Sono in corso gli esami di terza media. In molte scuole sono già cominciati, alcune hanno già chiuso gli scritti, altre lo faranno i primi giorni di settimana prossima, in tempo per affrontare la prova nazionale Invalsi, identica per tutte le scuole medie del territorio nazionale. Contro l’esame di terza media fioccano molte obiezioni: da chi lo vede come troppo impegnativo, a chi ne sottolinea l’estemporaneità rispetto all’obbligo di istruzione (che termina a 16 anni, dunque dopo il primo biennio della secondaria di secondo grado). Ilsussidiario.net ne ha parato con Giorgio Chiosso, pedagogista, docente nell’Università di Torino.



Professore, da molte parti si dice che l’esame di terza media non ha più senso, secondo lei invece un senso ce l’ha ancora eccome. Perché?
Sono convintamente favorevole alla conservazione dell’esame di terza media come pure a quello di maturità non solo per ragioni normative, ma per un motivo pedagogico molto preciso. L’esame – qualunque esso sia, compreso quello che consente di acquisire la patente automobilistica – può essere visto sotto due aspetti. La prima è quella ovviamente legata all’accertamento di una certa porzione di sapere o di abilità. Ammetto che ci sono molti altri modi per accertare le conoscenze, non solo l’esame (a certe condizioni riconosco che se ne potrebbe fare anche a meno)…



Ma…?
Ma l’esame – e questo è ciò che mi preme – costituisce anche una prova con se stessi e cioè la dimostrazione di essere capace di superare un ostacolo che richiede impegno, costanza e anche sacrificio. Queste parole sono quasi scomparse nel vocabolario educativo del nostro tempo. Non intendo elogiare banalmente la “scuola severa”. Dico solo che la scomparsa di “prove” e difficoltà da superare può costituire un forte limite allo sviluppo della personalità.

Con quali esiti, professore?
Molti ragazzi crescono senza mai “provarsi” ed è prevedibile che, quando saranno posti di fronte alla realtà quotidiana della vita e del lavoro, non saranno abbastanza temprati. Meglio crescere accettando di “provarsi”, anche a costo di dover scontare qualche prevedibile difficoltà. Sta naturalmente a genitori e insegnanti saper stare vicino a rispettivi figli e allievi per aiutarli a superare le difficoltà. L’esame di terza media può rappresentare una di queste prove anche per il forte carattere simbolico che lo accompagna, e cioè il passaggio da un tipo di scuola inferiore (primo ciclo) a uno di scuola superiore (secondo ciclo).



Cosa risponde a chi dice che l’esame previsto dalla Costituzione a chiusura di un ciclo di istruzione come avviene in terza media è incongruente, perché l’obbligo scolastico arriva fino ai 16 anni?

Non vedo perché, in linea con quanto detto prima, non si possa prevedere anche al termine del decennio di istruzione obbligatoria un ulteriore esame. Perché eliminare e piuttosto non aggiungere? I riti di passaggio sono molto importanti e quanto più vengono sottolineati tanto più è favorita l’uscita dall’infanzia interminabile che appare oggi un fenomeno assai diffuso e sotto certi aspetti anche molto inquietante. I bambini e i ragazzi devono crescere e siamo tenuti a impiegare tutti gli strumenti a nostra disposizione perché questo accada. Le sembra normale – mi è accaduto più volte – che all’Università qualche genitore accompagni ancora il figlio/la figlia al colloquio con un docente?

Secondo lei non sarebbe più sensato collocare all’ingresso della prima superiore un esame come quello previsto ora in terza media?
Sono totalmente contrario a questa eventualità perché si risolverebbe in un processo discriminatorio incompatibile per le caratteristiche di base dell’istruzione obbligatoria. Vedo bene, invece, all’inizio di un corso di studi un congruo periodo destinato ad accertare i livelli di preparazione degli allievi in modo da creare un certo allineamento della classe, non per uniformare e livellare, ma per costruire le nuove conoscenze su basi consolidate. 

Una delle prove più discusse dell’esame di III media è la prova nazionale Invalsi. Cosa pensa in merito?
Sono favorevole a tutte le prove che aiutano a capire lo stato di salute del nostro sistema d’istruzione e lo sarei ancora di più (se possibile) se poi seguissero azioni mirate a migliorare le situazioni che si rivelano carenti. Purtroppo noi oggi disponiamo di un sistema Invalsi abbastanza oliato, mentre siamo molto carenti su altri versanti. Spesso le autovalutazioni dei singoli istituti sono operazioni tese, in vario modo e con motivazioni diverse (talvolta non banali), all’autoassoluzione.

Le prove Invalsi continuano ad essere molto discusse.
Conosco bene le obiezioni di coloro che sono contrari a questa prova che profuma – si dice – di statalismo. Può darsi: ma credo che mentre occorre contrastare tutto quanto è deformazione del ruolo e dei compiti dello Stato, occorre rispettarne le responsabilità. Lo Stato ha il diritto/dovere di verificare se alla conclusione del primo ciclo i livelli essenziali di sapere previsti dalle Indicazioni nazionali sono stati acquisiti. Poi naturalmente dovrebbe agire – lo ripeto − e porre a disposizione delle scuole idonei strumenti per provvedere in merito nei casi in cui i risultati siano inadeguati.

Molte le obiezioni contro la scuola media unica, che in quanto tale non coltiva le differenze, risultando uniformante. A queste condizioni l’esame che lei difende (come occasione di maturazione) non ne è il perfetto compimento? In altri termini, il senso dell’esame che lei auspica non fa un po’ a pugni con la scuola di cui vorrebbe rappresentare la conclusione?

 

Contesto che la scuola media “unica” sia per sua natura “uniformante”. Poi ammetto che in qualche caso (spesso?) questo si verifica. Là dove questo accade è perché qualcosa non funziona. Vocazione naturale del triennio conclusivo del primo ciclo scolastico è quella di essere una scuola orientativa e cioè impegnata a valorizzare le risorse espresse e scoprire quelle latenti di ciascun alunno. Purtroppo questa dimensione della scuola media è poco sviluppata (lo dico in generale) ed è scontato che se non si persegue una certa “personalizzazione” del percorsi didattici è difficile uscire dalla genericità e dunque dalla uniformità. Ma quest’ultima è un aspetto patologico – non fisiologico – della scuola media!

Esiste secondo lei una contraddizione tra lo scopo formativo dell’esame di terza media e il modo in cui oggi è pensato e attuato? Cosa cambierebbe?
Su questo punto passo la parola a dirigenti e docenti che operano a questo livello scolastico. Ogni forma di accertamento presenta vantaggi e limiti. Si tratta di trovare le soluzioni più efficaci e questo penso che possano farlo coloro che vivono dal mattino alla sera nella scuola, non gli studiosi che rischiano di ragionare con scarso senso pratico.

Esame di terza media e ruolo delle famiglie: secondo lei qual è?
La famiglie dovrebbero essere molto interessate a che i figli stessi siano capaci di superare delle “prove” alla loro portata anziché proteggere a ogni costo e ad oltranza i figli e addossare ogni insufficienza scolastica ai docenti. L’esame può costituire anche un’occasione straordinaria per vivere insieme la “prova” e, una volta superata, gioirne insieme. Sono proprio queste le circostanze della vita nelle quali si possono sperimentare vincoli di solidarietà e appartenenza in grado di dare senso al rapporto genitori-figli. Non sono i regali e le “paghette” che creano legami, ma la partecipazione a una “impresa comune” come può essere, ad esempio e per restare al nostro tema, la preparazione a un esame. Proviamo anche a chiederci se è più educativo criticare sistematicamente i professori oppure se non sia meglio partecipare alle ansie e alle difficoltà scolastiche di un esame e poi condividere la soddisfazione per averlo superato. 

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