“Ah, lei insegna al classico? Mia figlia verrà da voi, il prossimo anno”. È un libero professionista. Ci siamo appena conosciuti e il discorso, come succede spesso, è caduto sul lavoro e sui figli.

“Sì, verrà da voi, ma secondo me è uno sbaglio. Però la madre vuole così… Pazienza, vuol dire che me la bocceranno”. Gli chiedo perché. “Perché non ha voglia di fare niente. Sta tutto il giorno a giocare con quel…” e mima il cellulare.



Dico che questo è davvero un problema e che i genitori devono stare molto attenti che i figli non abusino… “Vede – mi interrompe – io e mia moglie siamo separati e non posso influire più di tanto… pazienza…”.

Ripenso a questa ragazza “che non ha voglia di fare niente” e che il prossimo anno s’iscriverà al liceo classico. Sarà probabilmente la persona sbagliata nella scuola sbagliata. Magari non andrà incontro ad un insuccesso sicuro, ma dovrà faticare molto più di altri, questo è certo. Ripenso a quest’uomo separato dalla moglie e al suo senso di impotenza di fronte all’educazione della figlia. Penso a quanto la pratica del divorzio, che crea questo tipo di situazioni, è infame, negativa, infausta per tutti, padri, madri, figli, scuola, società.



Si avvicinano gli scrutini di fine anno scolastico e sarebbe davvero interessante, conoscendo il vissuto dei ragazzi, verificare quanto le situazioni familiari difficili influiscono sul rendimento degli studenti di ogni ordine e grado. In realtà non servono nemmeno le statistiche: chi insegna sa benissimo che il più delle volte quel ragazzo svogliato, disinteressato, poco concentrato, ha alle spalle la sofferenza tremenda di aver visto i suoi genitori separarsi. Oggi già i bimbi dell’asilo hanno una paura nuova, che prima era molto meno diffusa: quella che papà e mamma si dividano.

La prima conseguenza di un divorzio, di una separazione più o meno consensuale, è proprio l’immane carico di sofferenza che produce nel cuore di un figlio e che non riusciremo mai a comprendere fino in fondo, né a quantificare. Il figlio invece, lui sì, dovrà farsene carico, farci i conti, metabolizzarla, anche se non ha l’età adatta per farlo. Dovrà “elaborare” questo lutto.



Spaccato il nucleo familiare, subito comincerà poi la penosa gara a comprarsi l’affetto del figlio. Questi ragazzi “che non hanno voglia di fare niente”, hanno però in mano sempre l’ultimo telefonino, ai piedi le ultime scarpe alla moda, indosso capi firmati. Fanno la vita dei “giovin signori”: vacanze di lusso, sport, feste… Vengono rimpinzati di piaceri, come per compensarli della tristezza che gli si è arrecata. Fanno una bella vita e ci si adagiano pure. Perché faticare, studiare, impegnarsi? Perché provare lo stress di arrivare con le proprie gambe in cima alla vetta? Molto meglio girarsene a valle tutto il giorno agghindati, serviti e riveriti come nababbi! E guai ad intervenire, guai a chiedergli qualcosa. Quell’unità di padre e madre, fondamentale quando si tratta di educazione, si è spezzata, e il figlio impara molto presto a barcamenarsi tra i due.

Ripenso, però, alla commozione che provai nel leggere il tema di una mia studente. Non ricordo il titolo preciso che avevo proposto, ma l’argomento era proprio la famiglia. Mi ritrovai davanti alla confessione a cuore aperto di una figlia di divorziati.

Quando papà e mamma si erano divisi, tutti intorno facevano a gara a consolarla: in fondo ci sono tanti altri nella tua condizione… cerca di vedere il lato positivo della cosa: puoi ottenere di più dai tuoi genitori… (praticamente un invito al ricatto). Insomma, dai, non è così male. Si vive bene lo stesso! Magari conoscerai la ragazza di tuo padre che sarà anche simpatica, o il compagno di tua madre, un tipo fico e sportivo… Magari ti ritrovi in casa un mammo-tata, alla Mrs. Doubtfire, sai che risate! La famiglia allargata può avere i suoi vantaggi, no?

Ma lei no, lei non ci stava, lei non voleva essere ingannata. Lei aveva sofferto, e tutte le giustificazioni di questo mondo erano soltanto dei mezzucci per prenderla in giro. Quel tema era davvero commovente. Avrebbe potuto tranquillamente essere intitolato: “Papà e mamma, il divorzio è una porcata. Tornate insieme, per favore!”.

Quanti ragazzi griderebbero così? Quanti ragazzi hanno perso il vero interesse alla vita per il dolore che hanno provato? In quanti casi l’insuccesso scolastico è solo la punta dell’iceberg?

Dovremmo parlarne di più, dovremmo sollevare quella pesante cortina di silenzio che abbiamo calato su uno dei più grandi tabù contemporanei. L’innocenza violata reclama almeno una voce, reclama i propri diritti. Chiede che gli adulti si prendano carico della sua attesa di felicità, invece di proporre delle menzogne, dei palliativi, delle impossibili “elaborazioni del lutto”.

Invece di dire che “tutto va bene”, che ci possono essere tanti tipi di famiglie, bisognerebbe dire la verità e cioè che la cosa più bella, più efficace, più produttiva, perfino, è una famiglia unita, sono due genitori che si sforzano di condividere un’impostazione educativa. Per il bene dei figli che hanno messo al mondo e che vengono prima dei loro problemi affettivi.

Dire la verità, chiamare bene il bene e male il male. Comprendere, farsi alleati, compagni. È il minimo che si può fare, per rispettare il dolore di un ragazzo e per aiutarlo a rimettersi in moto.

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