Caro direttore,
anche con Renzi e col nuovo ministro dell’Istruzione si rischia di replicare il peccato originale di noi italiani: gli effetti annuncio. Quasi un nascondersi dietro le parole, gli slogan, le facili promesse, cioè un voler “cambiare tutto” per poi ritrovarsi alla fine che “nulla è cambiato”.
Tutti i politici dovrebbero imparare a parlare attraverso i fatti, le scelte, le decisioni. Mentre oggi i problemi vengono sollevati per diventare, al massimo, tema da talk show, senza badare alla cruda realtà.
Lo stesso succede col tema della scuola, scelto da Renzi per la sua passeggiate prima a Treviso poi a Siracusa trevigiana e diventato mero esercizio retorico. Tanto, promettere non costa nulla!
Eppure, la cruda realtà chiede ben altro. Perché la crisi, per chi non pensa alle prossime elezioni, ma alle prossime generazioni, per riprendere De Gasperi, si vince a partire dalla scuola e dall’università, ripensate a partire dai risultati del loro “servizio pubblico”, non continuando ad inseguire la solita autoreferenza. Perché i sistemi complessi non si possono governare dal centro, nè si può attendere, fideisticamente, che si autoriformino, quasi per ispirazione divina.
Per questo è centrale il passaggio riformatore del nuovo Titolo V della Costituzione, voluto dal centrosinistra nel 2001, poi naufragato perché in realtà rimasto lettera morta, o applicato senza un alcuna etica della responsabilità.
È la logica sussidiaria, vista l’usura del concetto di federalismo, che può rappresentare un’áncora di salvezza.
Non basta, dunque, parlare della scuola in forma vagamente progettuale, solo perché si ha in casa una moglie insegnante, come ha fatto Renzi, o come faceva Letta, per via delle belle inchieste – sempre sulla scuola – della moglie giornalista.
Si tratta di partire dalla “scuola reale”, non di considerarla solo un trofeo pubblicitario. È giusto parlare dei muri delle scuole,viste le difficoltà anche di manutenzione, tanto che le stesse scuole sono poi costrette a chiedere, per la gestione, l’aiuto delle famiglie (ipocritamente chiamati “contributi volontari”).
Ma il cuore della scuola è la vita di classe. Sono i percorsi formativi, i presidi, i docenti e il personale realmente scelti secondo merito e valore, e valutati/valorizzati anche in termini stipendiali.
La riforma del 2010 delle scuole superiori, tanto per intenderci, è già vecchia, perché troppo rigida, per niente flessibile e non in linea con le nuove domande formative. Andrebbe riscritta. E basterebbe poco.
Ma non ci sono riforme a costo zero. La politica di oggi, al di là delle solite retoriche e degli usi strumentali, è capace di cogliere questo nuovo sguardo?
Il quadro del cambio di marcia è presto detto: la fonte anche del diritto scolastico non può essere lo Stato, ma le persone che vivono nelle loro concrete relazioni. Per questo non può più bastare, nella gestione del “servizio pubblico”, il solo diritto amministrativo, che poi è la burocrazia fine a se stessa. Lo Stato deve essere ripensato come garante e regolatore delle modalità del diritto, ma non la sua fonte. Affidandosi e puntando sull’organizzazione, cresce solo l’organizzazione, non la vita; non le persone, non la speranza di futuro per tutti noi, ma, in primis, per nostri giovani.