Prorogati gli automatismi stipendiali del personale scuola. Ieri l’aula del Senato ha approvato, con 183 voti a favore e 56 contrari, il decreto legge pubblicato in Gazzetta Ufficiale 23 gennaio scorso contente le disposizioni a favore degli scatti di anzianità. Ai 120 milioni di copertura previsti inizialmente dal decreto si aggiunge il ripristino del Mof (fondo per il Miglioramento dell’offerta formativa) i cui fondi, nella consueta caccia a sempre nuove risorse, erano stati sforbiciati di due terzi proprio per coprire gli scatti. Il decreto ora passa alla Camera, ma la coperta è e rimane corta. Il ministro Giannini si è detto soddisfatto perché con il decreto approvato dal Senato “abbiamo corretto un errore commesso in passato”. Ha invitato però a “guardare soprattutto al futuro”. Del resto è stata proprio la Giannini a dire, all’indomani della sua nomina, che “il merito postula la valutazione dei docenti, l’autonomia dei singoli istituti e la fine della carriera unicamente per anzianità”. Ne abbiamo parlato con il giuslavorista Giuliano Cazzola.



Professore, è d’accordo col ministro?
Certo. Non tanto per l’istituto contrattuale degli scatti in sé per sé, quanto piuttosto perché esso è il solo strumento utilizzato per valorizzare e premiare la professionalità degli insegnanti, come se fosse l’anzianità di servizio il parametro che assicura una maggiore qualità della funzione docente. Vede, il settore della scuola, nell’ambito del pubblico impiego, è ancora invischiato in un modello tradizionale di contrattazione: gli scatti sono il solo modo per fare carriera, per guadagnare di più.



Un modello centralistico, dove non esiste praticamente la contrattazione decentrata.
Appunto. Niente legame tra retribuzione e risultato, niente remunerazione della maggiore produttività. Col risultato che un insegnante di liceo guadagna meno di un autista dell’Inps. È la logica nefasta del todos caballeros. Oddio non è che nel pubblico impiego operino, anche negli altri comparti, criteri particolarmente selettivi. Ma almeno esistono i presupposti, sono previste le regole per premiare chi lavora meglio degli altri. Nella scuola no.

Dopo quelle prime dichiarazioni del ministro c’è stata una levata di scudi sindacale, quasi a dire: gli scatti non si toccano. È lungimiranza o conservazione?
Intendiamoci. Non dobbiamo fare confusione tra la questione degli scatti in termini generali e la vicenda che ha coinvolto il governo Letta, prima che Renzi cambiasse l’hastag #enricostasereno in #enricofattidaparte. Confesso che quando hanno costretto Saccomanni a fare marcia indietro sul recupero degli scatti, ho capito che il governo Letta era ormai alla fine. Facciamo il punto correttamente. Da anni è previsto il blocco della contrattazione collettiva nel pubblico impiego, compresa la retribuzione individuale. Gli scatti, dunque, non dovevano essere riconosciuti agli insegnanti. Invece, il ministro precedente fece un accordo con i sindacati per pagarli prendendo le risorse da un’altra posta di bilancio. Questo è stato l’errore. Commesso il quale diventava poi difficile recuperare ciò che era stato concesso ed erogato. Ma il Tesoro aveva ragione, anche se un ministro non dovrebbe mai dare la colpa ai funzionari.



Qual è, professore, la radice storica di una posizione così rigida sugli scatti?

Gli scatti di anzianità erano previsti come unica progressione economica quando nel pubblico impiego non esisteva la contrattazione. Ma anche nel settore privato esistevano o esistono ancora, gli scatti di anzianità. Il problema è quello di trasformarli in voci retributive che migliorino l’efficienza del sistema e dei servizi.

E le radici che potremmo definire culturali?
Quanto alle radici culturali… occorre riconoscere che non è facile trovare delle alternative nel mondo della scuola. Luigi Berlinguer si giocò il ministero perché volle provarci, sia pure con una soluzione un po’ barocca (la valutazione di una lezione ex cathedra, se ben ricordo). Ma adesso siamo in grado di farlo con i moderni strumenti di valutazione che sono stati inclusi anche nelle ultimi provvedimenti di riforma.

Ma secondo lei, stante la situazione della finanza pubblica, è una posizione ancora economicamente sostenibile?
Le risorse sono comunque quelle che sono. Giocandosele sugli scatti vanno messe in conto retribuzioni decenti solo dopo aver maturato molti anni di insegnamento. E non è dimostrato che un insegnante anziano sia meglio di uno alle prime armi.

Il contratto dei docenti è scaduto da 4 anni. Questo giornale ha difeso l’ipotesi di “un nuovo tipo di contratto che libera (meglio liberalizza) il lavoro del docente” alle dipendenze da scuole realmente autonome. Lei che ne pensa?
Penso che ilsussidiario.net abbia ragione. Ma l’assenza di contrattazione decentrata è l’altra faccia della medaglia del mancato decollo dell’autonomia scolastica. Pensi ad un liceo o ad un istituto tecnico gestiti da un consiglio di amministrazione al cui interno siedano i rappresentanti delle forze economiche e sociali del territorio, con strutture capaci di fare davvero orientamento…

Pantaleo (Cgil) ha criticato la nostra ipotesi perché “presuppone uno stato giuridico completamente diverso, con un rapporto di lavoro che non può essere dipendente, ma appunto libero-professionale, quindi con meno tutele e meno diritti”.
Perché mai? Non è forse sottoposto al diritto comune fin dai primi anni 90 il rapporto di lavoro pubblico? La scuola italiana soffre per l’attuale accentramento delle strutture e delle risorse. Si rivendica un’autonomia delle cultura che è soltanto chiusura alle istanze della società. Poi ci si lamenta per la disoccupazione giovanile…

Se non si trovano le risorse la colpa è dei governi perché “non vogliono individuare risorse per la professionalità docente togliendole a quella parte di spesa pubblica improduttiva e fonte di privilegi che ci allontana dall’Europa”. Così Di Menna (Uil).

Ricordo a memoria dei dati significativi: tra i Paesi Ocse l’Italia è tra quelli che hanno il rapporto più basso tra docenti e studenti in ogni ordine e grado di scuola. Non è forse spesa improduttiva questa? Sarebbe certamente auspicabile destinare maggiori risorse all’istruzione, ma spendere di più non vuol dire spendere bene. Ma questi sono discorsi degni di Catalano, il personaggio di Quelli della notte. Con gli insegnanti vorrei misurarmi sul fenomeno della dispersione scolastica, sugli abbandoni e su quanto non garantisce nei fatti quel fondamentale diritto alla studio dei giovani che ha altrettanto valore dei diritti dei docenti.

Ancora Di Menna: “In tutti i paesi europei, ad eccezione della Svezia, la retribuzione degli insegnanti ha un riferimento nella progressione alla anzianità”.
Lo ripeto. Il problema non sono gli scatti in sé, ma l’uso che se ne fa. Soprattutto quando si tratta di un premio ad una professionalità solo presunta.

Difendiamo “la scuola della Costituzione, vale a dire la scuola inclusiva e democratica che deve dare pari opportunità a tutti. Lo sottolineaiamo: in netta contrapposizione all’idea gerarchica, autoritaria e selettiva che ha caratterizzato le politiche scolastiche dell’ex ministro Gelmini”. Sono parole di Pantaleo (Cgil).
Beh, mi pare che sia un classico esempio del bue che dà del cornuto all’asino.

Vuole fare uno scenario, dal punto di vista previdenziale e della finanza pubblica, basato sul protrarsi della situazione attuale?
Una scuola che invecchia, che non si apre a nuove energie (pensi alla scelta di procedere all’assunzione dei vincitori di concorso, magari indetti anni or sono o anche soltanto degli idonei), che non svolge un ruolo strategico nella costruzione dell’Italia di domani.

Come dovrebbe essere secondo lei un nuovo e più moderno contratto dei docenti?
Credo che si debba mettere in sinergia l’autonomia scolastica (il cda, il preside-manager, un badget per ogni istituto e quant’altro) con la contrattazione decentrata pur nel quadro di compatibilità definite.

Le sembra che il governo Renzi abbia la  forza, oltre che la volontà, di cambiare realmente le cose?
Renzi ha parlato di ridare status e prestigio agli insegnanti. Al solito non ha aggiunto altro. Sa, io penso che a Renzi interessi solo la legge elettorale per andare a votare al più presto (al massimo all’inizio del 2015) e giocarsela con Berlusconi. Il resto sono solo chiacchiere. Il suo disegno è quello di creare aspettative per poter accusare la burocrazia, i piccoli partiti, le corporazioni di non averlo lasciato lavorare. Ma la sua è una corsa contro il tempo, perché ha pochi margini, deve fare in fretta prima che gli italiani si accorgano che è solo un pallone gonfiato.

Un paio di consigli non richiesti al ministro Giannini.
Quelli che vengono da Scelta civica pensano di essere dei geni. Cominci il ministro a fare un bagno di modestia. Ricorda come si rivolgono a Renzo Tramaglino ne I promessi sposi? “Povero untorello, non sarai tu quello che spianti Milano”…

(Federico Ferraù)

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