I numeri provvisori forniti dal Miur sulle iscrizioni dei ragazzi – 530.911 al primo anno della scuola secondaria di secondo grado statale e paritaria per il prossimo anno scolastico 2014-15 – sono spie significative delle scelte e dell’orientamento/disorientamento dei nostri ragazzi e delle loro famiglie al cospetto del futuro. 



I licei con i loro 266.370 nuovi iscritti rappresentano il 50,1% delle iscrizioni. Tra i licei, quello scientifico aumenta al 22%. Ma l’indirizzo in aumento è quello senza latino, con le opzioni di scienze applicate. Il classico è in lieve diminuzione, mentre aumenta il liceo linguistico. Gli istituti tecnici con 163.303 nuovi iscritti sono il 30%, in lieve calo rispetto all’anno scorso. Calano soprattutto gli indirizzi legati alla produzione industriale e al marketing, mentre aumentano quelli legati al settore turistico e agrario e, soprattutto, alberghiero. I professionali con 101.238 sono in leggero calo: dal 19,9% al 19,1%. Al nord i tecnici e i professionali son in aumento, al Sud avanzano i licei. 



Le scelte di indirizzo sono il prodotto congiunto degli orientamenti dei ragazzi, dei giudizi/pregiudizi dei genitori, dei “consigli” degli insegnanti, riuniti nei consigli di classe. Esse dicono molto su come la società civile stia vivendo la crisi economico-finanziaria, incominciata nel 2007 e tutt’altro che esaurita, e su come vi si orienti. Sotto la nobile parola “licei” si nasconde/manifesta una realtà formativa che è molto diversa da quella tradizionale. La denominazione “licei” fu il frutto di un compromesso lessicale tra la Moratti e Confindustria (la prima avrebbe voluto una tripartizione, con i licei classico/scientifico allo Stato e i tecnici e i professionali alle Regioni; la seconda preferiva che i tecnici rimanessero in capo allo Stato) poggiata sul principio spagnolesco “todos caballeros”: diamo a tutti il cappello liceale, favoriremo l’iscrizione ai tecnici. 



Perciò, si chiamarono licei, ma erano dei tecnici. Il cambio di nome ha tuttavia indotto a poco a poco un cambio di sostanza didattico-formativa: è aumentata nei nuovi licei la parte generalista, è diminuita la parte legata al lavoro, alla produzione, al territorio. La “liceizzazione” del sistema non ha però giovato ai ragazzi e alle famiglie. Nella diminuzione delle iscrizioni ai tecnici pesa certamente la crisi industriale, soprattutto nel Centro-Sud, ma, assai di più, l’illusione ideologica diffusa che il liceo abbia più a che fare con la formazione delle élites e perciò funzioni quale ascensore sociale. 

Ciò che accade realmente è che la formazione generalista “obbliga” ad andare all’università, dove gli indirizzi preferiti sono scienze della formazione, storia, sociologia, psicologia, comunicazione, eccetera. E dopo? Dopo arriva inesorabile la disoccupazione. Intanto i licei classici stanno perdendo di fatto il greco e il latino – nel senso che i ragazzi alla maturità ne sanno ormai pochissimo -, mentre i licei scientifici hanno perso di diritto il latino, visto che stanno crescendo i licei scientifici senza latino. 

Ai numeri del Miur si dovrebbero, perciò, aggiungere quelli della dispersione e quelli dei “pentiti”: il 44% dei ragazzi interpellati in una ricerca di Almalaurea, che vorrebbero aver fatto un’altra scelta di indirizzo e che si trovano prigionieri di scelte precoci e solo subite. La funzione “orientamento” del sistema scolastico è assente e quando c’è fa danni! Né gli insegnanti né le famiglie sono orientati a orientare. Il che dipende da un basso livello di consapevolezza culturale circa l’evoluzione economico-sociale del Paese e il suo futuro prossimo nel ciclone della globalizzazione. Perciò i ragazzi vanno a naso: Masterchef e Facebook contano, a quanto pare, assai più nella scelta degli indirizzi apparentemente più up to date.

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