La sapienza, indicata nella Bibbia come un dono prezioso, etimologicamente significa “dar sapore”. Quando ne siamo riempiti, diventiamo capaci di attribuire un senso alle cose, anche quando le apparenze suggerirebbero il contrario. Per questo, la sapienza è propria dell’uomo amato da Dio che gli permette di vedere ciò che altrimenti sfuggirebbe allo sguardo.
Col suo discorso – conciso, semplice, efficace – papa Francesco ha aiutato tutti coloro che lo hanno ascoltato a recuperare il vero “sapore” della scuola. Che si può cogliere solo se si tengono presenti le tante dimensioni che la costituiscono.
Sono quattro i passi del ragionamento del Papa.
La scuola, prima di tutto, è un luogo di incontro tra persone. Tra alunni, professori, famiglie, generazioni. Non si può arrivare ad amare la scuola e la conoscenza, ricorda il papa, se non si ha avuto la fortuna di incontrare un maestro capace di appassionarci a quello a cui lui è appassionato.
In secondo luogo, la scuola è “apertura alla realtà”. L’ignoranza, in fondo, è una prigionia, una cecità che ci impedisce di entrare in rapporto pieno con ciò che ci circonda. E, d’altra parte, nessuno, nemmeno l’insegnante più preparato, può pretendere di sapere tutto. Per questo la conoscenza comporta sempre un mettersi in cammino. Insieme. Maestro e allievo, verso quella realtà che sempre ci supera e ci interpella.
In terzo luogo, la scuola sta attenta alle trappole di quella falsa neutralità che nasconde la sua verità senza volerla dichiarare. Il vero, il bene, il bello rimangono i punti cardinali che orientano la nostra stessa conoscenza, e la rendono intelligibile.
Proprio per questo, infine, la scuola che la persona intera. Non si tratta solo di trasmettere conoscenze o, peggio, nozioni; ma anche valori e abitudini. Perché la scuola riguarda la vita e le sue tante sfaccettature. Il suo compito non è solo quello di far crescere la mente, ma anche il cuore e le mani: perché non si possono separare le diverse dimensioni dell’esperienza umana.
Sviluppando questi quatto passaggi, Francesco, con una semplicità disarmante, spiega a tutti la vera indole della “educazione cattolica”. Che è prima di tutto un incontro tra persone, sempre curiosa e aperta, rivolta al vero, al bene e al bello. Semplicemente perché il suo obiettivo è lo sviluppo della persona nella sua integralità. Da questo punto di vista, il primo passo per una vera riforma è la restituzione di una piena dignità alla scuola e alla funzione educativa.
In questo modo, Francesco indica anche come la Chiesa deve stare all’interno delle sfera pubblica. Non si tratta di essere “contro”, ha detto all’inizio del suo intervento il Papa. “Siamo qui piuttosto per fare festa, per festeggiare la scuola”.
Dunque, è proprio così che si deve fare. Davanti a un mondo tante volte smarrito, non si tratta di mettersi in contrapposizione. Né di difendere degli interessi. Si tratta, invece, di impegnarsi per recuperare tutti insieme quella profondità e quel senso − la sapienza − che rischiano sempre di andare perduti. Non come se la chiesa fosse esente dalle fatiche dell’uomo contemporaneo. Ma cercando, piuttosto, di interpretarne, illuminata dalla fede, le ansie profonde e gli interdetti più rimossi. Affinché tutti insieme si possa fare un passo in avanti, verso una umanità più piena.
Una Chiesa che, per far questo, deve aspirare a farsi pozzo di sapienza e anfora di testimonianza. Una Chiesa, insomma, coraggiosa e appassionata, amorevole, che sa camminare con il popolo.