Molti ricorderanno la canzoncina degli anni Trenta, simbolo, allora come oggi, della speranza di ogni comune mortale di vedere la propria busta paga gonfiarsi con qualche banconota in più a fine mese. Si tratta di Mille lire al mese che nel 1939 sbancò, diventando una sorta di inno nazionale. A dire il vero la famosa canzone non è mai passata di moda, al punto che è stata inserita nell’elenco dei brani evergreen. A cantarla era la voce sorniona ed ironica di Gilberto Mazzi.
Proprio quell’antico motivetto mi è venuto in mente l’altro giorno mentre un’altra “ugola d’oro” (è il caso di dirlo, visto come le sta cantando a tutti!) modulava con sicurezza una riedizione del vecchio brano, adattata ai nostri giorni: “Mille …euro all’anno”. Il disco, per la verità già anticipato qualche settimana prima dai juke–box dei giornali nazionali, è stato lanciato ufficialmente l’8 aprile scorso dal palco della sala delle conferenze stampa dei Consiglio dei ministri dalla voce sicura e suadente del presidente Renzi (nella veste appunto del novello Mazzi) per annunciare ai dipendenti pubblici più provati dalla crisi (con redditi annuali tra 8 e 26mila euro lordi) il remake dell’antico motivetto anni 30 con il quale il regime fascista voleva, allora, illudere gli italiani che la nostra nazione fosse una potenza piena di vigore e prosperità.
Oggi, più concretamente, il governo Renzi vuole mantenere il patto di restituire “agli italiani qualcosa che è degli italiani, stringendo la cinghia alla politica e allo Stato che in questi anni hanno speso troppo”. Ma gli italiani sanno bene fare i conti nelle proprie tasche: si può valutare approssimativamente che con 1.000 lire nel 1939, ragionando in potere d’acquisto, ci potevi fare ciò che oggi compri con circa 2.500 euro. E 2.500 euro al mese erano e sarebbero una bella cifra! Ma oggi la canzone renziana parla più modestamente di 1.000 euro… all’anno, che tradotto sono i famosi… 80 euro al mese. “Che diperazione, che delusione, dover campar, sempre in disdetta, sempre in bolletta” accennava una strofa della famosa canzone…
E poi l’annuncio del premier Renzi su Twitter: “Non ci sono tagli alla sanità. Non ci sono tagli agli stipendi degli insegnanti”. E meno male, e ci mancherebbe ancora!, perché gli 80 euro mensili in busta paga rappresentano appena una piccola parte di quanto sarebbe comunque spettato al personale della scuola semplicemente in forza di un dovuto (e atteso) rinnovo dei contratti di lavoro – fermi da molti anni – e della assegnazione alle scuole delle somme spettanti per l’a.s. 2013/14 per pagare le quote intere del fondo di istituto, funzioni strumentaliincarichi specificiedelleore eccedenti per la sostituzione dei colleghi assenti!
Ma forse il governo Renzi nel mettere la scuola al centro della agenda delle priorità pensava solamente, al momento, a sistemare, giustamente, i contenitori nei quali la scuola si realizza ovvero gli edifici scolastici, per i quali, con una certa enfasi di propaganda, il governo ha sbloccato l’utilizzo dei soldi agli enti locali al fine di consentire loro l’avvio dei cantieri di ristrutturazione.
Ma molti altri cantieri attendono nelle scuole di essere allestiti (a quando il riconoscimento della piena autonomia finanziaria, di gestione, di reclutamento degli insegnanti e dei presidi da parte delle singole istituzioni scolastiche? a quando il riconoscimento della parità vera di tutte le scuole del sistema pubblico − statali o paritarie che siano? ci sarà il riconoscimento di un nuovo status giuridico degli insegnanti, veri professionisti dell’educazione e non meri funzionari dello Stato?) o, in molti casi, finalmente smantellati (a quando una moderna revisione dell’esame di maturità – ancora oggi frutto di una norma che lo introduceva in forma di “sperimentazione” − ormai scavalcato persino dai test di ingresso universitari, anticipati arbitrariamente ad aprile da molte università? quando sentiremo il proclama della fine degli attuali organi collegiali nati nel lontano 1975 e l’annuncio della creazione, ormai improcrastinabile, di nuovi strumenti che rendano moderna ed efficace la gestione delle scuole autonome? qualcuno sta pensando come smantellare la rigidità del sistema scolastico per rendere più flessibile il raccordo tra scuola superiore, formazione ed ingresso nel mondo del lavoro?).
Ci si aspetterebbe anche qui qualche annuncio altrettanto importante e decisivo. Per ora tutto… tace. O si vuol far tacere.
Ci sarà un ministro dell’Istruzione, come voce fuori dal coro, capace di interpretare queste attese che studenti, docenti, presidi e genitori desiderano veder corrisposte in questo risveglio di primavera metereologica e, pare, politica? Qualcuno saprà trasformare in armonia di canto (e di proposta) queste insofferenze e queste attese?
Tra l’attivismo del premier, il silenzio sindacale, la tiepidezza del ministro dell’Istruzione ed il lamento dei tanti, mi ritornano in mente le parole di un altro altrettanto famoso motivetto di qualche anno fa che vien voglia di cantare per sollevarci un po’ il morale ed attendere tempi migliori: “Il fatto è che noi villani sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re (…) diventa triste se noi piangiam”. Il titolo? Firmato Jannacci: “Ho visto un Re(nzi)”.
Appunto. E buona notte ai “suonatori”.