Nella prima parte del mio intervento su Il rischio educativo ho sottolineato che don Giussani parla della fede come suprema razionalità perché risponde più di qualsiasi altra ipotesi alle esigenze del cuore. Questo è l’interesse assillante nel quale si realizza il destino personale di don Giussani dal momento nel quale decide di dedicarsi all’insegnamento nelle scuole pubbliche. 



In un primo e più immediato momento la contestualizzazione di ciò che don Giussani pensa e opera rispetto all’educazione chiama in causa la crisi della trasmissione della fede provocata dalla secolarizzazione; in un momento successivo il problema si configura come crisi, più semplicemente e ultimamente, dell’educazione.



I due momenti possono essere raccontati così. C’è all’inizio la costatazione dell’insignificanza del fatto cristiano tra i giovani che pure sono cristiani e tali si dicono. È la situazione testata dal Giussani prete poco più che trentenne, che camminando per la strada raggiunge quattro ragazzi che stanno lì sul marciapiede a parlare tra loro e chiede a bruciapelo: “Siete cristiani?” “Sì” gli rispondono straniti per la domanda inattesa. “Ah, siete cristiani” commenta. E poi, ancora a bruciapelo: “E a scuola, se ne accorge qualcuno?” che potrebbe essere tradotto così: “E in che modo questo segna la vostra vita e la fa diversa?”. “In una simile situazione” dice ora don Giussani nel capitolo intitolato Spunti introduttivi “sembrava porsi come inevitabile un aut-aut: o si doveva considerare il cristianesimo come qualcosa che aveva ormai perso ogni forza persuasiva e determinante la vita di un giovane studente, oppure dovevo concludere che il fatto cristiano non veniva presentato, offerto, in modo a lui adeguato” (p. 42).



Il secondo momento, quello non più della crisi dell’educazione cristiana ma della crisi dell’educazione tout court, si racconta così. Per la prima volta nella storia dell’umanità è diventata obsoleta la prassi sempre stata in vigore fin dalla comparsa dell’uomo sulla terra, dell’iniziazione del giovane alla vita ad opera dell’adulto, sostituita dalla piena e completa autoreferenza individuale riconosciuta come diritto.

Stando così le cose, l’educazione cristiana, diventata problema a causa della scristianizzazione della cultura e del costume, è doppiamente problema per l’abolizione dell’istituto dell’educazione assurdamente decretata in occidente dalla complicità stipulata tra pensiero debole, nichilismo e sovranità illimitata dell’individuo.

L’odierno problema “educazione”, che si pone come emergenza per la sua radicalità, suggerisce di iniziare con un’analisi laica (ossia mirata al metodo invece che ai contenuti) dello straordinario volumetto di don Giussani che, come si sa, ha visto la luce proprio negli anni in cui stava per concludersi da parte dei maestri del pensiero lo smantellamento delle ragioni che legittimano l’atto di educare, quando nell’occidente si stava decretando la fine di qualsiasi rapporto educativo tra l’ultima generazione e quelle che l’avevano preceduta. 

E poiché è proprio del pensiero moderno ritenere storicisticamente definitivo e perfetto ogni passaggio che deducendosi per necessità logica da ieri a oggi vada verso il futuro arrogandosi il vanto del progresso inarrestabile ed irreversibile, mi pare che proprio qui stia il punto di maggiore interesse della riflessione: nell’emergere della contraddizione tra l’aridità devastante del pensiero debole e del nichilismo e la rigogliosa vitalità che si sprigiona dal metodo educativo che Giussani vi oppone traendola dalla sapienza cristiana.

Il cenno al pensiero debole e al nichilismo si trova a p. 29 de Il rischio educativo, e appartiene dunque alle riflessioni ultime di Giussani, quando agli occhi del vecchio che in gioventù l’aveva percepito per profezia è divenuto realtà sperimentabile il potenziale di morte contenuto nella cultura dominante. Oggi non si educa non perché l’educatore si è momentaneamente distratto dal suo compito ma perché educare non si deve e non si può: e non si può perché l’educazione è incompatibile con le linee principali della cultura dominante.

Non occorre un esame analitico su questo tema. A noi basta, dando per scontato l’unanime riconoscimento della situazione complessiva, richiamare l’attenzione su questa incompatibilità. Per metterla a fuoco occorre rifarsi alla definizione che don Giussani dà dell’educazione in apertura del suo libro (si trova, come ho detto, a p.65 dell’edizione Rizzoli): l’educazione, dice Giussani, “è l’introduzione alla realtà totale” e la realtà, aggiunge (ed è qui il putto chiave del suo pensiero), “non è mai veramente affermata se non è affermata l’esistenza del suo significato”. Questo appello al significato carica di drammaticità l’intero problema e nello stesso tempo richiama chi si interessa di educazione a un severo realismo. L’ottimismo della volontà non serve a nulla in questa nostra emergenza. Chi professa una cultura con la quale l’educazione è incompatibile non può fare appello all’educazione se non per un soprassalto di ipocrisia.

Se l’educazione è l’introduzione nella realtà e se è vero che la realtà non è veramente affermata se non è affermata l’esistenza del suo significato, chi partecipa a una cultura che nega la conoscibilità del significato e anzi afferma che il significato non esiste e neppure è necessario che esista non può aderire coerentemente all’appello che chiede di ripristinare l’istituto dell’educazione e chiama a raccolta gli addetti ai lavori.

È palese, in definitiva, la necessità di un principio condiviso, per piccolo che sia, sul quale fondare la ricostruzione e dal quale dedurre la fattibilità del progetto, chi ci sta. Questo principio potrebbe essere l’intoccabilità dell’essere umano intesa (dico l’intoccabilità) come riconoscimento di trascendenza e dunque scaturigine della sua dignità. E invece è sotto gli occhi di tutti il persistente gioco al ribasso patrocinato dalla cultura che si autocertifica come il legittimo portatore dei moderni saperi.

Dove rintracciare allora un principio condivisibile da tutti, sul quale fondare anche una proposta educativa, in un contesto storico in cui ciò appare impossibile? Perché qui sta il nocciolo geniale del pensiero educativo di don Giussani. Ne parleremo nel prossimo articolo.

(2 − continua)