Difficile da credere, ma è nuovamente accaduto.

Dopo un diluvio di dichiarazioni, più o meno pertinenti, compresa la candidatura alle europee, il ministro Giannini ha annunciato ieri un nuovo concorsone. L’ennesima riprova, se ce ne fosse stato ancora bisogno, dell’ingovernabilità della scuola, se continua la tradizione centralista.



Accanto alla revisione, anch’essa centralista, del Titolo V, abbiamo ora, con questo nuovo concorso, la prova provata che il governo Renzi ha come unica ottica la via non dell’etica della responsabilità personale, da valutarsi sulla base dei risultati del “servizio pubblico”, ma quella della “struttura burocratica”, cioè dell’autoreferenza.



A parole contro la burocrazia, nei fatti invece suo ultimo difensore. Una forma, ce lo possiamo confessare, di politica populista ed elettoralistica. Lo posso dire, essendo stato, in Veneto, presidente di una commissione al concorso ordinario dello scorso anno.

Così, questa la notizia, 17mila docenti potranno tentare la sorte dell’ennesimo concorso. Per essere in ruolo, dal 2016, in 7mila.

Inutile dire che è il concetto di “ruolo”, oggi, a non reggere più alle nuove esigenze di qualità del servizio docente. Tutto inutile.

E pensare che, nelle maxi-sperimentazioni degli anni ottanta e novanta, le scuole potevano “chiamare” i docenti migliori, ancorché in ruolo. Con valutazione di merito da parte dei “comitati di valutazione”. Tutto cancellato.



Queste le parole del ministro: «Il prossimo anno bandiremo un concorso a cattedra per circa 17mila docenti: il concorso è l’unico strumento per entrare in ruolo e insegnare».

Al ministro, dunque, non è nemmeno passato per la testa un modo alternativo di assunzione dei docenti, ovviamente “in ruolo”, cioè con contratti a tempo indeterminato, ma secondo un principio di equità che tenga conto dell’effettivo servizio pubblico. Una vera spina nel fianco della scuola reale, sconosciuta dalla burocrazia ministeriale, la vera detentrice del potere decisionale.

Quindi 7mila docenti verranno, nel settembre 2014, immessi in ruolo e altrettanti, col nuovo concorso, l’anno successivo.

Meglio lasciar perdere, per un momento, il calvario dei nostri giovani. Tra supplenze, quando ci sono, Tfa e Pas, e graduatorie infinite.

L’unica cosa certa è che al Miur non vogliono risolvere le questioni aperte. Meglio lo status quo, in accordo con un mondo sindacale oramai obsoleto, a livello di cultura del lavoro. Per questo motivo non riescono più ad avere iscritti.

L’unica vera rivoluzione della Giannini è dunque mantenere le cose come stanno: aggiornamento delle graduatorie permanenti sino al 2017 e nuovo concorso ordinario. Secondo la regola del 50%.

Così ha precisato il ministro ieri durante il question time: «è importante dare regolarità ai concorsi. Non solo lo prevede la legge, dato che l’arruolamento dei docenti si fa al 50% da concorso e 50% da graduatorie ad esaurimento, ma anche perché il concorso è di fatto l’unico modo per garantire a tanti nuovi abilitati − e tra questi tantissimi giovani che si sono formati recentemente e scelgono l’insegnamento nella scuola per passione e vocazione − di poter avere una possibilità in tempi ragionevoli di entrare di ruolo a insegnare ai nostri ragazzi». Possibile che nessuno le abbia proposto una revisione delle legge? Possibile che questa sia l’unica vera forma di reclutamento?

Chi conosce e vive la scuola reale credo condivida la mia protesta. Vi sono infatti ragioni obiettive per bocciare questo concorso che costerà milioni di euro, per produrre ben poco, impegnerà quasi gratuitamente centinaia di presidi e docenti, solo per accontentare la smania della burocrazia di celebrare se stessa.

Da presidente di commissione in Veneto ho incontrato tanti giovani in gamba, ma, per la mia classe di concorso, per soli due posti. Due posti. Tante risorse per nulla.

Eppure, basterebbe dare un’occhiata a quelle che sono le modalità in tutto il mondo del lavoro, per stabilire, con una graduatoria, chi ha diritto ad avere un posto di lavoro per merito proprio. L’unica vera novità nell’ultimo concorso è stato il colloquio finale. Ma il vero colloquio finale dovrebbe avvenire all’interno della scuola, con una valutazione specifica. E non la passerella del comitato di valutazione, come è oggi.

Ma, si sa, da noi il merito è ancora un tabù. Nonostante poi si incontrino, per fortuna, tanti bravi giovani, accanto a tanti altri che scelgono la scuola perché altro non sarebbero in grado di fare.

È facile, è giusto dirlo, comprendere perché oggi l’insegnamento, per i giovani in gamba, non sia più una prima scelta, ma, in troppi casi, un ripiego, una seconda o terza scelta. Quando va bene.

I giovani che vi parteciperanno, in maggioranza, sono già inseriti nelle graduatorie ad esaurimento. Quindi, per loro, un nuovo calvario. Per stabilire poi che cosa? Quello che sanno, o se sanno davvero insegnare?

Io vorrei al mio fianco, quando preparo il piano cattedre per i miei 200 docenti, oltre alla Giannini, anche i grandi burocrati ministeriali. Forse si renderebbero conto, oltre la finzione dei loro deleteri castelli di carte, di una realtà che nemmeno immaginano. Ma ci vuole coraggio, per guardare in faccia la realtà. 

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