Il Miur del ministro Giannini è solerte nell’affidare a tempestivi comunicati stampa la descrizione dei propri atti; due giorni fa recitava: “Risolta la vicenda dei neo presidi delle scuole lombarde… Ai vincitori il Ministero ha voluto dare la migliore risposta possibile sui tempi per la loro presa di servizio, nel rispetto della continuità didattica”. I mass-media hanno riferito pertanto di un accordo raggiunto in merito alla ormai nota vicenda: venerdì scorso i vincitori del concorso, alcuni provenienti con mogli e figli da altre regioni, sono stati convocati a Milano per firmare il contratto e prendere servizio il 10 marzo; inaspettatamente sono stati invece “congelati” da una nota proveniente da Roma, che ha differito la loro presa di servizio al 1° settembre per non interrompere la continuità didattica delle classi dove insegnano. 



Il diritto sacrosanto e inviolabile dei nostri bambini e ragazzi” alla formazione (così, sempre il ministro, in un altro comunicato stampa) non è certo in discussione, ma non può nemmeno essere l’alibi per un comportamento, quello dell’amministrazione scolastica, che si configura certamente come schizofrenico, se non addirittura al di fuori della legalità. 



Martedì scorso è stato lo stesso capo di gabinetto del Miur, Alessandro Fusacchia, a parlare di “schizofrenia comunicativa” in un incontro a Roma alla presenza del direttore dell’Ufficio scolastico della Lombardia, Francesco De Sanctis, e di alcuni vincitori di concorso (convocati con un tweet –così ormai usa la politica – dallo stesso dirigente romano). Ai presidi “congelati” è stato semplicemente comunicato (perché si è trattata di decisione unilaterale, non di accordo) un ulteriore cambio di direzione da parte dell’amministrazione: la presa di servizio avverrà il 30 giugno, mentre la formazione iniziale, prevista dalla normativa, sarà avviata già nelle prossime settimane. Il giorno successivo hanno ricevuto la stessa comunicazione i sindacati che, fortemente infastiditi dalla gestione poco trasparente e lesiva dei diritti dei lavoratori, non hanno potuto far altro che prendere atto di quanto già deciso dall’amministrazione.



Ieri dall’Ufficio scolastico lombardo è stato conseguentemente emanato il decreto direttoriale che recepisce e dà seguito alle decisioni assunte a Roma, ma l’atto stesso, assai scarno, evidenzia quanto grande sia il conflitto nella gerarchia del ministero: il direttore regionale, senza alcun particolare riferimento normativo o ricostruzione della procedura amministrativa o della motivazione sottesa, si limita a confermare la data di assunzione del 30 giugno, attribuendone la responsabilità esclusivamente all’amministrazione centrale.

Il ministero è impegnato ora a chiarire i molti punti ancora oscuri della proposta come, ad esempio, le modalità della formazione e del tirocinio o l’ambigua situazione di quegli insegnati che, impegnati come membri interni negli esami di stato, si troveranno ad assumere nel frattempo un nuovo status giuridico. 

I docenti vincitori del concorso, ripreso l’insegnamento nelle loro classi, faticano però ad affidare le sorti della propria carriera professionale esclusivamente alle promesse e agli atti di un’amministrazione tanto schizofrenica, temendo che l’ennesimo errore o superficialità (basterebbe quello, senza scomodare trame oscure) vanifichi ancora una volta il loro impegno. 

A settembre avevano salutato con favore il decreto, poi convertito in legge, “La scuola riparte” del ministro Carrozza, dove era stata inserita una norma che esplicitamente ne prevedeva l’immissione in servizio in corso d’anno. Avrebbero dovuto invece ricordare le parole di una bella canzone di Giorgio Gaber: “La legge c’è la legge non c’è…/ La legge in un paese alla deriva /fa si che la giustizia sia un po’ riflessiva/ e per fare valere le tue ragioni /dovrai aspettare due o tre generazioni.“!

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