Tanto si è detto e scritto, nella sua vita ormai trilustre, a volte con dovizia di sottigliezze teoriche forse degna di miglior causa, sulla prima prova dell’esame di stato. L’articolato e ponderoso fascicolo (il cui primo effetto è stato quello di obbligare tutti gli istituti a dotarsi di fotocopiatrici fascicolanti) esprimeva l’ambizione di introdurre tipi di testo in qualche modo reali, sottraendo la pratica della scrittura all’autoreferenzialità del tema (cui si lasciava un angolino), tutta intrascolastica e pertanto eminentemente retorica. Ambizione anche generosa, ma destinata fatalmente a rivelarsi illusione: non c’è niente di più retorico di un testo scolastico che, invece di esibire onestamente la  sua origine e la sua funzione, finga di essere altro: una specie di retorica al quadrato, cui solo la modesta perizia degli scriventi impedisce di assurgere alla sublime quanto vacua artificiosità di controversiae e suasoriae di latina memoria. Per non accettare il limitato ma sensato perimetro del lavoro scolastico, insomma, si rischia di recare una doppia offesa, alla retorica e alla realtà. 



Dunque, bando alle disquisizioni teoriche: di compiti si tratta, di alcune pagine in cui lo studente è chiamato a dimostrare di saper maneggiare l’italiano, di saper costruire un discorso logicamente coerente e dotato di un capo e di una coda, di sapersi servire di ciò che ha studiato per sostenere le sue affermazioni e di sapere che è meglio servirsene piuttosto che farne a meno. 



Qualche veloce avvertenza sul tipo saggio/articolo. Leggere attentamente le consegne: certamente tutti i candidati saranno già stati adeguatamente esercitati dai loro insegnanti, tuttavia già due volte  le consegne del compito d’esame sono cambiate senza preavviso, leggermente ma non trascurabilmente. 

In secondo luogo, è bene ricordare che la frase in grassetto preposta ai documenti non è un titolo, ma l’indicazione di un vasto ambito: all’interno di esso il candidato dovrà individuare l’aspetto su cui intende soffermarsi, che dovrà necessariamente essere più ristretto e più precisamente delimitato. A questo si riferirà il titolo, di cui le consegne gli impongono di farsi autore. In un certo senso, il titolo dovrebbe essere una efficace sintesi della tesi che si intende argomentare e dunque, da un punto di vista pratico, conviene formularlo subito, non importa se nella forma definitiva, così da tenere sott’occhio la meta del “pellegrinaggio” tra i documenti. C’è un errore da evitare assolutamente, quello di allargare ulteriormente la prospettiva. Se, ad esempio, l’argomento è “La costituzione italiana”, intitolare “Le costituzioni nella storia” non porta bene. 



Il tipo saggio/articolo chiede di costruire un testo in senso lato argomentativo, un testo, cioè, in cui una qualche tesi venga formulata e sostenuta, con riflessioni proprie e con il contributo dei documenti, a tal fine opportunamente scelti e commentati. 

Usiamo il termine tesi in senso largo, anche generico, perché, naturalmente, scrivere della Costituzione sulla base di documenti storici è diverso da scrivere di amicizia o di amore navigando tra poesie sparse sull’arco dei millenni; il punto è che si deve capire quale sia il fuoco, l’idea, intorno a cui ruota tutto il resto. 

Questo carattere genericamente argomentativo è condiviso anche dal tema di ordine generale, che per altri versi è l’opposto del saggio/articolo: nel tema infatti il titolo è dato (attenzione a non metterne uno di propria fattura: succede, succede…), mentre i riferimenti culturali devono uscire dal granaio del candidato. Si può farne a meno? In linea teorica si può, ma correndo il grave rischio di presentare alla commissione una chiacchierata da bar, magari – se si è bravi − scorrevole e arguta, ma poco consona ad accreditare l’autore come persona ragionevolmente colta. Insomma, il tema di ordine generale, spesso all’apparenza facile ed accattivante, se scelto come ultima spiaggia o come scusa per non essere costretti a mettere in campo conoscenze, può rivelarsi un cattivo affare: costa poco ma vale poco. Inevitabilmente? Certo che no: il tema, proprio perché poco vincolato, è forse il tipo di testo più difficile: chi vi si avventura può contare solo sulle sue forze, sia per le conoscenze sia per l’organizzazione del pensiero. Un buon tema, nutrito di riflessione personale e di spessore culturale, bene organizzato nella concatenazione dei pensieri e nella congruenza dell’incipit e della conclusione, è certamente un ottimo biglietto di presentazione. Ma è tutt’altro che facile.

Vale infine sia per il tema sia per il saggio/articolo, ovvero per tutti i testi argomentativi, una riflessione finale: un’argomentazione non si improvvisa. Meglio non farsi sedurre dalle frasi affascinanti che occhieggiano dalle fotocopie. Per buttarsi a costruire un’argomentazione, con il tempo contato e nelle condizioni psicologiche dell’esame, occorre aver già pensato all’argomento, almeno un po’, almeno quanto basta per avere già in testa una domanda attorno alla quale lavorare. 

Ma ecco che questa, che doveva essere una considerazione finale, ne porta con sé un’altra: non di rado i documenti offerti per un saggio hanno qualche lontana attinenza anche con l’argomento di un altro, o con il titolo del tema: la tentazione di far bottino può essere forte, e di fatto non pochi vi cadono. Meglio resistere. Una citazione suggestiva di meno sarà largamente compensata dall’aver evitato l’effetto accattonaggio, o pesca di beneficienza. Tanto è impossibile darla da bere ai commissari, che almeno alla lettura delle tracce, di solito, ci arrivano.

(1 − continua)