larsa (Laboratori per l’approfondimento, lo sviluppo e il recupero degli apprendimenti); il che significa progettare le attività di insegnamento e di apprendimento, superando il gruppo classe come unità organizzativa privilegiata ed ordinaria, al fine di abituare i ragazzi (ma anche i docenti e i genitori) a operare con ordine progettuale e libertà didattica, a seconda dei ritmi di apprendimento e delle differenti competenze acquisite, per gruppi di livello, di compito, di progetto od elettivi; 

D) riconoscere, proprio per sostenere la praticabilità del punto precedente, il ruolo e le responsabilità funzionali di un docente coordinatore dell’équipe dei colleghi che, per ogni gruppo classe, come tutor degli allievi o come semplici responsabili di determinate attività, sono a diverso titolo coinvolti nei Larsa, nella progettazione formativa, nell’elaborazione delle unità di apprendimento che vanno a costituire i piani di studio personalizzati, nel coordinamento e nella verifica della compilazione dei portfoli delle competenze personali degli allievi, nonché di ogni altro documento di monitoraggio amministrativo;

E) riconoscere il ruolo e le responsabilità funzionali dei docenti dell’équipe incaricati di essere tutor di gruppi di allievi; compito dei tutor è, in collaborazione con il collega coordinatore e con gli altri membri dell’équipe, curare, con il coinvolgimento dei ragazzi, i piani di studio personalizzati e il portfolio degli allievi che gli sono nominalmente affidati;  accompagnare gli studenti nelle diverse attività didattiche (comprese quelle del tutorato tra pari); sostenerli, con la famiglia e il territorio, nella maturazione dell’orientamento; assisterli nei tirocini curricolari ed extracurricolari, nelle esperienze di alternanza scuola-lavoro ed eventualmente di apprendistato, anche ai fini della certificazione delle competenze; 

F) rendere ordinarie in ogni scuola la presenza di professionalità relative al riconoscimento di crediti formativi formali per apprendimenti maturati in attività e ambienti non formali, informali e occasionali e alla certificazione delle competenze (controllo della completezza della documentazione; organizzazione, coordinamento e controllo delle diverse fasi del processo relativo all’analisi della documentazione, all’eventuale individuazione e validazione delle acquisizioni maturate in contesti di apprendimento non formali, informali e occasionali, nonché all’attribuzione del valore del credito, alla verbalizzazione e all’attestazione). 

3. Terza condizione: declinare nel concreto ordinamentale la pari dignità educativa, culturale e professionale dei percorsi del secondo ciclo di istruzione e formazione. Non basta la comune durata dei percorsi a questo scopo. Serve anche un significativo sforzo aggiuntivo. Nel caso particolare, se non si vuole reintegrare l’architettura ordinamentale ex leggi n. 30/2003 e n. 53/2003 (con relativo d.lgs. 226/05), che, come è noto, prevedeva, un unico “sistema educativo di istruzione e formazione”, internamente articolato in percorsi di “istruzione liceale”, di “istruzione e formazione professionale” e di “apprendistato formativo”, ma si preferisce  mantenere le palinodie introdotte dai ministri Fioroni e Gelmini che, per il percorso di “istruzione”, hanno riconosciuto accanto a quella liceale anche quella tecnica e professionale, è almeno indispensabile che i percorsi di istruzione (liceale, tecnica e professionale) dello Stato e i percorsi di IeFP delle Regioni non siano, nemmeno simbolicamente, tra loro pensati come gerarchici sul piano qualitativo. 

A questo scopo, pare indispensabile tornare quanto prima al dettato originario del d.lgs. 226/05, ovvero mirare a rafforzare l’IeFP regionale, assorbendo in essa, se non più l’istruzione tecnica, almeno l’attuale istruzione professionale statale. Sarebbe allo stesso tempo una razionalizzazione dell’offerta formativa sui territori ed un’ottimizzazione della spesa, senza più duplicazioni o sovrapposizioni di indirizzi. A regime, sarebbe buona cosa, comunque, immaginare un 33% di utenza nei licei, un altro 33% nei tecnici e il restante 33% diviso tra IeFP e apprendistato formativo. In questo, facendoci non solo più europei, ma mondiali, visto che da nessuna parte si ha, come da noi, quasi il 50% dei giovani in liceo e il restante 50% diviso tra tecnici, professionali e IeFP, e il tutto praticamente senza studenti in apprendistato formativo. 

4. Quarta condizione: nel caso in cui sia assicurata la condizione precedente, garantire, con una prudente, ma decisa e coerente marcia di avvicinamento, che sia i percorsi di istruzione liceale e tecnica, sia quelli di IeFP, comprensivi dell’attuale istruzione professionale statale: 

A) siano comunque centrati sull’alternanza formativa scuola lavoro e/o scuola società ed abbiano i laboratori che, al posto di essere concentrati nelle istituzioni scolastiche o formative, con il rischio di diventare rapidamente obsoleti e di trasformarsi in luoghi “acchiappapolvere”, siano al contrario distribuiti a rete su specifici e reali contesti produttivi o sociali del territorio; non solo si avrebbe un indubbio vantaggio economico, con laboratori sempre aggiornati alle reali dinamiche produttive e sociali, ma si darebbe anche un forte contributo al collegamento scuola/società/imprese, e viceversa, diffondendo le pratiche dell’alternanza e creando molte occasioni per tirocini curricolari ed extracurricolari;  

B) passino da un lavoro didattico per conoscenze/abilità (unità didattiche centrate sulla distribuzione dei contenuti) ad un lavoro per competenze (unità di apprendimento), centrato cioè su compiti, progetti, problemi, interventi autentici e reali, a livello sociale, professionale e personale, che, per essere ben osservati/interpretati o eseguiti e risolti, hanno bisogno, come mezzo, delle conoscenze/abilità disciplinari e/interdisciplinari; 

C) riconoscano, valorizzino, certifichino e valutino  sia le conoscenze/abilità, sia, soprattutto, le competenze maturate in contesti di apprendimento non formali, informali e occasionali; 

D) continuino l’organizzazione per Larsa, già introdotta nel primo ciclo, e prevedano il docente coordinatore e i docenti tutor che, alle funzioni collaudate nelle scuole precedenti, aggiungano anche quella di una sistematica collaborazione con i tutor di impresa o delle istituzioni sociali di servizio nelle quali si trovano i laboratori o si svolgono i tirocini curricolari ed extracurricolari; 

E) siano tutti e tre compresenti sul territorio, con un’offerta formativa il più possibile integrata, peraltro favorita dalla flessibilità e dalla mobilità dei gruppi Larsa (recupero dell’ipotesi del campus configurato ex legge n. 53/03 e superamento degli attuali poli tecnico-professionali, ex comma 2 dell’art. 13 della legge 40/07 che li prevede riservati esclusivamente agli istituti tecnici e professionali); 

F) si presentino programmaticamente aperti alla possibilità di frequentare sia l’istruzione superiore universitaria sia la formazione superiore professionale attualmente composta da Ifts e Its; per questo, nell’ambito del campus integrato, è rilevante predisporre una struttura unitaria di Larsa destinata  a garantire agli studenti che non dovessero superare le prove di ingresso all’università o agli Its/Ifts opportuni interventi didattici di recupero, riallineamento, approfondimento o riconversione delle conoscenze/abilità e delle competenze; 

G) siano impegnati, coordinati nel campus e tramite accordi di rete anche con agenzie di intermediazione e/o con i centri per l’impiego, per garantire agli studenti, alle famiglie e alle imprese del territorio i servizi delle agenzie per il lavoro: accoglienza, orientamento, matching, valutazione delle competenze, collocazione e ricollocazione professionale, riconversione professionale, formazione ricorrente; questi servizi, predisposti anche riconvertendo tradizionali professionalità docenti e/o reclutando specifiche professionalità, devono diventare preziosi occasioni per diminuire i disallineamenti tra domanda ed offerta di competenze generali e professionali ed  aggiornando, in proposito, i contenuti, i metodi e i tempi dei diversi percorsi formativi.

5. Quinta condizione: accompagnare la contrazione in atto dell’offerta formativa universitaria (tra Ava e riduzione dell’Ffo, i docenti universitari erano 65mila solo quattro anni fa, sono 55mila oggi e, tempo altri quattro anni, dovrebbero scendere di altri 10mila) con un parallelo potenziamento sull’intero territorio nazionale dell’offerta di formazione professionale superiore. In questa direzione, occorre predisporre un’offerta graduale e continua, sulla base delle richieste dei territori e in collaborazione con le imprese, di corsi brevi di specializzazione, corsi da semestrali a annuali di Ifts e corsi da biennali a triennali di Its. L’importante è la permeabilità di questi diversi percorsi, senza inchiodarli alla rigidità delle canne d’organo. 

Per qualificare l’offerta universitaria e quella della formazione professionale superiore, ma anche per far rifluire questa qualità sui percorsi precedenti, sono inoltre indispensabili prove di ingresso alla formazione professionale superiore che non siano riducibili alla tanto comoda quanto  insignificante, se non pericolosa e qualitativamente illusoria, quizzomania imperante da qualche anno al Miur. 

Serve, al contrario, un serio sistema di verifica anche documentaria e/o testimoniale delle competenze comunque e in ogni dove acquisite dai candidati, ritenute preliminari all’avvio del corso di studi; l’elaborazione di capolavori in situazione, accompagnati da relazioni tecnico-scientifico-culturali redatte in presenza di esperti; periodi adeguati di osservazione delle modalità con cui i candidati risolvono specifici problemi e colloqui critici sulle modalità riflessive con cui essi procedono a tali soluzioni. 

Come si ricordava alla terza condizione, punto f), chi non dovesse, tuttavia, superare le prove di accesso per riconosciute carenze formative deve poter contare sulla disponibilità di appositi Larsa di riallineamento, organizzati dall’università e dalla formazione professionale superiore con le istituzioni scolastiche del secondo ciclo. 

6. Sesta condizione: una nuova formazione dei docenti che superi le modalità finora vigenti, seguita da un nuovo sistema di reclutamento. In questa prospettiva, pare ragionevole per tutti i docenti del primo e secondo ciclo un percorso distribuito nelle seguenti tappe: 

A) laurea, con prove di ingresso obbligatorie, ancorché orientative, in una delle classi vigenti, quindi a caratterizzazione, in sostanza, disciplinarista o al massimo di area; 

B) laurea magistrale con accesso a numero programmato e quindi anche con prove di ingresso selettive, abilitante all'”apprendistato nell’insegnamento”; laurea magistrale specifica rispettivamente per la scuola dell’infanzia e primaria, per i grandi settori scientifico disciplinari della scuola secondaria di I grado, per i settori disciplinari previsti nei piani di studio dei licei e degli istituti tecnici, per gli ambiti stabiliti nei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) dell’IeFP; tutte queste differenti lauree andrebbero svolte in alternanza formativa scuola-lavoro, che poi vuol dire con il tirocinio curricolare nelle scuole corrispondenti, posto in posizione centrale e con l’accompagnamento coordinato del tutor accademico e del tutor scolastico; 

C) concorsi banditi, sulla base di comuni norme nazionali, a livello di singole reti scolastiche (almeno per il 50% dei posti disponibili, lasciando i rimanenti ai docenti inseriti nelle attuali graduatorie) per accedere a contratti di apprendistato di alta formazione per la docenza, della durata di tre anni,  gestiti dalla scuola con la collaborazione dell’università; 

D) scioglimento o conferma da parte delle istituzioni scolastiche (o dei diretti interessati) del contratto di apprendistato per la docenza e sua trasformazione in contratto di lavoro a tempo indeterminato per gli abilitati all’insegnamento; 

E) riconoscimento dei crediti per accedere ad una seconda laurea magistrale abilitante all'”apprendistato nell’insegnamento” in una scuola di grado ed ordine diversa da quella già in precedenza acquisita; 

F) eventuale frequenza, sempre in apprendistato di alta formazione per l’insegnamento, di corsi di perfezionamento o di master annuali/biennali dedicati, a seconda dei casi, alla formazione delle figure specifiche previste dalla nuova organizzazione delle attività formative (docente coordinatore, docente tutor, docente responsabile del riconoscimento dei crediti e della certificazione delle competenze, docente specializzato per il sostegno ai disabili, docente collaboratore vicario del dirigente); l’organizzazione e la gestione di questi corsi o master vanno stipulate, rispettando gli standard definiti a livello nazionale, con accordi di rete tra istituzioni scolastiche interessate e università; tali accordi stabiliscono anche, sulla base dei fabbisogni determinati a livello di rete, il numero dei posti disponibili per l’accesso. 

7. Settima condizione: un anno in meno di scuola, ancorché recuperato in termini di qualità del servizio e di risultati formativi per gli studenti e per l’intera società rispetto ad ora, consente risparmi significativi sul piano quantitativo. In un paese che già soffre di scarsi investimenti in istruzione e formazione sarebbe, tuttavia, molto grave se questi risparmi non fossero tutti reinvestiti per rendere esigibili nella loro interezza sostanziale gli interventi esplicitati in tutte le condizioni prima elencate.

 

8. Ultima condizione. Le prospettive delineate non nascono sul e nel vuoto. In quest’opera di ristrutturazione radicale dell’offerta formativa riservata alle nuove generazioni, infatti, è saggio imparare dalle migliori pratiche accumulate nelle istituzioni scolastiche più disponibili ad esercitare, in questi anni, l’autonomia e, non di meno, confrontarsi con i traguardi raggiunti, in questi anni, dai percorsi di IeFP regionali più innovativi (per esempio i casi di Lombardia, Veneto, Friuli, Liguria). 

L’esperienza lombarda è, in questo senso, significativa. Da quest’anno, ad esempio, mette a disposizione un sistema di IeFP con tanto di Profilo Educativo, Culturale Professionale stabilito dallo Stato per i 18 anni (quello allegato al d.lgs. 226/05) e, soprattutto, con tanto di Indicazioni Regionali per l’Offerta Formativa delle qualifiche triennali e dei diplomi quadriennali notevolmente avanzate.

Nelle Indicazioni Regionali lombarde, infatti, è scomparso il riferimento quasi obbligato all’unità organizzativa minima della “classe”; con la “classe”, è scomparso anche l’orario settimanale annuale definito a priori, sostituito dalle esclusive ore annuali e da una programmazione dei tempi settimanali che tiene conto delle Unità formative e delle esigenze didattiche degli studenti; ancora più importante, è scomparso, insieme a quello della “classe”, il monopolio degli apprendimenti e degli insegnamenti formali, ben affiancati invece da quelli non formali, informali e perfino occasionali, con tanto di riconoscimento di crediti condotto sotto la supervisione del tutor formativo e del responsabile Certificazione delle competenze; sempre con la “classe”, inoltre, è scomparsa anche la cosiddetta programmazione didattica annuale a priori, sostituita dai piani formativi personalizzati (corrispondenti ai piani di studio personalizzati della legge n. 53/03) scaturiti a posteriori dalla raccolta delle unità formative (corrispondenti alle unità di apprendimento della legge n. 53/03) progettate, governate e gestite just in time dall’équipe dei formatori e, infine, verificate da essi in itinere, sulla base dei soli vincoli posti nella progettazione dal Pof.

È scomparsa, inoltre, anche la tradizionale valutazione, sostituita dal portfolio come strumento necessario sia per coinvolgere a pieno titolo famiglie, imprese e territorio nella definizione delle unità formative, sia per corresponsabilizzare lo studente, la sua famiglia e gli esperti del territorio nella valutazione, ma anche sostituita dal rapporto costante instaurato tra piani formativi personalizzati e Laboratori per l’approfondimento, lo sviluppo e il recupero degli apprendimenti (Larsa); per ultimo, è stata introdotta senza più alcun vincolo di tempo annuale la metodologia dell’alternanza formativa, dell’alternanza scuola lavoro, della scuola bottega, del tirocinio curricolare ed extracurricolare, dimostrando che queste attività sono e possono essere, soltanto lo si voglia, “ore di lezione”, e molto proficue, a tutti gli effetti.

(4 − fine)