Diciamocelo: la sorpresa di fronte alla circolare ministeriale, che modifica la normativa in corso, lasciando ai docenti la possibilità di non adottare libri di testo, è stato un bel botto. Molti lo speravano, pochissimi se lo aspettavano.
Emanata forse anche per ridurre la spesa per i libri di testo delle famiglie, la Nota n. 2581 del 9 aprile 2014 – clamorosamente – afferma che “Il collegio dei docenti puòadottare, con formale delibera, libri di testo ovvero strumenti alternativi“. È un comma che dovrebbe essere incorniciato e appeso in ogni aula professori!
Finalmente i docenti “possono” e non “devono” adottare i libri di testo. Grande conquista… che conquista non è, se pensiamo – infatti – che non è mai esistita una legge che imponesse l’adozione dei manuali. Eppure, quanti docenti lo sapevano? Ma – si sa – in Italia esistono leggi reali che non vengono conosciute e applicate – si veda il DPR 275/99 sull’autonomia – e leggi che non esistono, ma che vengono ciecamente eseguite!
Quel può è così importante, perché qui si gioca, appunto, la partita dell’autonomia dei docenti. Ma se il Miur si “democratizza”, sono spesso i singoli collegi docenti che impongono lo stesso libro di testo uguale in tutte le sezioni. È vero che le bocciature spesso obbligano gli studenti al cambio di sezione e le famiglie all’acquisto di nuovi libri di testo: ma si poteva rimediare anche altrimenti. Perché in verità non tutti i libri di testo sono uguali, e – soprattutto – non tutti i docenti si ritrovano in un’unica scelta editoriale.
Viene però da chiedersi: ma potremo proprio non adottare? O per farlo, le scuole dovranno aver realizzato strumenti alternativi, ovvero il libro di testo frutto del lavoro dei docenti con i loro studenti? L’idea è esplosiva: e speriamo veramente che le Linee guida di prossima pubblicazione non impongano un iter troppo oneroso, così da rendere quasi impossibile la sua realizzazione.
Quanto prescritto nella Nota (digitalizzazione del prodotto, docente supervisore, registrazione della licenza, distribuzione gratuita…) e il chiaro riferimento al Piano Nazionale Scuola Digitale fa propendere per l’ipotesi che il Miur abbia voluto prendere due piccioni con una fava: ovvero abbassare il tetto di spesa per le famiglie e diffondere la digitalizzazione. D’altra parte, già oggi esistono reti di scuole che, sotto l’egida ministeriale, stanno producendo libri digitali in rete: esempio interessante, ma ci piace pensare che ogni docente possa attivarsi nella propria scuola, senza dover far riferimento ad una rete che potrebbe indurre atteggiamenti conformistici ed omologanti.
Eppure l’idea è veramente molto interessante: finalmente si riconosce ai docenti una professionalità che prima veniva attribuita solo alle case editrici. Soprattutto si riconosce al lavoro didattico in classe un valore identico a quello degli autori dei libri di testo.
Quale sarebbe la diversità con un libro di testo tradizionale? Sicuramente il libro di testo potrebbe avere più solidità scientifica e teorica; ma un manuale, frutto di un lavoro in classe, avrebbe il sapore dell’esperienza didattica vera, risponderebbe alle reali domande di studenti e insegnanti: quante volte, infatti, i libri di testo tanto sono affascinanti, quanto non sono utilizzabili! Il libro dei docenti avrebbe il guizzo, la genialità, la prospettiva, l’acutezza di proporre la disciplina con gli occhi di chi l’ha personalmente proposta e vissuta in prima persona nel rapporto con gli alunni. La materia non sarebbe più un insieme inerme di conoscenze, ma un’esperienza comunicata.
Certo un libro di testo deve anche contenere la teoria, che è l’oggetto dell’insegnamento: ma chi l’ha detto che non possa essere la teoria rivisitata dal lavoro in classe? In fondo, un manuale non è un libro universitario: è già la rilettura critica di una disciplina (ad es. l’italiano, la storia, la chimica… ) così come gli autori l’hanno pensata per le classi. E allora perché non incominciare a pensare che il manuale possa nascere dal lavoro vivo a scuola, superando l’ormai stantio – ma inossidabile – paradigma che fa prevalere la teoria sulla pratica? Inoltre il libro prodotto a scuola sarebbe costruito dai docenti per i propri alunni, per i loro bisogni, per le loro domande: vera espressione della personalizzazione dell’insegnamento.
Certamente la questione è complessa: non ci nascondiamo il fatto che potrebbero essere prodotti lavori di basso livello scientifico e didattico.
Occorre perciò che una qualche forma di validazione venga messa in campo, per garantire agli studenti materiali degni di questo nome. Materiali alternativi che comunque possono nascere da una proficua sinergia tra case editrici e docenti. È un percorso che andrebbe esplorato perché interessante e inedito: magari solo su percorsi specifici, monografie, approfondimenti, quaderni di attività…
Rispetto alla validazione, si aprirebbe un’altra stimolante riflessione: perché mai la convalida dovrebbe avvenire solo ed esclusivamente attraverso il Miur? Se il ministero si è mosso in una direzione innovativa, perché non continuare nella stessa direzione di rinnovamento? Se i nuovi testi devono confrontarsi con la comunità scientifica, perché non chiamare in campo chi, per esperienza e per pubblico riconoscimento, svolge da anni un lavoro di riflessione culturale sulla scuola, in particolare sulle discipline e sulla didattica? E cioè, perché non affidare questo compito alle associazioni professionali degli insegnanti? Quelle accreditate dal Miur, che hanno, cioè, competenze riconosciute per erogare formazione a livello professionale e, tanto più, per rivedere materiali didattici. Si tratterebbe di un’azione in un’ottica sussidiaria.
Peraltro si potrebbero, anche, ipotizzare corsi di formazione (liberi e riconosciuti) per i docenti, anche in questo caso gestibili dalle associazioni professionali: chi ha già scritto un libro di testo sarebbe la persona più qualificata per dare linee di indirizzo ai colleghi e si eviterebbero – probabilmente – inutili e onerosi tentativi da parte degli insegnanti.
Insomma, ringraziamo il ministero per questo atto di coraggio nei confronti dei docenti: ciò che chiediamo ora è di proseguire sulla strada appena battuta. Il percorso ovviamente è ancora accidentato e da scoprire: ma puntare sulla libertà e professionalità dei molti docenti, che svolgono con serietà e passione il proprio lavoro, è un investimento – a costo zero – su cui il ministero dovrebbe rischiare di capitalizzare. Non farlo significherebbe perdere un’occasione per rinnovare la scuola.
Rispetto alla validazione, si aprirebbe un’altra stimolante riflessione: perché mai la convalida dovrebbe avvenire solo ed esclusivamente attraverso il Miur?