Come è noto, il governo ha confermato al loro posto i tre capi dipartimento del Miur già nominati dal ministro Carrozza. Si è trattato di un rinnovo approvato quasi allo scadere dei fatidici 90 giorni dal voto di fiducia all’attuale Governo (25 febbraio), termine ultimo oltre il quale i vertici amministrativi “ereditati” dal precedente esecutivo sono tacitamente rimossi (spoil system).  



Oltre alle nomine di conferma dei capi dipartimento, il nuovo ministro si è trovato a gestire un altro elemento strategico di carattere organizzativo, vale a dire il DPCM di riorganizzazione dell’intero ministero licenziato dalla sua predecessora, e di cui abbiamo parlato a suo tempo su queste pagine. La Corte dei conti, infatti, a causa del cambio di governo, ha bloccato (come da prassi) l’iter di registrazione del provvedimento, chiedendo al nuovo esecutivo se intendesse ritirarlo oppure confermarlo, facendolo proprio.



Sul tema, dopo una prima fase  di “congelamento” della situazione, è arrivata una presa di posizione nel corso dell’illustrazione alle Camere da parte del ministro Giannini delle proprie linee programmatiche; poche righe, anch’esse abbastanza laconiche, il cui contenuto può riassumersi così: “ho ereditato questa soluzione organizzativa dal governo precedente, ora io mi trovo davanti al fatto compiuto e non posso che portarla avanti”. 

Senza voler attribuire all’aspetto organizzativo poteri taumaturgici e risolutivi, non pochi addetti ai lavori hanno colto in queste parole una certa miopia e/o sottovalutazione su una materia che invece dovrebbe essere cara ad un governo che intende rivoluzionare la pubblica amministrazione.



Nel frattempo, pare che la Corte dei conti, entrata finalmente nel merito del provvedimento, abbia sollevato numerose questioni, per le quali è in attesa di risposte da parte del ministero. Intanto, si protrae una situazione di incertezza e “interregno” tra il modello organizzativo vigente e quello prefigurato dal DPCM, che prevede un taglio del 10% delle direzioni generali. Tra queste, sono destinate  a scomparire la Dg per gli Affari internazionali, che nel frattempo  è comunque chiamata nell’immediato a lavorare sull’imminente semestre di presidenza dell’Unione (e l’istruzione è tema non certo marginale nell’agenda in via di definizione) e sulla programmazione dei fondi strutturali  2014-2020, partita della cui rilevanza non è necessario scrivere nulla. Anche la Dg per l’istruzione e formazione tecnica viene depennata dal DPCM di riorganizzazione, che ne prevede l’accorpamento con quella degli Ordinamenti scolastici; al momento, e con questa incertezza sul proprio futuro, risultano in servizio presso la Dg Ifts soltanto 2 dirigenti su 6 uffici, per gestire anche in questo caso partite delicatissime e al centro dell’agenda di questo governo (come dei precedenti): il rilancio dell’istruzione tecnica e professionale, il piano “Garanzia Giovani”, l’avvio dell’apprendistato per il conseguimento del diploma di maturità tecnica e professionale, il potenziamento dei raccordi scuola-lavoro, sulla scorta del sistema duale tedesco. 

Se dall’amministrazione centrale ci spostiamo negli uffici periferici, la situazione appare ancora più insostenibile. Sono ad oggi “orfani” di direttore generale gli Uffici scolastici regionali di Veneto, Emilia, Piemonte, Umbria, Toscana, Marche, Molise, Sardegna, Puglia, Calabria. Si farebbe prima ad elencare i territori regolarmente diretti dalla prevista figura apicale. 

Di fronte a questa “tela di Penelope”, è così eclatante lo stato di abbandono e incertezza in si trova l’amministrazione scolastica che c’è da chiedersi come sia possibile che nessuno protesti o chieda spiegazioni. È in corso un lucido e sotterraneo disegno per sopprimere per morte naturale la burocrazia ministeriale della scuola? Oppure, più probabilmente, siamo di fronte all’ennesimo caso di sciatteria e noncuranza della cosa pubblica, in cui tutti hanno qualcosa da guadagnare?  

Non si può certo pretendere che l’apparato ministeriale, motu proprio, agisca per accelerare l’entrata in vigore di una riorganizzazione che prevede tagli del 10% alle dotazioni organiche della dirigenza (di prima e seconda fascia); del resto, è stato sufficiente “avviare” l’approvazione del DPCM per ottenere dalla Funzione pubblica il via libera per effettuare nuove assunzioni, che era evidentemente l’obiettivo “sensibile” per Palazzo della Minerva.

Ma la politica? Forse, in mezzo ai 44 punti per la rivoluzione della Pa che il Governo Renzi  sta sottoponendo alla consultazione dei dipendenti pubblici, meriterebbe di trovare spazio anche la necessità di assicurare stabilità e certezza organizzativa, la cui assenza − peraltro – può costituire un’efficacissima cortina fumogena che impedisce una chiara valutazione sul raggiungimento degli obiettivi: con buona pace dei Piani della Performance e della trasparenza. Strutture snelle sì, ma stabili e durature.

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