L’Europa sta affrontando una serie di sfide – crisi economica e sociale, disoccupazione diffusa, crescente competizione da parte dei paesi in via di sviluppo – che chiedono urgentemente di mettersi al passo con il progresso tecnologico e individuare nuovi modi di apprendere e di lavorare.  Si tratta di sfide che richiedono un forte investimento (non solo economico, ma anche di pensiero) per sostenere lo sviluppo e l’espressione del talento presente in ogni persona, incoraggiando in tal modo la ripresa.



È ormai chiaro che l’educazione/istruzione è fondamentale non solo per garantire una crescita del Pil più solida, ma anche per lo sviluppo culturale, politico e sociale necessario ad assicurare ai cittadini una formazione completa e solide basi per operare costruttivamente per il bene comune a livello locale, nazionale ed internazionale. 



Ciò significa, concretamente, sviluppare sistemi educativi differenziati e liberi, sostenendo e diffondendo, da una parte, le migliori esperienze di formazione professionale e di collaborazione/interscambio tra il mondo della scuola e il mondo del lavoro; dall’altra, incoraggiando e sostenendo quelle forme di autonomia che consentono il definitivo superamento del centralismo statalista che ha mortificato e deteriorato i sistemi scolastici di diversi paesi.

Sin dal 1984 l’Unione Europea si è espressa ufficialmente*, e a più riprese, a favore di una forte autonomia delle scuole e della libertà di scelta educativa da parte delle famiglie, ritenendoli fattori imprescindibili per la realizzazione di sistemi di istruzione efficienti ed efficaci; non tutti i Paesi, tuttavia, ne hanno tratto le dovute conseguenze.



Fra questi, purtroppo, troviamo l’Italia. 

L’altro ieri il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, in visita all’istituto Leone XIII a Milano, è ancora una volta intervenuta sul tema, parlando di “eguaglianza di opportunità nel campo dell’educazione e della libertà di insegnamento come promozione della giustizia“. E ha affermato  che la ragione dell’arretratezza del nostro Paese nel campo della libertà di scelta educativa, rispetto agli altri Paesi Europei, “è da cercare nella struttura del pregiudizio che è più forte della cultura del giudizio“.

Eppure è evidente – e non in forza solo di un ragionamento, ma dei fatti stessi – che il sistema di istruzione ha tanto da guadagnare dalla libertà. 

Libertà è la parola chiave per rimotivare un corpo docente spesso avvilito e, in alcuni casi, socialmente screditato; per responsabilizzare le scuole nella gestione delle risorse umane e finanziarie; per  favorire la riappropriazione, da parte delle famiglie, del proprio compito educativo; per dare più efficacemente accesso agli studenti alle esperienze internazionali che possono aprire loro diverse opportunità al di fuori dei confini nazionali.

È stato recentemente pubblicato sul sito della Foe un interessantissimo dossier (Pietro Lorenzetti, Liberi di educare alla libertà. Modernizzazione dei sistemi educativi in Europa: il test della parità scolastica) che documenta in modo chiaro e circostanziato come e quanto il fattore “libertà scolastica” sia sempre di più un patrimonio acquisito nel nostro continente. 

Il libretto fotografa sinteticamente un’Europa che proprio sull’investimento più strategico, quello in capitale umano, non smette di innovare e di modernizzarsi (non a caso, infatti, ha deciso di dedicare il decennio 2010-2020 all’educazione), puntando sulla crescita di nuove generazioni disposte a impegnarsi attivamente nella vita politica e sociale, capaci di apprendere continuamente (“imparare ad imparare”, ha detto il Papa a Roma il 10 maggio scorso…), disposte a muoversi con libertà e competenze spendibili all’interno di tutto il continente europeo (e non solo). Si tratta –sinteticamente − del concetto europeo di “cittadinanza attiva”, che non può prescindere da una forte modernizzazione dell’istruzione scolastica, della formazione professionale e dell’istruzione superiore, di cui una marcata autonomia delle scuole e la libertà di scelta delle famiglie fanno parte a pieno titolo. 

In definitiva, le scuole non statali che svolgono un servizio pubblico sono, per tutti i sistemi educativi dei Paesi più avanzati, una sfida a coniugare cultura dei talenti ed educazione alle dimensioni ideali della vita. Un contributo insostituibile ad affrontare le sfide che l’Europa ha di fronte. Saprà, il nostro Paese, mettersi finalmente al passo?


* Il Parlamento Europeo il 14 marzo 1984 approvò una risoluzione sulla libertà di scelta in campo educativo in cui dichiarò che questo diritto “implica per sua natura l’obbligo degli Stati membri di rendere possibile l’esercizio di tale diritto anche sotto il profilo finanziario e accordare alle scuole le sovvenzioni pubbliche necessarie allo svolgimento del loro compito e all’adempimento dei loro obblighi, in condizioni uguali a quelle di cui beneficiano gli istituti corrispondenti, senza discriminazioni nei confronti dei gestori, dei genitori, degli alunni e del personale”.

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