Ora tutti si accorgono che le cose così non possono andare. Perché non basta fissare delle date, se non si verifica il contesto entro il quale le stesse assumono un significato.

La decisione di anticipare a primavera i test universitari, era già stato detto, significava e significa, nei fatti, sovrapporsi al percorso di preparazione agli esami di maturità. Comprese le simulazioni delle terze prove che tutte le scuole propongono ai nostri ragazzi delle classi quinte.



Bastava un coordinamento all’interno del nostro ministero (Miur), vista la compresenza dei dipartimenti dell’istruzione e dell’università, e (forse) si sarebbero evitati i pasticci che tutti oggi denunciano. Che hanno portato, nei fatti, al crollo delle partecipazioni agli stessi test.

Siamo in Italia, potremmo concludere, ma non può essere questa la conclusione. Se poi la sommiamo all’altro pasticcio in voga lo scorso anno, cioè i bonus, abbiamo il quadro del non-governo del nostro sistema della formazione. Da tutti richiamato come il cuore del nostro sistema-Paese, in realtà lasciato quasi a se stesso.



Che, poi, 6 ragazzi su 10 non sapessero, non fossero stati bene informati, o non si fossero interessati di questa sovrapposizione, non può essere motivo sufficiente per liquidare il tutto con un moto di semi indifferenza. Il sistema, anche quello dell’istruzione, richiede un governo, richiede una visione, cioè una prospettiva. Perché i cambiamenti o si governano, o si subiscono. Inutile poi lamentarsi. A che serve, per essere chiari, un Miur, se non a questo?

Solo uno studente su 3 ha per tempo costruito un percorso di formazione parallelo tra scuola e test. In alcuni casi aiutato dalle stesse scuole, con un notevole dispendio di risorse e di energie. Tutto volontariato, tanto per intenderci, senza nessun supporto da parte del Miur. Quasi a dire che molte scuole, alla fin fine, pur di dare una mano ai propri studenti, assorbono tutto, coprono tutto, correggono il tiro, nella misura del possibile, alle incongruenze del sistema.



Per fare un altro esempio: vista la digitalizzazione, perché anticipare l’iscrizione alle classi prime delle superiori a febbraio, invece che a luglio? Sapendo bene che il 44% dei laureati, a precisa domanda, ammette di avere sbagliato scelta di scuola media superiore?

In tutte le scelte di sistema, lo sappiamo bene, vanno tenuti in grande considerazione anzitutto gli attori, cioè gli studenti. La scuola, infatti, è per loro, con loro. Non a prescindere.

Nessuno, tra i ministeriali, ignari della scuola reale ma detentori del vero potere di governo di un sistema centralizzato, che abbia – ad esempio – verificato cosa ne pensano i nostri ragazzi, il mondo della scuola, per carpirne la tempistica. Nessuno, a parte Skuola.net e pochi strumenti di comunicazione, considerati, nelle sacre stanze di Viale Trastevere, solo uno sfogatoio.

Perché poi il mondo universitario avrebbe preteso questo anticipo? Solo per dire chiaramente che l’esame di maturità è un bluff? E che il voto non vale granché, viste le note differenze di valutazione tra regione e regione, ma anche tra scuola e scuola, tra docente e docente?

Non solo: perché test costruiti come dei quiz? in vista di che, secondo quale analisi dei prerequisiti e delle competenze maturate, per fare che?

Oggi non c’è governo di sistema perché queste domande non trovano risposta (e viceversa). Non vengono nemmeno ammesse come domande legittime. Perché, pur sapendole, nessuno fa niente. Come se non ci fossero.

Del resto, lo conosciamo bene il vizio di origine dei nostri decisori ministeriali: credono ancora oggi, con la sola cultura amministrativa, di cogliere la realtà nella sua effettività. Invece… Una cultura necessaria, sia ben chiaro, ma non sufficiente. Perché i decisori politici, che si succedono pro-tempore, non fanno niente, a questo riguardo?

Credo e spero che anche questa faccenda costringa tutti, in primis il potere politico, a rivedere tutta la materia. Per ripensarla ed inquadrarla secondo alcune delle domande qui riprese. Se vogliamo dare, al di là di ogni retorica, una risposta all’angoscia che attanaglia i nostri giovani, cioè la domanda di futuro. Dice qualcosa il 42% di disoccupazione giovanile, contro il 7% tedesco ed il 4% austriaco?

Una revisione, dunque, anzitutto del sistema. Ammesso, e non concesso, che si voglia continuare in questo modo centralizzato. Perché non sperimentare forme sussidiarie di organizzazione dell’offerta formativa e di raccordo tra scuola ed università?

La revisione, poi, dovrebbe concentrarsi sulla scuola superiore, davvero orientante verso la scelta o dell’alta formazione universitaria o del mondo del lavoro. Non più autoreferente ed indifferente a quelle domande di futuro. Quindi, ad una riconsiderazione del merito dei percorsi formativi: se nei test dello scorso settembre 4 studenti su 10 (il 42%) hanno manifestato reali carenze ad esempio in matematica, se non sono riusciti, cioè, a rispondere correttamente ad almeno 7 domande su 60, qualche interrogativo dobbiamo pur porcelo.

Oggi il 57,3% delle università prevedono i test d’ingresso. Forse varrebbe la pena, per sconfiggere la dispersione scolastica, prevederlo anche per il passaggio dalla scuola media alla scuola superiore? Già lo fanno in altri Paesi, e nessuno grida allo scandalo.

Resta la questione del costo. Attraverso i test le università, nei fatti, si costruiscono un bel gruzzoletto: a Torino servono 100 euro, a Padova 27. L’importo medio è di 50 euro per ogni test.

Per la scuola, vista dal di dentro, resta la domanda di qualità, per dare nel concreto una mano ai nostri giovani. Lo si fa con i migliori docenti, concorsi o interventi ope legis permettendo. Ma, si sa, sono questioni tabù, ancora oggi. 

Quale conclusione, a questo punto?

Che i test standardizzati, seppur migliorati, sono comunque necessari per controbilanciare la soggettività ineliminabile dei voti dei docenti. La sovrapposizione, poi, nei fatti lascia intendere che l’università della maturità non sa che farsene. Ma i nostri ragazzi, questa benedetta maturità, la devono comunque portare a casa. Per cui è bene che si esca da questo pasticcio, per ridare alla formazione un profilo di linearità che il nostro mondo conservatore, al di là delle proteste, non sembra disposto a volere. Preferendo lamentarsi, in realtà lasciando a se stessi i nostri ragazzi e senza una concreta risposta la loro legittima domanda di speranza e di futuro.

Sapranno gli autori di questi pasticci curare il morbo da loro stessi prodotto? Ai posteri… eccetera. A questa domanda dovrebbe rispondere la politica, quella che aveva detto di volere la scuola al primo posto.