Si è tenuto nei giorni scorsi, al Convitto della Calza a Firenze, un importante e partecipatissimo convegno (oltre 700 persone) organizzato dalla Fism Toscana: Le scuole paritarie e il modello toscano: novità, impegni e progetti per un sistema scolastico realmente integrato, al quale sono intervenuti, tra gli altri, il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi, il sindaco di Livorno e presidente dell’Anci regionale, Alessandro Cosimi e Leonardo Alessi, presidente di Fism Toscana.
L’importanza del convegno non è data semplicemente dal “peso” dei relatori e dal valore sociale del tema affrontato, ma anche e soprattutto dal fatto che durante il convegno è stato firmato un protocollo d’intesa tra l’associazione dei comuni toscani e la Fism, che prevede azioni comuni e agevolazioni sulle tasse per le scuole paritarie, sia cattoliche che comunali.
Un protocollo che fa seguito alla delibera con la quale nei mesi scorsi Regione Toscana ha stanziato una sostanziosa cifra e varato dei buoni scuola a favore delle famiglie che hanno bambini nelle scuole dell’infanzia paritarie private e degli enti locali (3-6 anni).
Si tratta di un nuovo e ulteriore passo che appare in controtendenza rispetto a quanto sta avvenendo altrove e che fa della Toscana, in questo momento particolare, una delle realtà più dinamiche e lungimiranti a livello nazionale sul piano del sostegno alla libertà di scelta educativa. Per capirne meglio la genesi e le caratteristiche, abbiamo intervistato Leonardo Alessi, presidente di Fism Toscana.



Presidente Alessi, come siete arrivati a questo accordo, e cosa prevede l’intesa nel dettaglio?
In Toscana gli istituti non statali cattolici contano circa 34mila alunni, e le scuole paritarie dell’infanzia comunali sono frequentate da 7.500 bambini. Sono realtà importanti, e non è giusto che vengano penalizzate a livello economico. Il protocollo prevede una serie di azioni comuni, la prima delle quali è la richiesta con forza al governo, come scuole paritarie cattoliche insieme ai comuni italiani, di applicare pienamente la legge Berlinguer sulla parità scolastica: alla parità giuridica deve corrispondere un’effettiva parità economica. Sulla base di questa intesa, ci saranno una serie di azioni comuni e aiuti che le amministrazioni comunali potranno dare, riguardo ad agevolazioni su tasse come l’Imu, la Tasi e la Tares alle scuole paritarie, perché non chiudano.



Se anche chiudessero perché non ce la fanno, potrebbero essere sostituite da scuole dell’infanzia statali. Perché darsi tanto da fare per tenerle in vita? 

Perché si tratta di scuole nate da esperienze della comunità, e quindi sono espressione della vitalità della società civile e della passione educativa che anima il nostro popolo: le nostre dal tessuto ecclesiale e parrocchiale, da congregazioni religiose, da associazioni; quelle comunali dall’esperienza degli enti locali. Queste due realtà hanno quindi un imprescindibile elemento di origine comune. In questo momento vivono un periodo di difficoltà, ma i servizi sul territorio devono essere assolutamente difesi!



Quindi?
Per questo è nata l’idea di fare insieme un percorso per la tutela, la salvaguardia, la promozione e la valorizzazione del sistema scolastico integrato toscano. Senza nessun tipo di contrapposizione con la scuola dell’infanzia statale. Mortificarle, viceversa, significherebbe andare contro ogni buon senso e contro ogni idea di pluralismo, di buona politica e di sussidiarietà.

Ma non si rischia di spendere soldi pubblici per sostenere realtà economicamente fragili o non convenienti per la collettività?

È esattamente il contrario. È bene sottolineare che le nostre scuole sono un valore prezioso non solo dal punto di vista sociale, educativo e della tradizione, ma anche dal punto di vista economico. Infatti, un alunno delle paritarie costa allo Stato 500 euro, un alunno delle scuole statali circa 6.800 euro all’anno. Basta fare due conti per capire che il risparmio per le casse pubbliche in Italia, grazie alle scuole non statali, è di 6 miliardi e 300 milioni di euro. Le scuole paritarie, a gestione privata e comunale, coadiuvano il sistema delle scuole statali che, da sole, non ce la farebbero assolutamente.

A proposito di risorse per la libertà di scelta educativa, Regione Toscana nei mesi scorsi ha stanziato un buono scuola da 1.500.000 euro a sostegno delle famiglie che hanno i loro figli alla scuola dell’infanzia paritaria. Che risposta c’è stata?
Le domande presentate sono state 5.084, di cui 3.860 finanziate. Si tratta di un’iniziativa importante, quella del buono scuola, anche perché le oltre 5mila domande presentate corrispondono a 4 milioni e mezzo di euro di necessità reali delle famiglie. Questa è la strada giusta su cui proseguire. Il pericolo, forse scampato con questo bando, è che se non ci fosse un sostegno molte famiglie non saprebbero dove mettere i figli, probabilmente li lascerebbero a casa. Perché, non dimentichiamolo, le nostre scuole in molti paesi e zone disagiate sono l’unico presidio scolastico sul territorio.

Circa un terzo delle famiglie che mandano i loro figli alla scuola dell’infanzia paritaria,  in Toscana, hanno presentato domanda per il buono scuola. Che segnale rappresenta, questo dato?

Significa che c’è un grande bisogno da parte delle famiglie di essere sostenute nelle spese per l’istruzione dei figli. In secondo luogo, vuol dire che anche rette medio-basse come le nostre (110 euro di media della scuola materna in Toscana!) cominciano ad essere onerose. Infine, è la dimostrazione che la scuola cattolica non è di élite, non è frequentata da ricchi ma che anzi molte nostre famiglie sono al limite della povertà. Quindi sbaglia chi dice che “chi vuole la scuola materna paritaria se la paghi”: le nostre sono scuole popolari. In ogni caso, poi, deve essere garantita la libera scelta della scuola; non dimentichiamo mai che la legge 62/2000 stabilisce che la scuola è tutta pubblica e si divide in statale e non statale, ma svolge assolutamente lo stesso servizio pubblico, cioè rivolto a tutti.

(Marco Lepore)

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