Sono circa mezzo milione gli studenti che fra pochi giorni affronteranno l’esame di terza media. Il percorso d’esame è disciplinato dalle istruzioni fornite con la C.M. 48 del 31/5/2012, contenenti indicazioni a carattere permanente. Gli studenti dovranno affrontare tre prove scritte (italiano, matematica, lingua straniera), una prova Invalsi (test di italiano e matematica) a carattere nazionale in calendario per il 19 giugno e un colloquio pluridisciplinare. Insomma, un vero e proprio esame di stato, almeno sulla carta, paragonabile se non addirittura più complesso del “fratello maggiore” dell’esame di maturità. 



Ogni scuola decide autonomamente quando dare il via alle prove scritte e orali. L’unica data certa, stabilita a carattere nazionale dal ministero dell’Istruzione, è appunto quella della prova Invalsi, così come la data del 30 giugno di chiusura degli esami su tutto il territorio nazionale. 

Il punteggio finale dell’esame di stato del primo ciclo è attribuito sulla base della media (aritmetica) di tutte le prove scritte, compresa quella nazionale, il colloquio pluridisciplinare e il giudizio di ammissione. Il punteggio deve essere espresso in decimi e ai candidati che conseguono il punteggio massimo (10/10) può essere assegnata la lode da parte della commissione esaminatrice con decisione assunta all’unanimità sulla base di criteri predefiniti. Un esame che continua a perpetuarsi in ossequio al comma 5 dell’art. 33 della Costituzione: “è prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi” e che è stato appesantito dalla generalizzazione delle prove Invalsi con l’inserimento di una prova nazionale strutturata all’interno dell’esame di licenza media (legge 176/2007). 



Questa sommariamente l’impalcatura. Diverse le criticità.

Una prima riflessione riguarda l’incongruenza pedagogica e normativa del meccanismo globale per la costituzione del voto finale dell’esame di Stato: il voto di ammissione, che rispecchia una valutazione di tre anni e un percorso globale, individualizzato e personalizzato, che ha attraversato gli otto anni del ciclo primario, è messo sullo stesso piano di una singola prova scritta o di una prova orale. 

Ciò costituisce un’inammissibile distorsione della prassi valutativa, in quanto l’elaborazione di un giudizio che tenga conto dell’insieme delle reali competenze acquisite dallo studente, non può fondarsi su operazioni meramente aritmetiche, a maggior ragione in un esame al termine del ciclo primario. Inoltre, la prova nazionale Invalsi inserita nell’esame di terza media lo stravolge, dando solo l’illusione di una sorta di uniformità a livello nazionale, in realtà mescolando in maniera incongrua la valutazione interna e quella esterna e contribuendo impropriamente a determinare il voto finale. 



A tal proposito è singolare come appaiano convergenti i pareri di opinionisti competenti nel settore dell’istruzione “Appare forzato inserire una prova standardizzata all’interno dell’esame di terza media” (Cerini, 2014); “Il test nell’esame conclusivo del primo ciclo assurdamente fa media con altri voti dentro un esame tutto da buttare” (Stefanel 2014). 

In ogni caso, la proposta dei test Invalsi nel corso degli esami di Stato è quantomeno ridondante afferendo a due discipline (italiano e matematica) che sono già oggetto di prova scritta e orale nello stesso esame. Pertanto, date le finalità della prova Invalsi, la stessa potrebbe quindi essere anticipata nei mesi che precedono gli esami di stato, restituendo tranquillità ad un “delicato” segmento della formazione (sarebbe oltretutto coerente con una dichiarazione della presidente Invalsi Anna Maria Ajello, ripresa da uno dei suoi predecessori: “l’Invalsi deve fornire misurazioni, non valutazione e deve fermarsi sempre sulla soglia delle scuole”).

Ma in definitiva, al di là della prova nazionale Invalsi, ha ancora senso un esame di terza media quando l’obbligo scolastico con il DM n. 139 del 22 agosto 2007 è aumentato ad almeno 10 anni per cui gli alunni della scuola media sono tenuti a proseguire per altri due gli studi obbligatori? A che serve una licenza media oggi, quando il minimo che si richiede a un cittadino è la certificazione di un obbligo decennale? Non sarebbe più efficace implementare percorsi di continuità che raccordino la scuola media con il biennio successivo attraverso la condivisione di traguardi per lo sviluppo delle competenze degli studenti che devono essere certificate al termine dell’obbligo?

Ho l’impressione che il rito dell’esame di terza media continua a perpetuarsi, quasi fosse una grida manzoniana “s’ha da fare“, nascondendosi dietro il paravento del citato art. 33 della Costituzione. In realtà basterebbe che il decisore politico prendesse atto che gli studi obbligatori si concludono non più a 14, ma a 16 anni e adottasse un semplice legge di un solo rigo, “il ciclo di base si conclude a 16 anni”. Quante difficoltà sarebbero superate! Forse finalmente si aprirebbe la strada per il riordino complessivo del sistema scolastico italiano tanto atteso e necessario, che tuttavia presuppone il superamento del sotteso e diffuso pregiudizio culturale tra “scuola superiore” e  “scuola inferiore”.  

In realtà, da quando è stata istituita (legge n. 1859 del 31 dicembre 1962), la scuola secondaria di primo grado ha “vagolato” tra il costante ricordo/richiamo ai programmi del 1979 e del 1985, alla legge 148/90 e l’incombente ambigua realtà delle Indicazioni per i PSP della riforma Moratti (D.lgs. 59/04), delle Indicazioni per il curricolo del ministro Fioroni (DM 31/07/07) e del DPR 89/09 della ministra Gelmini, nonché dalle indicazioni di successive Commissioni che avrebbero dovuto armonizzare due oggetti che obbediscono a logiche diverse: i PSP morattiani e i curricoli di Fioroni (Tiriticco 2012). 

E non è un caso che il rapporto 2011 della Fondazione Agnelli indichi la scuola media come l’anello debole del nostro sistema educativo, con allievi che invece di incrementare i loro livelli di conoscenza sembrano retrocedere rispetto alla scuola primaria;  un’esperienza che non riesce a incidere positivamente sulle condizioni sociali dei ragazzi, cosicché a 14 anni oltre un terzo si diploma con appena “sufficiente” e spesso imbocca la strada dell’istruzione professionale, se non della dispersione; un percorso formativo transeunte, troppo breve per lasciare una traccia in un’età della vita (la pre-adolescenza) essa stessa in veloce e acerba trasformazione (Cerini 2009).

Leggi anche

SCUOLA/ Esame di terza media, il "tutto" non serve a nullaSCUOLA/ Prova Invalsi, se 150 minuti bastano a "stressare" un giovane di 14 anniSCUOLA/ Funziona meglio l'esame di terza media o l'esame di maturità?