Prove Invalsi al via. Cominciano oggi le classi seconda e quinta primaria rispettivamente con la prova di lettura e di italiano (classe seconda) e di italiano (quinta). Continuano domani, 7 maggio, con la prova di matematica in seconda primaria e di matematica più il questionario studente in quinta primaria. Il 3 maggio sarà la volta della seconda superiore (prove di italiano, matematica più questionario studente) per concludere il 19 giugno con la prova nazionale per gli studenti di terza media (prova valida ai fini della valutazione finale). “Spero che sia recepita la preoccupazione di un rapporto diverso con le scuole, più diretto, più aperto, di maggiore ascolto” auspica Annamaria Ajello, presidente dell’Invalsi dal 5 febbraio scorso.



Lei in proposito quali iniziative ha assunto?
Ho cominciato con gli esperti di matematica un lavoro di confronto sulla prova di terza media, per arrivare a capire che cosa e dove si può migliorare, nel rispetto delle indicazioni nazionali. La valutazione serve a produrre miglioramento, non selezione. 

Che cosa si sente di dire a coloro che ancora remano contro le prove in quanto sono fatte a test? 
Bisogna convincerci che le prove Invalsi sono uno strumento. E uno strumento non è buono in qualsiasi situazione. In cucina non si può fare a meno del mestolo, anche se con il mestolo non si riesce a fare tutto. Allo stesso modo, le prove Invalsi non sono esaustive o rappresentative di tutta la didattica, nondimeno sono strumenti necessari per avere un certo tipo di informazioni. 



Tuttavia molti insegnanti restano contrari…
Chi insegna svolge un servizio pubblico, a tutti i livelli, dalle elementari all’università. Possono non esserci degli strumenti di confronto reciproco? Io non credo. I test Invalsi non sono un giudizio sulle persone, ma su una proposta di lavoro, su ciò che può essere rilevato in termini di competenze. Dobbiamo considerare queste prove soltanto come una informazione rispetto a una misura, senza esagerarne l’uso. Il che non vuol dire, però, rinunciarvi. L’importante è riuscire a trarne informazioni da usare in prospettiva per migliorare la scuola.



Sarebbe possibile “misurare i livelli di apprendimento in italiano e matematica” (sono parole del manuale ad uso dei docenti) senza usare prove standardizzate?
Se vogliamo misurare l’apprendimento all’interno di un sistema nazionale occorre trovare dei principi, anche economici, tali da restituire prove che possono essere utilizzate su tutto il territorio nazionale. Io professionalmente ho fatto molta ricerca qualitativa, che a me ovviamente piace di più, ma che ha il difetto di non essere estendibile a tutte le scuole. 

Ma lei come spiega l’opposizione, se non l’aperta ostilità, così ancora diffusa verso le prove? L’Invalsi ha sbagliato qualcosa?

Governo l’istituto da poco tempo, però posso dirle in tutta tranquillità che l’Invalsi ha fatto un lavoro enorme nell’impostare un discorso sulla valutazione che in Italia era bandito: e questo lavoro è stato fatto da persone per lo più precarie. Nell’istituto oggi ci sono trenta persone fisse a tempo determinato, altre trenta precari di lungo corso e altrettanti più giovani. In tutto 97 persone. In un paese molto più piccolo come l’Olanda l’istituto che fa il compito del nostor Invalsi è composto da 700 persone. Poi, è vero che quando si è sotto attacco ci si chiude.

Quindi?
Ora servono il coraggio e la determinazione di porsi in maniera più aperta nei rapporti con le scuole, perché famiglie e docenti hanno tutto il diritto di criticare, e noi tutto il diritto di migliorare sulla base di queste critiche. Però nessuno ha la verità in tasca su un tema così complesso. Per quanto si faccia riferimento a numeri e a quantità, non ci sono mai dati che valgano ovunque in senso assoluto; abbiamo dati attendibili, non dati oggettivi. Ma questa cautela sono gli stessi ricercatori Invalsi ad averla; i quesiti per esempio vengono sottoposti a revisione costante.

Le prove Invalsi rientrano anche nel Regolamento voluto dall’ex ministro Profumo. Che cosa ne sarà?
Il sistema nazionale di valutazione (Snv) delle scuole sarà varato e partirà a settembre. Si basa sull’autovalutazione delle scuole e usa i dati Invalsi per promuovere i miglioramenti negli aspetti deficitari identificati. Con l’Snv siamo su un altro piano: in questo caso non sono più solo i test di apprendimento che danno la valutazione, ma un complesso di attività di cui gli insegnanti sono parte attiva e dove negoziano la condizione che sono chiamati a migliorare.

Ad oggi solo un 30% delle scuole pubblica i risultati delle prove Invalsi. Secondo lei perché?
È l’esito del sospetto che le scuole hanno nei confronti di questi dati. Quando non c’è la fiducia reciproca scatta la difesa, con qualsiasi mezzo. Va anche detto che ci sono dichiarazioni di persone le quali sostengono che sulla base dei test Invalsi noi intendiamo valutare i docenti: questo non è corretto. Non è così e non intendiamo farlo.

Ci sono da un lato la normale attività di valutazione fatta dai docenti e dall’altro le prove standardizzate. Secondo lei è scientificamente possibile arrivare ad una correlazione tra queste due fattori?
No. Non la possiamo stabilire. In Italia la gamma dei voti varia da scuola a scuola e anche all’interno della stessa scuola e pure in modo variamente articolato. In certe zone del paese, poi, i voti sono più alti e in altre meno. A mio modo di vedere, questa è una ragione in più per fare le prove.

Quest’anno ci sarà un campione che sperimenterà una prova standard in quinta superiore. Che ne pensa? È favorevole?

La cosa che mi sembra essenziale è che ci sia un assenso diffuso sulle modalità e sul tipo di tali prove, altrimenti facciamo solo polemiche che non servono a nessuno. Col rischio o di banalizzare il processo, o di trovare subito i modi per barare, come spesso succede.

È ottimista che una condivisione si possa trovare?
Ci vogliono pazienza e confronto. Chi si assume la responsabilità di fare queste innovazioni non può evitarlo. È un confronto che va praticato a tutti i costi, e, le dirò, io non credo che non si possa arrivare a soluzioni condivise. Poi alla fine si decide, qualcuno sarà scontento, ma non dovrà e non potrà essere la maggioranza.