Che cos’è il “costo standard per studente”? Come si calcola, e quale utilizzo se ne potrebbe fare per migliorare il sistema scolastico? Queste domande sono tornate al centro del dibattito istituzionale sulla riforma della scuola, anche grazie ad una significativa iniziativa svoltasi nell scorso aprile (Convegno “Il Sistema Scolastico Integrato. Perché non facciamo parlare il costo standard?”). A valle di questo appuntamento, diversi osservatori ed esperti hanno (ri)cominciato a riflettere sul tema e proporre soluzioni di policy basate proprio sull’idea di costo standard. Occorre tuttavia osservare che, intorno a questo dibattito, vi è tuttora una grande confusione concettuale, che rischia di rendere la gran parte delle idee proposte impraticabili, e certamente poco fondate dal punto di vista metodologico. 



In termini rigorosi, il costo standard per studente è l’ammontare di risorse ottimale che serve per fornire una determinata quantità di servizi di istruzione ad un certo studente, in un dato periodo di tempo; ad esempio, il “costo standard annuale per studente” è il costo ottimale per studente in un anno scolastico. Si tratta, quindi, di una grandezza economica ben diversa dal “costo medio per studente”, ossia quanto le scuole spendono o dovrebbero spendere in media per ciascuno studente. Il primo equivoco da risolvere è dunque quello di separare logicamente e rigorosamente questi due concetti (costo standard e medio). 



Il secondo aspetto tecnicamente rilevante è che il costo standard non può essere un singolo numero “magico” che riassuma quanto costi mediamente istruire uno studente; lo studente “medio” non esiste, e il costo per la fornitura dei servizi di istruzione tende ad essere variabile e dipendente da un insieme di caratteristiche di ciascuno studente (ad esempio, cittadinanza, eventuali disabilità, iscrizione anticipata o ritardataria, condizione socioeconomica della famiglia, caratteristiche della comunità in cui la scuola opera, ecc.). In effetti, tali caratteristiche degli studenti si riflettono in esigenze educative differenti, quali ad esempio, percorsi personalizzati, classi più o meno piccole, presenza di insegnanti aggiuntivi, attività extracurriculari, ecc.; e tali esigenze a loro volta incidono sui costi di fornitura dei servizi educativi. 



In altre parole, mentre non esiste un numero che riassuma il costo standard per studente, si può invece argomentare che ciascuno studente abbia un proprio specifico costo standard, e che al massimo appaia ragionevole immaginare dei “costi standard medi” per gruppi di studenti che condividano le medesime caratteristiche principali. In questo modo, i dati sui costi standard potrebbero riflettere, almeno in parte, l’eterogeneità della popolazione studentesca e gli effetti di questa sui costi di produzione delle scuole. 

È bene rimarcare, in tale prospettiva, due elementi metodologicamente importanti: 

1. l’utilizzo a fini pratici del dato sul costo medio per studente, senza applicare correzioni che tengano conto degli elementi appena descritti, si tradurrebbe inevitabilmente in una stima distorta delle risorse necessarie per fornire i servizi di istruzione ai diversi studenti, rappresentando in taluni casi un eccesso di risorse, in altri un ammontare insufficiente, e 

2. il calcolo del costo standard si deve, invece, basare su giudizi di valore (ad esempio, quale sia il valore ottimo dei costi da sostenere) e non su analisi dei dati correnti i quali, inevitabilmente, incorporano livelli di costo che non riflettono tali giudizi di valore (quali ad esempio, il livello attuale dei salari dei docenti, il corrente rapporto studenti/docente, ecc.).  

Un terzo elemento di discussione riguarda le modalità tecniche con cui effettuare il calcolo e l’analisi del costo standard. In termini teorici, per definire il costo standard andrebbe realizzato un processo di analisi in tre passi successivi:

A. definizione delle diverse voci di costo da considerare (salari del personale, strutture, materiali di consumo, ecc.);

B. analisi di quante risorse sarebbero necessarie per le diverse tipologie di studenti, e proiezione dei relativi costi, sulla base delle considerazioni di cui al punto precedente;

C. calcolo del costo per studente, dividendo il costo ottenuto per il numero di studenti di ciascuna tipologia – tenendo anche conto della numerosità relativa e degli eventuali effetti di scala. 

La strada per addivenire ad un tale calcolo appare, a tutt’oggi, molto impervia ed il risultato ancora ben lungi da essere ottenuto. Intanto, occorre rimarcare come non esistano basi di dati complete su cui effettuare neppure il calcolo dei costi medi; infatti, i bilanci delle scuole (statali) non incorporano i dati relativi a due fattori produttivi essenziali, quali gli stipendi del personale (pagati direttamente dal ministero dell’Istruzione) e le strutture (il cui costo monetario o ammortamento è sostenuto direttamente da enti locali quali le Province e i Comuni). 

Tale assenza di informazioni rende ancora più difficile il già complicato mestiere di definire dei livelli di costo ottimali (standard, per l’appunto) perché rende l’informazione sui costi attuali decisamente lacunosa. Inoltre, il policy-maker che intendesse implementare seriamente il sistema del costo standard dovrebbe avere il coraggio di assumere decisioni tecnicamente complicate e politicamente difficili su alcuni aspetti di fondo che influenzerebbero il calcolo del costo standard (ad esempio, la dimensione delle classi in presenza di alunni diversamente abili o stranieri, il livello di salario dei docenti in queste diverse circostanze, il valore economico delle attività di recupero da porre in essere per le diverse tipologie di studenti, ecc.). Pare, in generale, che questo livello della discussione non sia stato ancora affrontato da alcuno, e neppure vi sia chi intenda farlo nel prossimo futuro.  

Infine, è opportuno sottolineare come il vero utilizzo dell’informazione sul costo standard sia rilevante, a fini di policy, a livello di scuola, e non di singolo studente. In termini pratici, occorrerebbe definire il costo standard per ciascuna scuola, ottenuto come somma del costo standard per studente degli allievi ivi iscritti. Questa informazione, per coloro che debbono distribuire le risorse, potrebbe servire a confrontare il costo standard con il costo attuale. Per questa via, si potrebbe verificare (e valutare) la diversa efficienza delle scuole, nel caso decidere se e come redistribuire le risorse, al limite implementare azioni istituzionali per minimizzare la differenza tra costi attuali e standard in ogni scuola. 

Ovviamente, questa è solo un’ipotesi, che potrebbe essere perseguita solamente laddove i policy-makers ritenessero un tale approccio corretto e politicamente sostenibile; invece, la definizione di costo standard (presentata in precedenza) è valida in ogni caso, in quanto è un concetto tecnico, non politico. Questo è un ulteriore aspetto su cui si è alimentato un certo equivoco nel dibattito: un conto, infatti, è il concetto di costo standard; cosa diversa il suo possibile utilizzo per la policy – paradossalmente, si potrebbe anche calcolare il costo standard, e poi non utilizzarlo affatto. 

Per concludere, definire il costo standard come “(…) anello mancante per arrivare ad una scuola davvero autonoma, libera e paritaria” (dal resoconto del Convegno del 1° aprile) è certamente evocativo e stimolante, ma tuttora decisamente ottimistico. Per utilizzare il costo standard in modo ragionato e positivo, occorre affrontare (e possibilmente risolvere) le problematiche tecniche che ho cercato di riassumere, prendere decisioni politiche complicate, avviare un lavoro di raccolta ed analisi dati rigoroso e impegnativo. Senza questi passi, il dibattito rischia di rimanere parziale, e non favorirà un passo verso la direzione da tutti auspicata: quella di un miglioramento dell’efficienza della spesa pubblica in istruzione, che migliori al contempo la qualità del sistema scolastico nel nostro Paese.

PS. In quasi tutti i passaggi di questo contributo, ho preferito utilizzare il riferimento al costo standard per la fornitura dei servizi di istruzione, piuttosto che il costo standard per l’istruzione; la valutazione di quest’ultimo, infatti, presupporrebbe una qualche valutazione del livello di apprendimento raggiunto dagli studenti e degli altri output (non cognitivi) realizzati mediante i processi educativi. Pur rappresentando questa una prospettiva interessante e positiva, lo stato della ricerca in questo campo e (soprattutto) la situazione del dibattito politico non lasciano intravedere evoluzioni in questa direzione nel breve periodo. 

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